Nella Biblioteca del Museo di San Marco, è conservato un corale mirabilmente miniato e riconosciuto in maniera unanime a Fra Giovanni da Fiesole detto il Beato Angelico.
Si tratta del Manoscritto n. 558 (Inventario San Marco e Cenacoli), realizzato molto probabilmente per la chiesa di San Domenico a Fiesole tra il 1424 ed il 1430. Trasferito in seguito nella proprietà della Granduchessa Maria Antonia consorte di Leopoldo II di Lorena, passò quindi alla Biblioteca Nazionale di Firenze e da lì nel Museo di San Marco nel 1869.
Il cosiddetto Messale di San Domenico, che in realtà è un santorale, presenta numerose e splendide iniziali istoriate e decorate, ma quella che in questa occasione desideriamo mostrare si trova a carta 67 verso.
Si tratta dell’iniziale “I” con Gloria di San Domenico (In medio ecclesie aperuit os eius).
La miniatura celebra la festa più importante del corale: quella dedicata al fondatore dell’ordine di San Domenico, che vediamo nel margine superiore dentro una mandorla dorata mentre viene portato in gloria da otto angeli musicanti.
Dalle estremità dell’iniziale “I” fuoriescono racemi vegetali che incorniciano sei clipei entro i quali sono raffigurati santi particolarmente venerati dall’ordine domenicano, tra cui il padre e dottore della Chiesa San Tommaso d’Aquino, quello che tiene con una mano la Chiesa e con l’altra il libro.
Nel clipeo alla base della lettera sono rappresentati i fondatori degli ordini mendicanti, San Francesco e San Domenico, in atto di abbracciarsi.
In occasione del Dantedì (25 Marzo), che quest’anno si arricchisce delle celebrazioni per il settecentenario della morte del Sommo Poeta, questa scena ci ha suggerito un richiamo ai due canti del Paradiso in cui magistralmente si glorificano i due santi: Francesco, fondatore dell’Ordine dei frati minori nel canto XI, e Domenico, fondatore dell’ Ordine dei frati predicatori, nel canto XII.
Riportiamo qui solo alcune significative terzine di introduzione alla storia dei due santi (Paradiso, XI, 28-39):
La provedenza, che governa il mondo
con quel consiglio nel quale ogne aspetto
creato è vinto pria che vada al fondo,
però che andasse ver’ lo suo diletto
la sposa di colui ch’ad alte grida
disposò lei col sangue benedetto,
in sé sicura e anche a lui più fida,
due principi ordinò in suo favore,
che quinci e quindi le fosser per guida.
L’un fu tutto serafico in ardore;
l’altro per sapïenza in terra fue
di cherubica luce uno splendore.
Per Dante, dunque, i due frati sono i paladini che arrivano al momento giusto in soccorso di una Chiesa ormai divisa e lontana dal primitivo messaggio evangelico, molto diversi tra loro e tuttavia assolutamente complementari nell’opera di ricostruzione.
La divina Provvidenza, affinché la Chiesa potesse risollevarsi dallo stato di corruzione in cui ormai versava e per difenderla da estremismi che la rendevano insicura, inviò due prìncipi: Francesco ardente di carità come un Serafino, Domenico splendente di sapienza come un Cherubino.
Queste parole Dante le fa pronunciare al domenicano San Tommaso d’Aquino, che da qui inizia con la storia e l’elogio di San Francesco, nell’XI canto appunto.
Nel XII canto i ruoli s’invertono ed il poeta utilizza il francescano San Bonaventura da Bagnoregio per il panegirico di San Domenico. Parrebbe quasi di trovarsi di fronte ad uno scambio di cortesie…
In sintesi, per il poeta i due campioni combatterono per la stessa causa, anche se in modo diverso e con differente indole: ciò li lega indissolubilmente. Difatti, nella miniatura del Beato Angelico appaiono come vecchi amici che s’incontrano e si abbracciano. Stessa fratellanza e purezza dovrebbero regnare negli ordini da loro fondati, che nel tempo invece decadono a loro volta nella corruzione e nella discordia. Infatti, sempre nel canto XI, terminato l’elogio di San Francesco, Tommaso d’Aquino si scaglia in un’invettiva contro quello che è diventato ai tempi di Dante l’ordine dei predicatori e stessa cosa farà nel XII San Bonaventura contro i fraticelli.
Beato Angelico, oltre ad essere eccelso pittore e miniatore, era devotissimo frate domenicano presso il convento di San Domenico a Fiesole, anche se la sua professione lo portò alquanto a girovagare; apparteneva all’Osservanza e cioè una corrente dell’ordine dei predicatori che si richiamava alla regola originaria di San Domenico, fondata sul rispetto di un’ assoluta povertà e austerità.
Anche i francescani, nel frattempo, un po’ dopo la morte di Dante, si erano ricostituiti in osservanti e conventuali, proprio come i domenicani, a conferma che le istanze del Poeta, messe in bocca a San Tommaso e a San Bonaventura, erano fortemente avvertite da molti.
Inoltre, Natalino Sapegno ci informa che Bernardino Daniello, un commentatore cinquecentesco della Commedia, riferisce dell’uso in voga ai suoi tempi, ma sicuramente assai più antico, di officiare in occasione della rispettiva festa dei due santi, affidando ad un domenicano la celebrazione di San Francesco, e viceversa ad un francescano quella di San Domenico. Il che spiega ulteriormente la nostra immagine, così come è probabile che questa usanza fosse familiare all’Angelico.
Del resto, lo spirito del Paradiso dantesco si può pienamente ritrovare in tutta la sua opera, dove la luce rivelatrice del divino ha un ruolo assoluto e possiamo affermare che se Dante arrivò a vedere il Paradiso dopo un lungo e periglioso cammino, l’Angelico lo vide da subito in tutto il suo splendore con la forza della sua fervente anima, avendo in dono anche la capacità di mostrarlo agli altri.
Laura Pellegrini
Crediti
Foto: Rabatti & Domingie Photography
La Divina Commedia (a cura di Natalino Sapegno), vol. III, Paradiso, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1976
Miniatura del ‘400 a San Marco. Dalle suggestioni Avignonesi all’ambiente dell’Angelico (a cura di Magnolia Scudieri e Giovanna Rasario), Giunti, Firenze, 2003
