L’Angelico a San Marco raccontato da Padre Marchese. Quinta puntata: l’Annunciazione e gli affreschi del dormitorio (prima parte)

Siamo giunti al cuore della narrazione di Padre Vincenzo Marchese, che fu il primo a far conoscere al mondo gli affreschi dipinti da Beato Angelico nel dormitorio del convento di San Marco. L’interpretazione mistico-religiosa, tipica dell’Ottocento romantico e cristiano, concede spazio a precise notazioni di critica artistica e a momenti più lirici, che rendono il testo, illustrato dalle incisioni originali, ancora utile e coinvolgente.

Beato Angelico, Annunciazione, disegno di Filippo Calendi, incisione di Domenico Chiossone, da Vincenzo Marchese, San Marco convento dei padri predicatori in Firenze illustrato e inciso, Firenze 1853. Coll. privata

Primo si presenta l’Annunziazione della Beata Vergine, nel dormentorio superiore, in figure poco minori del vero. Sur una superficie della lunghezza di dieci palmi (circa tre metri) ritrasse l’abitazione di Nostra Donna, che circondò di un vestibolo o loggiato a colonne d’ordine Corintio, quasi nel modo stesso di quello che ei (egli) fece in Cortona; e sebbene nella prospettiva non sia corretto, gli venne eseguito meglio del primo.

Beato Angelico, Annunciazione di Cortona (1435 c.)
La “verginella di Nazaret seduta su povero sgabello”, prima dei restauri del 1976-81

Fuori è l’orticello, delizia di Maria, da folta siepe e da cancello tutto ricinto e chiuso all’intorno: allegoria della quale si serve la chiesa a dinotare (significare) la intemerata (incorrotta) verginità di Lei. La verginella di Nazaret è seduta su povero sgabello; ha la tunica di un rosso languido, il manto azzurro ripiegato sopra i ginocchi, le braccia conserte al seno, il volto, se non vaghissimo, certo splendente di verginale candore e della calma del Paradiso: è il biondo crine alquanto abbandonato sul collo, e l’atto umile e devoto per modo che, a chi contempli quella cara immagine, corre tosto (subito) spontaneo sul labbro l’angelico saluto: “Ave Maria”. E perché non fosse alcuno tanto irriverente e villano, che innanzi a Lei rifiutasse renderle quell’ossequio, il buon pittore ne fece in iscritto ricordo sotto il dipinto: vi si legge “Virginis intactae cum veneris ante figuram, pretereundo cave ne sileatur Ave” (Quando giungi di fronte all’immagine della Vergine incorrotta, prima di proseguire non dimenticare di recitare un’Ave). E sopra: “Salve Mater pietatis et totius Trinitatis nobile Triclinium” (Ti saluto, Madre di pietà e nobile triclinio di tutta la Trinità).

L'”orticello, delizia di Maria” e l'”angelo di meravigliosa bellezza”, prima dei restauri del 1976-81

La figura dell’Angelo è di una meravigliosa bellezza. Piegato alquanto il ginocchio, le braccia incrociate sul petto, con dolce sorriso, con avida espettazione attende il sospirato assenso (il “sì” della Vergine). Non altrimenti descrisselo (lo descrisse) l’Alighieri nel XXXII Canto del Paradiso (vv. 103-105; 109-114):

«qual è quell’angel che con tanto gioco (gioia)

guarda ne li occhi la nostra regina (la Vergine Maria),

innamorato sì che par di foco?»

«Baldezza (fiducia in sé) e leggiadria

quant’esser puote  in angelo e in alma ,

(quanto può essere in un angelo e in un’anima beata)

tutta è in lui, e sì volem (vogliamo) che sia,

perch’elli è quelli, che portò la palma

giuso a Maria, quando ‘l Figliuol di Dio

carcar si volse de la nostra salma»

(perché lui, Gabriele, è l’angelo che scese a portare a Maria la palma, segno di vittoria, quando il Figlio di Dio volle incarnarsi)

Se uno ha veduto la mirabile Annunziazione della chiesa dei Servi (la basilica della SS. Annunziata a Firenze), o porrà a riscontro (confronto) quella bellissima del Cavallini, onde va ricca la chiesa di San Marco, con questa dell’Angelico, avviserà di leggieri (comprenderà facilmente) quanto la scuola dei mistici (i pittori spirituali di Tre-Quattrocento) in cosiffatto argomento vinca di lunga mano i pittori delle età successive.

Scuola fiorentina di XIV sec. (Jacopo di Cione?) , Annunciazione della SS. Annunziata, dopo il restauro terminato nel 2020
Scuola fiorentina di XIV sec. (Jacopo di Cione?), Annunciazione della Basilica di San Marco, da Vasari in poi ritenuta erroneamente di Pietro Cavallini

E bene avvertì il chiarissimo Tommaseo la cagione (motivo) per la quale i più dei moderni non giungono a dipingere a colori e a parole l’amor vero, il pudore, la fede, la speranza, la calma del giusto (che pure in questo dipinto splendono a meraviglia), essere «perché in noi l’amore troppo spesso è la stanchezza dell’odio, il pudore è sull’ orlo della malizia, la fede è fede da critici, la speranza è rabbiosa, la calma è più minacciosa sovente della tempesta». (Niccolò Tommaseo, da Nuovi Scritti)

Settignano (Firenze), Monumento a Niccolò Tommaseo (Lepoldo Costoli, 1878). Tommaseo (Sebenica 1802- Firenze 1874), poeta, scrittore e linguista, autore del Dizionario della lingua italiana e del romanzo Fede e Bellezza, fu in contatto con Manzoni, Viesseux, Capponi e Padre Marchese.

In una cella del dormentorio il pittore ripeté questo stesso argomento in modo assai diverso, ritraendo la Vergine nella interiore sua cella, non seduta ma in ginocchio ricevere l’angelica salutazione: e da un lato S. Pietro martire che considera devotamente i faustissimi esordi del nostro riscatto (l’inizio della nostra salvezza).

Beato Angelico, Annunciazione (cella n.3), disegno di Raffaello Bonaiuti, incisione di Filippo Livy, da Vincenzo Marchese, San Marco convento dei padri predicatori in Firenze illustrato e inciso, Firenze 1853. Coll. privata.

In questo affresco più che nel primo è bellissima la figura della Vergine e non men bella quella dell’angelo. Non così mi aggrada il S. Pietro. Se l’introdurre contro la ragione dei tempi figure estranee all’argomento turba il concetto primitivo del dipintore, non è però che l’Angelico non sappia trovare i più semplici e acconci (appropriati) modi di conciliare tempi e persone disparatissime. Certamente che non trascorse (non arrivò) fino alla licenza del suo confratello, fra Bartolomeo della Porta, il quale richiesto di una Annunciazione con più santi, ritrasse la Vergine seduta in trono, circondata da moltitudine di santi; e in alto librato sull’ali l’angelo apportatore della fausta novella (del lieto annuncio).

Fra Bartolomeo, L’Incarnazione di Cristo (1515), Museo del Louvre, con “in alto librato sull’ali l’angelo apportatore della lieta novella”

Nella Natività ripeté il concetto stesso che negli sportelli della SS. Annunziata (l’Armadio degli argenti); ed è uno dei più vaghi (belli) dipinti e de’ meglio conservati.

Beato Angelico, Natività (cella n.5), disegno di Cesare Mariannecci, incisione di Ranieri Bettazzi, da Vincenzo Marchese, San Marco convento dei padri predicatori in Firenze illustrato e inciso, Firenze 1853. Coll. privata
Beato Angelico, Natività, Armadio degli argenti, Museo di San Marco

La Presentazione al tempio ricorda alquanto il pensiero di Giotto, espresso in quelle piccole tavolette della Galleria dell’Accademia del Disegno.

Beato Angelico, Presentazione di Gesù al Tempio (cella n.10), disegno di Cesare Mariannecci, incisione di Domenico Chiossone, da Vincenzo Marchese, San Marco convento dei padri predicatori in Firenze illustrato e inciso, Firenze 1853. Coll. privata
Taddeo Gaddi, Presentazione di Gesù al Tempio, Galleria dell’Accademia, Firenze. Fa parte di un gruppo di formelle dipinte con Storie di Cristo e di San Francesco, provenienti dalla sagrestia di Santa Croce. Seguendo Vasari, un tempo era attribuita a Giotto.

Né con più verità potrebbe mostrarsi l’affetto della Madre, ed il giubilo del santo vecchio Simeone beato di stringersi fra le braccia il promesso liberatore. Per quanto abbia sofferto questo dipinto dall’aversi voluto con pessimo consiglio togliere il fondo primitivo, per sostituirvi, come nel Capitolo, una tinta laidissima con danno evidente dei contorni, è tuttavia molto bello, segnatamente la testa del vecchio e della Madre.

Beato Angelico, Presentazione di Gesù al Tempio (cella n.10), con la “tinta laidissima”, prima dei restauri del 1976-8

Ma ove l’Angelico vinse certamente sé stesso, ove diè saggio del quanto valesse nel disegno, nel chiaroscuro, nel colore, e, ciò che più monta, nella verità e nella espressione, è, per confessione di tutti, nella Adorazione dei Magi, con la quale sembra volesse dare a conoscere, come a raggiungere certa perfezione nel comporre, nol (non lo) tardassero le difficoltà dell’Arte, ma sì le severe massime (la regola) che ei (egli) professava; e come sapesse all’uopo (al bisogno) far tesoro delle bellezze di Masolino da Panicale e di Masaccio, senza punto violare i canoni dell’Arte cristiana.

Beato Angelico, Adorazione dei Magi (cella n.39), disegno di Cesare Mariannecci, incisione di Gustavo Bonaini, da Vincenzo Marchese, San Marco convento dei padri predicatori in Firenze illustrato e inciso, Firenze 1853. La critica moderna vi vede la collaborazione di Benozzo Gozzoli e altri aiuti

Per quantunque bellissime siano le due tavolette di questo stesso argomento, e dal medesimo colorite, una nella Galleria degli Uffizi, l’altra in quella dell’Accademia fiorentina, non pertanto sono di gran lunga da questa vinte e superate.

Beato Angelico, Adorazione dei Magi, pannello centrale della predella del Tabernacolo dei Linaioli, Museo di San Marco, precedentemente Galleria degli Uffizi
Beato Angelico, Adorazione dei Magi, Armadio degli argenti, Museo di San Marco, precedentemente Galleria dell’Accademia

Avea Cosimo dei Medici fatto murare nel Convento di San Marco un appartamento a suo uso, per aver agio di intrattenersi famigliarmente con Sant’Antonino e con i due fratelli del Mugello. Quivi aveva pernottato il pontefice Eugenio IV, alloraquando assisté alla consecrazione della chiesa (1442). Egli è adunque molto probabile che questa Adorazione dei Magi, allusiva alla festa della Epifania, nel qual giorno avvenne quella consecrazione, fosse dipinta appunto in quel tempo, volendosi condecorare l’appartamento del Pontefice. Dovea pertanto Fra Giovanni Angelico dare tal saggio del suo ingegno, che fosse pari alla grandezza dei due ospiti, e all’ amore con cui essi proseguivano le Arti, delle quali Cosimo principalmente era munificentissimo protettore, fosse in lui genio o politica.

L’Adorazione dei Magi della cella di Cosimo de’Medici, prima dei restauri del 1979-81

Disegnò adunque con lontana prospettiva i monti della Giudea, che, a non distornare l’occhio e la mente dalla scena che si para innanzi, tenne non pur disadorni, ma nudi d’ogni verzura. Nel vivo del sasso incavato è il povero ostello che diè ricetto al nato Salvatore. La Vergine adagiata su troppo umile seggio, tiene il Divino suo Figlio sopra i ginocchi. Le è a manca lo sposo, il quale considera il presente (dono) offerto da uno dei re. Innanzi prostrato a terra con segno di profondissima adorazione, e per canizie venerando, è il primo de’ Magi, il quale, deposto il serto regale, con grande affetto appressa le avide labbra al bacio dei piedi dell’Infante, che con fanciullesca grazia lo benedice. Dietro a lui è il secondo, che piegate ei pure a terra le ginocchia, mostrasi ansioso di compiere quell’ufficio. Il terzo, più giovine degli altri, è in piedi tuttora.

Viene in seguito numerosa comitiva di fanti, di servi, di cavalli, ben disposti ed aggruppati; dei quali alcuni si stringono insieme a caldo ragionare; e a fare avvisati che que’ satrapi o principi erano studiosi delle cose astronomiche, pose nelle mani di uno di questi la sfera armillare, quasi cercassero render ragione di quella stella meravigliosa che aveali guidati per via. Concetto assai felicemente significato. Gli altri sono alla custodia dei cavalli; e sommamente mi piace l’ultimo a destra, il quale volendo affissare lo sguardo nella stella lucentissima, che sta sopra l’ostello del Redentore, si fa con bell’atto della mano schermo agli occhi contro i raggi della medesima.

L’Adorazione dei Magi della cella di Cosimo de’Medici, prima dei restauri del 1979-81

E a dire alcuna cosa dei pregi artistici di questo dipinto, parci che la Beata Vergine e il Bambino siano veramente di sovrumana bellezza. Né meglio potrebbe essere disegnata e colorita la figura del primo dei Magi, né meglio espresso l’affocato desiderio di appressare le labbra a quei piedi santissimi. Uguali pregi hanno le altre due figure dei re, che vengono appresso, per certa nobiltà e grazia che traluce nei loro volti; ma quanto mai può dirsi bello è il gruppo di quegli scudieri o cortigiani, i quali, raccoltisi insieme, favellano di quel mirabile avvenimento. Ne tu ben sai se più debba lodarsene la bellezza delle forme, o la varietà delle acconciature e dei vestiri (degli abiti), degni di qualunque più celebre dipintore. Niuno ricuserà certamente di ravvisare in esse una felice imitazione di Masolino, essendovi un movimento, una vita, una grazia, che è sol propria di lui; e ciò segnatamente apparisce nel rilievo maggiore che hanno le figure di questa storia. Le estremità stesse sono ben disegnate, e lo sfuggire dei piani assai ragionevole. In breve, non vi è cosa della quale l’occhio e la mente non siano pienamente appagati.

Masolino da Panicale, Guarigione dello storpio e resurrezione di Tabita, Cappella Brancacci, dettaglio

Molto è a dolersi che questo dipinto abbia non poco sofferto dal tempo, minacciando in più luoghi di cadere l’intonaco; ma venne, non ha molto, egregiamente restaurato dal professore Antonio Marini, il quale raffermò l’intonaco per modo che speriamo vederlo preservato dalla minacciata rovina.

Il racconto continua nella sesta puntata: gli affreschi del dormitorio (seconda parte)

a cura di Alessandro Santini

Prima puntata: La pala di San Marco

Seconda puntata: Gli affreschi del chiostro

Terza puntata: Gli affreschi della sala del Capitolo (prima parte)

Quarta puntata: Gli affreschi della sala del Capitolo (seconda parte)

Quinta puntata: L’Annunciazione e gli affreschi del dormitorio (prima parte)

Sesta puntata: Gli affreschi del dormitorio (seconda parte)

Settima puntata: la Deposizione di Santa Trinita, le miniature e Fra Bartolomeo

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