Fra Angelico all’Opéra Comique. Avventure e disavventure di un personaggio, fra Vasari e Puccini.


La figura del Beato Angelico, vissuto per una trentina d’anni sotto la severa Regola domenicana, col tempo ha assunto aspetti leggendari, fino a raggiungere lo status vero e proprio di personaggio e comparendo, come tale, in ambiti davvero imprevedibili.

Dal linguaggio dei colori a quello in rima di Jean Baptiste Foujeray

Già nel 1468 il frate Domenico da Corella nel “Theotocon”, scrivendo dell’autore dell’Armadio degli Argenti, lo definisce:  

«Angelicus pictor quam finxerat ante Johannes/ Nomine, non Iotto non Cimabue minor…» (Angelico pittore, per nome avanti Giovanni non fu minore di Giotto o Cimabue).

Dalla fine del Quattrocento gli epiteti di “Angelico” e “Beato” affiancano quindi, fino a sostituirlo, il nome di Giovanni con cui Guido di Pietro aveva preso i voti nel convento di San Domenico a Fiesole.

Ciò testimonia l’aura di religiosità ascetica che già alla sua morte aveva avvolto la statura umana e artistica del pittore. Comincia così a prendere forma una sorta di mito quasi devozionale dell’artista, sdegnosamente distaccato dal mondo terreno, la cui ispirazione è connaturata alla sua fede profonda.

Vasari, delineandone il profilo con l’usuale vivacità così lo rappresenta:

Fu fra’ Giovanni semplice uomo e santissimo ne’ suoi costumi; [… ] Fu umanissimo e sobrio;[…] Non fu mai veduto in collera tra i frati; il che grandissima cosa e quasi impossibile mi pare a credere; e soghignando semplicemente aveva in costume d’amonire gl’amici. […] Insomma fu questo non mai a bastanza lodato padre in tutte l’opere e ragionamenti suoi umilissimo e modesto, e nelle sue pitture facile e devoto.

Questa descrizione sicuramente ha contribuito a delineare quei tratti del personaggio Beato Angelico che ne diventeranno distintivi.

Ma se l’invenzione letteraria prende spesso la mano a Vasari (che ad esempio arriva a presentare Andrea del Castagno come perfido assassino di Domenico Veneziano, che in realtà gli sopravvisse di quattro anni), nella biografia di Fra Giovanni, giustamente non vi è nulla di eccentrico o avventuroso. Emerge però l’immagine di un uomo ingenuo, che ad esempio, alla tavola del Papa, si sarebbe fatto scrupolo di mangiare carne senza avere il permesso del proprio priore. Oppure che: «Non fece mai Crucifisso che non si bagnasse le gote di lagrime» .

Sappiamo che Fra Giovanni era già dipintore quando entrò in convento e fu egli stesso priore a Fiesole; quindi, per quanto di indole umile e mite, certamente dovette essere avvezzo a trattare questioni pratiche e farsi carico di responsabilità decisionali.

Sono comunque certe la linearità della sua vita, la sua devozione serena e coerente e un adeguato riconoscimento del suo talento dai suoi contemporanei. A incentivare la fantasia dei posteri, quindi, c’è solo la peculiarità di una spiritualità profondamente connaturata alla produzione artistica. Si va così plasmando il personaggio di frate schivo e fervidamente devoto, che si impone fino a ingurgitare la realtà di un artista prolifico, erudito, e perfettamente calato nel suo tempo. È stata la sua stessa arte, o meglio una certa interpretazione di essa, a delineare i tratti che comporranno il personaggio Beato Angelico nell’immaginario collettivo dalla fine del ‘400 ad oggi.

Michel Dumas, Fra Angelico da Fiesole, Langres, Musée d’art et d’histoire, dépôt du départment des peintures du musée du Louvre

Nel 1970 Elsa Morante rese finalmente lampante la grandezza dell’Angelico, propagandista del Paradiso. Non stupisce che, per restare solo in Italia, anche intellettuali come Umberto Eco o Massimo Cacciari (che nel suo Generare Dio ha elaborato le sue riflessioni proprio a partire da alcuni dei capolavori angelichiani conservati al Museo di San Marco), abbiano scritto dell’Angelico. La fantasia immaginifica e garbata di Tabucchi ha posto nel suo capolavoro di realismo magico I volatili del Beato Angelico, frate Giovanni come protagonista.

Più tardi, un anziano Andrea Camilleri con un originalissimo ekfrasis, fa ruotare proprio attorno ad un affresco di una delle celle di San Marco, la vicenda giallo etica di Noli me tangere del 2016. 

Nel 2014 a confrontarsi col Beato Angelico, era stata Melania Mazzucco, includendo nel suo Museo del mondo, l’Annunciazione della cella n.3.

Se il compositore e pianista belga Emanuel Durlet si faceva ispirare da Angelico per i brani Fra Angelico’s garden e Last Jugment, nel 1967 Hovhaness componeva Fra Angelico, fantasia per orchestra op. 220.

Stupisce però maggiormente che oggi, anche in ambito decisamente pop, calandoci nel web, l’Angelico si trovi a essere sorprendentemente fonte di diversa ispirazione, passando dall’elvetico intrattenimento mélo di Alain Morisod, arrivando fino all’estremo, rozzamente dissacrante, della trap in francese di Antha.

Tutto ciò testimonia come un personaggio Fra Angelico, anche solo in virtù del potere evocativo di cotanto appellativo, abbia intrapreso nel corso dei secoli una vita propria e si sia ripresentato nella storia della cultura e del costume con una certa costanza.

Lorenzo Gelati, Fra Angelico nel Refettorio di San Domenico, 1879 c.a, Galleria d’Arte Moderna, Firenze

Che un rapporto speciale leghi il pubblico francese al Museo di San Marco è un dato di fatto dimostrato già solo dalla sua costante, cospicua presenza nell’ex convento domenicano.

All’Esposizione Universale di Parigi del 1855 la presentazione del volume illustrato da Padre Marchese, San Marco convento dei padri predicatori in Firenze illustrato e inciso principalmente nei dipinti del B. Giovanni Angelico con la vita dello stesso pittore, e santo storico del convento, aveva reso noti al grande pubblico d’Oltralpe gli affreschi del dormitorio di San Marco, fino ad allora pressoché sconosciuti. Nei decenni precedenti, sull’onda dell’entusiasmo per la pittura dei Primitivi e di una Restaurazione cattolica, in Francia si era intanto già sviluppato il culto del Frate Pittore, raffigurato in numerosi dipinti presentati ai Salons.

Ma è comunque una sorpresa che dai fondi della Bibliothèque Nationale de France emergano due testi teatrali otto e novecenteschi, con il nostro frate pittore come protagonista.

È vieppiù sorprendente scoprire che uno dei due testi è un libretto per un tableau musical che lega Beato Angelico a Giacomo Puccini, e che portò la figura del frate pittore sul palcoscenico di uno dei maggiori teatri d’Opera di Parigi.

Scaturiti da ambienti molto diversi, entrambi i testi sono intitolati Fra Angelico, ed entrambi gli autori conoscevano vita e opere dell’artista toscano.

In particolare, in uno dei due testi, all’elenco dei personaggi accanto all’indicazione cronologica del dramma, c’è una nota con alcuni cenni biografici del protagonista. E nell’occhiello è riportato l’epitaffio di frate Giovanni da Fiesole, scritta forse da Lorenzo Valla per la sua sepoltura romana.

Non mihi sit laudi quod eram velut alter Apelles; sed quod lucra tuis omnia, Christe, dabam: altera nam terris opera extant, altera coelo.

(non mi si ascriva a lode ch’io fui come un novello Apelle, ma che diedi tutti i miei beni, o Cristo ai tuoi: e alcune mie opere, infatti stanno in terra, altre in cielo).

P.H. Flandrin, Beato Angelico dipinge la crocifissione in San Marco, 1894, Rouen, Musée des Beaux-Arts

Il primo dei due testi trovati fu pubblicato nel 1879 dalla Société Générale de Librairie Catholique e scritto da Jean Baptiste Fougeray, (Rennes 1856-1888) un gesuita che volle cimentarsi in un poema lirico suddiviso in sette scene. Il componimento si presenta in una metrica alquanto zoppicante di alessandrini con rime un po’ indigeste e l’azione è praticamente inesistente. Il dramma, tutto psicologico e devozionale, è cronologicamente ambientato nel 1440. Fougeray offre un’immagine del pittore che oggi ci appare folcloristica e melensa. La trama dovrebbe riuscire a ruotare attorno alla specificità dell’artista, in quanto fervente religioso.

Oltre al protagonista, unici altri due personaggi sono il converso Agostino, e Antonio, un giovane pittore a bottega dal maestro (laico) Matteo. Quest’ultimo viene solo citato e rappresenta il modello di artista spensierato e superficiale in contrapposizione al frate pittore. 

La scena si apre su “un atelier di pittura del XV secolo, una grande tela su di un cavalletto. Prima della levata del sipario, si sente l’Andante della quinta sinfonia di Mendelssohn.”

Fra Angelico, nel suo lungo monologo della prima scena e in accordo con la musica iniziale, ci si presenta secondo un cliché tipicamente romantico, in preda a tormenti che gli rendono sofferta la creazione artistica.

En vain s’élève ai ciel ma prière plaintive,

en vain mon espérance attend

d’heure en heure s’étenit la loueur fujitive

et ma veine craintive

s’épuise à tout instant.

(Invano si alza al cielo la mia preghiera dolente, invano la mia speranza attende, di ora in ora, si attenua il chiarore fugace e la mia vena creatrice, da un momento all’altro si esaurisce).

In altri momenti l’autore si allontana drasticamente dal ritratto vasariano di un pittore che: “aveva per costume non ritoccar mai alcuna sua dipintura, ma lasciarle sempre in quel modo che erano venute la prima volta, per creder (secondo ch’egli diceva) che così fusse la volontà di Dio.”

In particolare, quando il converso Agostino, racconta:

un tableau qu’il avait esquisé.

Sa Vierge à Nazareth, il a tout effacé…

Le travail de dix jours!

(Un dipinto che aveva abbozzato, la sua Vergine di Nazareth ha del tutto cancellato, il lavoro di dieci giorni!)

L’ingenuità di anacronismi e errori, (il pittore è rappresentato con la tavolozza in mano a fare e disfare per giorni il lavoro, è pari all’enfasi con cui l’autore descrive i patimenti e la frustrazione che immagina Fra Angelico dovesse soffrire nel suo inverosimile, parossistico atto creativo.

La sofferenza appare come valore aggiunto per tutto.

peindre c’est tout pour lui, sa joye et son martyre

(dipingere è tutto per lui, la sua goia e il suo martirio)

Non sappiamo se Fougeray avesse realmente visitato il convento di San Marco, e ne avesse mantenuto memoria vivida, anche se confusa. Nel suo ricordo, infatti, il san Domenico che abbraccia la croce, che si vede subito entrando nel Chiostro di Sant’Antonino, si confonde col san Pietro martire che invita al silenzio. Le due figure dipinte da Fra Angelico, fuse nel racconto della quinta scena in un’unica immagine, risultano ad Agostino, più convincenti di quelle pur magistralmente dipinte dal maestro Matteo.

“…Chaque fois que l’on entre ou qu’on sort, on le voit

Sur sa lèvre inspirée il applique le doigt, et toujours en passant

Tant ce tableau me touche,

Il faut qu’aussi mon doigt, se porte sur ma bouche

Même le premier jour que je vins au couvent,

je me laissait tomber à deux jeneux devant

Bonnement j’avais cru voire le Saint m’apparaître

Qui voudrai s’y tromper làbas chez votre maiître

C’est bien peint, très bien peint; qu’on me dise pourquoi.

Ce Père si bien fait n’est pas mon Père à moi

(Ogni volta che si entra o si esce lo si vede, sulle labbra ispirate posa il dito e sempre passandovi davanti, questo dipinto mi commuove e allora bisogna che anche il mio dito deve portarsi alla bocca. Anche il primo giorno che venni al convento, mi ci lasciai cadere in ginocchio davanti. Sinceramente avevo creduto vedere apparirmi il Santo. Chi volete si inganni lì dal vostro maestro?)

E qui riecheggia Vasari:

et i Santi che egli dipinse, hanno più aria e somiglianza di Santi, che quegli di qualunche altro”.

Nella sesta scena, l’azione raggiunge l’apice della tensione. Antonio confida le proprie inquietudini e l’insoddisfazione di quanto potuto apprendere dal proprio pur abile maestro. In risposta il frate pittore gli racconta della propria vocazione religiosa e artistica.

Doux séjour de la Paix, ravissante Fiesole,

j’étais là, pauvre enfant,que Dieu même attirait

Pas à pas, vers le sanctuaire;

D’innocence d’despair, mon âme s’enivrait

Un jour je crus sentir la la nature entière

Un souffle ardent, un air nouveau.

Des bois du Poggio, des dômes de Florence,

Du pied de l’Appennins et des bords de l’Arno,

J’entendais s’élever une clameur immense.

Je pleurais, j’étais à geneux.

Qui parle? Qui m’appelle? Ah Seigneur si c’est vous,

Si d’un rêve trooper je ne suis point victime,

Si vous dignez vouloir quelque chose de moi,

Révélez à mon coeur votre pensée intime

Un mot de vous, un signe il suffit: j’ai la foi!

[…] Ainsi vers le Seigneur s’envola ma prière;

Quand mon regard soudain fixant la Croix de pierre

Où j’étais appuyé,entre les bras nouyeux du lierre

Je reconnais les traits du Christ humilié.

L’instants d’auparavant, à cette même place

D’aucun dessin je n’avais vu la trace.

O miracle, un charbon s’étant là rencontré

J’avais à mon insu, guidé par le Ciel même,

Dessiné le grand Dieu que la foi m’a montré,

Le Dieu souffrant, le Dieu que j’aime!”

(Dolce soggiorno di pace, incantevole Fiesole, ero lì, povero ragazzino che Dio stesso attirò verso il santuario, un passo alla volta. Il mio animo s’inebriava di innocenza e di speranza e un giorno credetti sentire la natura intera. Un soffio ardente, un’aria nuova. Dal bosco del Poggio, dalle chiese di Firenze, dai piedi dell’Appennino e dai bordi dell’Arno, udivo levarsi un clamore immenso. Piangevo, caddi inginocchiato. Chi parla? Chi mi chiama? Ah, Signore se siete Voi, se non sono vittima di un sogno ingannatore, se Voi degnate volere qualcosa da me, rivelate al mio cuore il vostro intimo pensiero. Una parola vostra, un segno è sufficiente. Ho la fede! (…) Così verso il Signore si leva la mia preghiera, quando il mio sguardo, fissando la croce di pietra a cui ero appoggiato, all’improvviso tra le braccia nodose dell’edera riconosco i tratti del Cristo umiliato. Fino a un istante prima in quello stesso posto non ne avevo visto traccia. Miracolo, avendo trovato lì un carboncino, a mia insaputa e guidato stesso dal Cielo. Avevo disegnato il gran Dio che la fede mi ha mostrato: il Dio sofferente, il Dio che amo).

Mentre nel successivo monologo il frate introduce il tema della propria morte, verso cui si avvia serenamente.

Antonio sente di avere finalmente trovato quel che gli mancava e a cui tendere. Con le sue parole si chiude il poema, in un’invocazione che, fatta la tara della “souffrance”, potrebbe essere ancora oggi rivolta a chi visita il Museo di San Marco.

Quand vous venez au monastère,

Enfants aux ris joyeaux et frasi,

Ah! N’en troublez pas le mystère 

Car le génye est là tout près.

Sa lumière est l’innocence, 

La solitude est son séjour,

Son feu divin c’est la souffrance,

Sa vie entière c’est l’amour.”

(Quando venite al convento, fanciulli dal riso gioioso e fresco, ah, non turbate il mistero poiché il genio è qui appresso. La sua luce è l’innocenza, la solitudine, la sua dimora. La sofferenza è il suo fuoco divino, sua vita intera è l’amore.)

Chiostro di Sant’Antonino, Museo di San Marco, Firenze

Il Fra Angelico di Maurice Vaucaire all’ombra di Giacomo Puccini

Maurice Vaucaire, (nato nel 1863 a Versailles e morto nel 1918 a Neuilly-sur-Seine), autore dell’altro dramma intitolato Fra Angelico, era stato, forse in compagnia di Giacomo Puccini, al Museo di San Marco. Caduto del tutto nell’oblio, fu romanziere, drammaturgo, poeta e scrittore di fortunate canzoni, operette e libretti d’Opera. Vaucaire si era occupato anche per Puccini delle trasposizioni in francese di Manon Lescault e de La fanciulla del West.

Maurice Vaucaire, drammaturgo e romanziere francese

Oltre a elaborare la versione francese di queste due Opere, per Puccini Vaucaire si era impegnato anche nell’individuare e adattare, per possibili libretti, testi esistenti.

Gli editori di Puccini, però, dimostrando il solito infallibile fiuto, già dagli inizi di questa collaborazione, non esprimevano grande fiducia nello scrittore francese e Giulio Ricordi nel 1905 scriveva a Giacomo Puccini:

 “…Stupore poi, anzi stuporone, provo nel leggere il nome di Vaucaire, un bagolone di cui conosco alcuni mostruosi concepimenti librettistici, […] Come mai è entrato questo Vaucaire?

In effetti, in tanti anni, nessun progetto di quanti iniziati con lui da Puccini andò a buon fine. Nonostante i vari tentavi tesi anche a risolvere le diatribe legali a cui Puccini andò incontro, interrompendo all’improvviso il lavoro intrapreso con lui per Conchita, Opera tratta da La femme et le pantin di Pierre Luoÿs. Anche altre idee di testi da cui far trarre a Vaucaire libretti musicabili da Puccini, non portarono a nulla di fatto. Fintanto che Vaucaire, per vedere retribuito il lavoro comunque già svolto, dovette rivolgersi agli avvocati di Ricordi. Il rapporto di amicizia tra Puccini e Vaucaire, iniziato nel 1905 si protrasse fino al 1918, anno della morte di Vaucaire, che più volte era stato ospite in Toscana da Puccini.

«tes lettres me montrent combien tu est un ami» (le tue lettere mi dimostrano quanto tu sia un amico) gli scriveva Puccini nel 1915.

Luigi De Servi, Ritratto di Giacomo Puccini, 1903, Fondazione Puccini, Lucca

Il Fra Angelico di Maurice Vaucaire, nella forma di Tableau Musical e con le musiche di Paul Hillmacher, fecondo e eclettico compositore attivo a Parigi dalla fine del XIX secolo, viene rappresentato a Parigi al Teatro dell’Opéra Comique nel 1924, e viene laconicamente citato da Georges Aurio sul Nouvelles littéraires artistiques et scientifiques del 14 giugno di quell’anno.

Il testo si articola in dodici scene, anche se la trama si condensa in un contrasto tra amore sacro, trionfante, e amore profano, drammaticamente sconfitto. L’azione è posta con precisione ma erroneamente nel 1417 e si svolge nel cortile del convento di Sant’Agnese, (forse quello domenicano di Santa Caterina) a Borgo San Lorenzo. 

A sinistra la cappella a destra il convento, in fondo il cancello aperto sui campi di Borgo San Lorenzo”.

Il sipario si apre su Beato Angelico inverosimilmente “davanti ad un affresco cominciato, con la tavolozza in mano, in un attitudine pensosa”.

La pièce inizia con un primo scambio di battute della Madre Superiora con Fra Giovanni e subito viene citato il convento di San Marco:

Bisogna chiamare I bambini, I nostri cari, piccoli modelli? Chiede la Madre Superiora

Se volete, sorella, il muro è pronto”, risponde il frate, alludendo alla reale tecnica dell’affresco.

– M.S.: – Osiamo sperare un’Annunciazione, come al convento San Marco a Firenze

– F.A: – Desidero dipingere una ronda di giovani angeli nell’azzurro o su di uno dei sentieri fioriti del paradiso”.

Dopo l’invocazione del frate pittore alla Vergine, “Vergine Santa, pregate per me, concedete ai miei indegni pennelli la celeste ispirazione. Che il mio disegno si illumini dei purissimi raggi della Vostra divina aureola, che abbia l’armonia della viola e la fermezza della fede. Vergine Santa, pregate per me!.

Entrano nella III scena i piccoli cori dei quattro bambini e delle quattro religiose che li accompagnano.

Il protagonista del testo di Vaucaire appare più completo e credibile rispetto a quello di Fougeray, e il suo afflato mistico è meno appesantito da cupezza e sofferenza. Il personaggio risulta più umano e realistico, pur nella sua ingenua seriosità. Oltre ai bambini e alle monache, entreranno in scena Catarina, amica d’infanzia del frate, la nobildonna Cecilia Ubaldini e un mendicante, unico altro personaggio maschile che ha solo poche battute. La figura del mendicante è però centrale nella struttura drammaturgica.

Nella IV scena, consegnando al frate una statuina pagana, “un sacrilège”, che il mendicante aveva trovato nei campi, si introduce nel testo l’elemento dell’arte classica, sacrilega nella sua nudità ma, seppur pagana, perfetto capolavoro. “Decévante merveille!” (meraviglia deludente) la definisce turbato Fra Angelico che, ammirandola, dice di doverla frantumare, ma non oserà farlo e anzi la copierà.

Si è alla comparsa, nelle scene successive, delle altre due figure femminili “mondane” e si arriva così allo snodo dell’intreccio drammatico. Nella VI scena entra infatti Catarina. Di primo acchito il frate non la riconosce, poi arrivano i ricordi dolcemente malinconici della gioventù passata insieme nella campagna di Vicchio.

Le farfalle volavano attorno a noi come dei biglietti dolci, ti ricordi?” Gli chiede la ragazza.

Quando in risposta il frate a sua volta le domanda ora cosa faccia, arriva l’imbarazzante confessione: “ho saputo piacere…Oh! Non ti adirare! Il figlio di Ubaldini che possiede trecento castelli è pazzo di me ed io ne sono folle.

Che sei venuta a fare qui? Le chiede allora il frate.

Catarina spiega che il suo amato è in guerra e lei è venuta a portare fiori alla chiesa, perché egli non muoia. L’irrompere nella scena VII di Cecilia Ubaldini, madre del giovane, introduce l’elemento tragico. L’anziana donna, disperata, cerca conforto presso le monache, dopo aver avuto la notizia della morte in guerra del figlio. Non sa chi sia Catarina, che invece, riconoscendola come madre del suo amante, riceve così, casualmente, la ferale notizia. Catarina decide allora su due piedi di rinunciare alle effimere gioie terrene e cercare la pace nella quiete della vita monacale. Chiede e ottiene di essere subito accolta tra le novizie del convento e in un’apoteosi di celebrazione mistico penitenziale, tutte le donne si uniscono in preghiera. Come si era aperto, così il tableau musical si chiude con la stessa invocazione alla Vergine di Fra Angelico a cui l’autore, in un impavido sforzo poetico, appone i due versi finali.

Guidate la mia mano ignorante, così come Dio lo fece per Dante. Ave Maria”

Suggestioni e coincidenze legano in modo intricato ma innegabile il Fra Angelico di Vaucaire a Giacomo Puccini.

Il Fra Angelico di Vaucaire andò in scena nel 1924, a sei anni dalla morte dello scrittore e a pochi mesi da quella del compositore. Già questa prima coincidenza fa pensare che il testo legasse in qualche modo i due. Si può verosimilmente immaginare che il testo, anche se non accettato da Puccini, essendo stato scritto per lui, fosse comunque vincolato e solo la sua morte ne liberasse la circolazione, permettendo ad altri di musicarlo.

Considerando poi gli argomenti che per molti anni interessarono Puccini e i suoi legami familiari e di amicizia, risulta ancor più sensato, immaginare un legame di Puccini col testo di Vaucaire e, sulla base di questo intreccio, ipotizzare una visita del musicista e dello scrittore francese al Museo di San Marco.

Negli anni della loro frequentazione è noto che le suggestioni della storia toscana e poi della vita religiosa accendevano l’interesse del compositore. Una Margherita da Cortona di Valentino Soldani era stata intrapresa e poi abbandonata. Con Soldani, in una lettera del 1906, Puccini vagheggiava come atmosfera per la sua Opera “un Duecento semplice come si vede nell’architettura delle chiesette e degli affreschi”.

A Florentine tragedy, il dramma incompiuto di Oscar Wilde ambientato nella Firenze del Trecento, era stato a lungo considerato da Puccini con Vaucaire come possibile libretto. Per il secondo quadro del Trittico, l’Opera composta da tre atti unici che andò in scena la prima volta nel 1918, il compositore sceglierà proprio l’ambientazione “claustrale, monacale” della Suor Angelica su libretto di Giovacchino Forzano (Borgo san Lorenzo, 1883 – Roma, 1970) che aveva adattato per il Trittico anche il dantesco Gianni Schicchi.

Manifesto di Suor Angelica, Edizione Ricordi

Sembra più che plausibile che Vaucaire in quegli anni avesse scritto, proprio per proporlo a Puccini, il suo Fra Angelico. Provava forse così ad accontentarlo con un testo che, vertendo sui due elementi della storia fiorentina e della vita religiosa che in quel momento affascinavano tanto Puccini, lo potesse finalmente soddisfare. Nella speranza di riuscire così anche a farsi pagare dai suoi editori.

Giulio Ricordi, Archivio Storico Ricordi, 1912

Fatto sta che dopo vari ripensamenti e lamentandosi con Giulio Ricordi della quantità di “libretti da rigattiere” che gli erano stati proposti, Puccini, nel 1915 approda per il secondo quadro del Trittico, al libretto di Forzano Suor Angelica, e se ne dichiara finalmente, subito entusiasta. Esso presentava infatti quell’atmosfera mistica e rarefatta che il compositore andava cercando da tempo. Oltre all’evidente coincidenza del titolo, è suggestivo che nella Suor Angelica ci si ritrovi, come nel testo di Vaucaire, la predominanza quasi totale di voci femminili. Così come, nella seconda scena del Fra Angelico di Vaucaire, la presenza del coro dei bambini con piccoli interventi solistici, scanditi da richieste e capricci, fa inevitabilmente pensare al secondo quadro di Bohème.

Considerando ora il Museo di San Marco come possibile fonte di ispirazione sia per Puccini che per Vaucaire, va tenuto presente che Igina Puccini, la “sorella monachina” del compositore lucchese, era Madre Superiora del monastero agostiniano della Visitazione a Vicopelago col nome di Suor Giulia Enrichetta.

Pietro Panichelli, uno degli amici più cari di Puccini, finché poté reggere sotto la dura disciplina domenicana, (che certo confliggeva con la sua passione smodata per il teatro d’Opera), era stato frate proprio nell’ordine di Fra Giovanni da Fiesole. Panichelli racconta anche dello stretto legame di Puccini con la sorella e di quanto questa vicinanza avesse contribuito nella stesura della Suor Angelica, interamente ambientato in un convento di monache di clausura. Panichelli racconta che Puccini aveva licenza di eludere la clausura del monastero della Visitazione per “studiare” la reale vita delle religiose e sottoporre alla sorella, grande appassionata e conoscitrice di musica, la propria composizione. Puccini era infatti notoriamente molto scrupoloso nel voler conoscere le reali ambientazioni delle proprie Opere e allo stesso Panichelli si era rivolto anche per Tosca per averne “consulenze” su sonorità e testi ecclesiastici.

Con queste premesse risulta probabile che Puccini e Vaucaire, magari su indicazione dei due religiosi vicini a Giacomo, si fossero recati in visita al Museo che fino a mezzo secolo prima, era stato convento domenicano e che tanto apprezzamento all’epoca cominciava a riscuotere in Europa. Proprio in quegli anni, infatti, il museo si stava ampliando con l’istituzione della sezione del Museo di Firenze Antica, con l’eco di polemiche seguita agli abbattimenti del Vecchio Centro storico.  Certo è che Maurice Vaucaire, che nel testo del suo Fra Angelico fa esplicito riferimento all’Annunciazione di San Marco, conosceva o comunque evidentemente era interessato alla vita e alle opere di Beato Angelico.

Sappiamo con certezza che Puccini era a Firenze durante le prove di Manon Lescault, la cui prima andò in scena al Teatro Palignano, poi Verdi nel 1894 e nel 1912, per quelle de La Fanciulla del West, le due opere riadattate da Vaucaire. È più che probabile che Vaucaire per l’occasione fosse anch’egli a Firenze, considerato che era stato più volte in Toscana per lavorare con Puccini a diversi progetti.

In quest’ottica, l’ipotesi di una visita ispiratrice anche al Museo di San Marco, risulta quanto mai verosimile.

Vaucaire, morto nel 1918, poteva forse anche già non stare bene, negli anni in cui Puccini approdava al libretto di Forzano. O forse, a causa della Grande Guerra, con lui non era possibile la collaborazione stretta e continuativa che Puccini era solito mantenere coi propri librettisti.

Al momento mancano prove che Puccini avesse letto il Fra Angelico di Vaucaire e, comprensibilmente, lo avesse escluso, optando poi per la Suor Angelica di Forzano. Qui la vicenda drammatica imperniata sulla maternità negata, ha una tragicità reale e moderna, che non si può paragonare a quella quasi farsesca del francese Fra Angelico.

Pur in mancanza di prove, gli indizi che collegano comunque il testo di Vaucaire al genio lucchese e questi, indirettamente al Beato Angelico, ci sembrano comunque significativi del meraviglioso imprevedibile legame che nella storia collega a volte artisti di culture e sensibilità assolutamente diverse.

Certo, Fra Giovanni da Fiesole mai avrebbe potuto immaginare che la sua figura di “dipintore” sarebbe stata rappresentata cinque secoli dopo la sua morte, in Francia, e sul palcoscenico di uno dei più famosi teatri d’Opera della Ville Lumière, lui che di ben altra luce era Maestro.

Silvia Andalò

Michel Dumas, Fra Angelico in preghiera, 1845, Musée d’art et d’histoire, Langres

Traduzioni dal francese dell’autrice

Un ringraziamento a Giovanna De Simone, Archivio Storico Ricordi

Per saperne di più:

Giorgio Vasari Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architetti nelle edizioni del 1550 e 1568, Sansoni, 1967-69

Jean Baptiste Foujeray, Fra Angelico, Société de librerie catholique Paris-Bruxelles, 1879

Maurice Vaucaire, Fra Angelico, Max Eschig Et Cie, Paris, 1924

Pietro Panichelli, Il pretino di Puccini, Nistri Lischi, 1936

Eugenio Gara (a cura di), Carteggi pucciniani, Ricordi, 1958

Elsa Morante, Il Beato propagandista del Paradiso, in Umberto Baldini (a cura di), Beato Angelico, opera completa, Rizzoli, 1970

Venturino Alce, Angelicus pictor, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1993

Umberto Eco, La leggenda della terra piatta, in «La Repubblica», 23 febbraio 2009

AA.VV. Giacomo Puccini nei teatri del Mondo, Atti sul Convegno Internazionale di Studi 11, 12, 13 dicembre 2008, Istituto storico lucchese, 2013

Melania Mazzucco, Il museo del mondo, Einaudi, 2014

Andrea Camilleri, Noli me tangere, Mondadori, 2016

Massimo Cacciari, Generare Dio, Il Mulino, Bologna, 2017

Ilaria Miarelli Mariani, “…Avec Beato Angelico pour Diieu Appunti per la fortuna visiva del Beato Angelico in Beato Angelico L’alba del Rinascimento, 2009

Sul web:

Archivio Storico Ricordi Collezione Digitale

Alessandro Santini, L’Angelico a San Marco raccontato da Padre Marchese (prima puntata, seconda puntata, terza puntata, quarta puntata, quinta puntata, sesta puntata, settima puntata)

Carmelo Argentieri, Guido Carocci a San Marco: un museo tra arte e storia

Lascia un commento