L’Eredità delle Donne, quest’anno alla sua quinta edizione, è ormai un appuntamento irrinunciabile per il Museo di San Marco. Nel 2021 è stata la volta de Il beato propagandista del Paradiso, una lettura scenica dal testo che Elsa Morante scrisse nel 1970 a prefazione del volume rizzoliano dedicato a Beato Angelico. Quest’anno che il tema del festival è “Queen & Peace”, guerra e pace, potere e leadership, il corpo delle donne come territorio di battaglia politica, la nostra scelta è caduta inevitabilmente su Caterina da Siena, mistica, teologa, messaggera di pace e scrittrice di eccezionale vigore espressivo, con un reading dal titolo “Sangue e fuoco”, una selezione di brani dal suo monumentale epistolario.
Grazie alla collaborazione con l’Associazione culturale C.A.U., che con la consueta generosità ha immediatamente aderito all’iniziativa, sarà possibile ascoltare la lingua densissima di Caterina cui darà corpo e voce Adele Scuderi, accompagnata al violoncello da Chiara Remorini, con la regia e l’adattamento di Sergio Amato.
Di Caterina da Siena, che pure nel 1939 Pio XII proclamò patrona d’Italia insieme a Francesco d’Assisi, si sa forse qualcosa della vita, ma se ne ignorano le opere. Si pensi che non esiste ancora una edizione critica completa delle sue 381 lettere, scritte tra il 1367 e il 1380; un’opera interamente in volgare, di una mole inaudita per una donna del suo tempo. Solo in epoca recente si è cominciato ad accostarla ad autori suoi contemporanei come Petrarca, Boccaccio e Coluccio Salutati, che nella storia della letteratura italiana sono considerati i padri dell’umanesimo quattrocentesco. Eccezionalmente si fa riferimento a qualcuno dei suoi scritti per ricavarne frasi fuori contesto. La sua stessa esistenza, così intensamente votata alla riforma della Chiesa, al ritorno del papato a Roma ai tempi dello scisma avignonese, e alla promozione di una Crociata per salvare le anime degli infedeli, continua a turbare e quasi a infastidire. Così come alcuni aspetti della sua personalità impulsiva e imperiosa, radicale e contraddittoria. Anoressica o affamata di verità? Antesignana del femminismo nella storia del cristianesimo medievale, o interprete di un modello di spiritualità femminile non più replicabile? Sostenitrice della condizione monastica o di quella penitente e laica cui aderì per essere più libera di intervenire nella storia? Qualche ragione per incasellarla e ridurla a stereotipo si trova sempre, se non si accetta la sua complessità.
A dirla tutta, Caterina, non è di primo acchito una santa simpatica. Lo stesso Johannes Joergensen, scrittore e poeta danese convertito al cattolicesimo, autore della prima biografia storica sulla Santa, pubblicata nel 1915, nella prefazione scriveva: «Per essere sincero, debbo dichiarare che da principio provavo minor simpatia per Caterina da Siena che per Francesco d’Assisi. Nella natura energica della Senese v’è un certo spirito di dominio, un elemento di tirannia che mi dispiaceva».
In realtà, nonostante la sovrabbondanza di fonti letterarie e iconografiche di cui disponiamo, soprattutto dopo la canonizzazione del 1461 (soltanto nel Museo di San Marco la sua figura è disseminata nelle sale in vari ritratti, alcuni di commovente delicatezza), gli studi su Caterina sono rimasti un po’ indietro. Va anche detto che nei secoli è stata spesso vittima di strumentalizzazioni e malintesi. Un bellissimo libro di André Vauchez (Caterina da Siena. Una mistica trasgressiva, Laterza, 2016), cerca di fare chiarezza sui tanti equivoci che ne hanno, nel tempo, condizionato la conoscenza.
Gli stessi suoi agiografi medievali, Raimondo da Capua con la Legenda maior e Tommaso Caffarini con la Legenda minor e il Libellus de supplemento Legendae Prolixae, che pure l’avevano conosciuta e seguita nelle sue missioni diplomatiche (in particolare Raimondo da Capua), nello sforzo di promuoverne la canonizzazione cercarono di ridimensionare gli aspetti atipici e fuori dalla norma della sua vita, per ricondurli a un modello di spiritualità femminile più digeribile per le autorità ecclesiastiche. Avevano ragione di credere che il temperamento indomito, la febbrile militanza religiosa fuori dal convento, la sua condizione di donna che senza autorità si impicciava negli affari della Chiesa, potessero compromettere la causa di santificazione. Perciò ne smussarono tutte le spigolosità, rappresentandola come una contemplativa mansueta, una “vergine santa”, costretta dalle circostanze a gettarsi nell’agone politico. Sul fatto che sapesse scrivere, in un tempo in cui l’accesso alla scrittura era negato a qualsiasi donna che non fosse di rango nobiliare, rimangono reticenti: stanno attenti a far credere che le sue opere non nascessero dall’audacia di un carisma personale, ma dalla soprannaturale ispirazione dello spirito santo, e che fossero da lei dettate in stato di trance ai membri maschi della sua laica “famiglia” elettiva.

La sua vita fu breve. Nata a Siena nel 1347, ventitreesima figlia di un tintore, Iacopo Benicasa e della sua seconda moglie, Lapa di Puccio di Piangente, Caterina fin da piccola decide di sottrarsi ai progetti matrimoniali materni. Dopo la morte di parto dell’amata sorella Buonaventura, quando la famiglia vuole darla in sposa al cognato vedovo, si ribella e riesce a entrare a sedici anni, con non pochi sforzi, nel Terz’Ordine domenicano, la confraternita delle Mantellate. La scelta di non chiudersi in convento ma di conservare lo status laicale, le consente di vivere nella sua casa, presso la famiglia, dove si ricava una piccola cella, vestendo la tunica bianca e il nero mantello delle Mantellate. Trascorre la prima parte della vita dedicandosi alla cura degli ammalati, lebbrosi e appestati, e dei carcerati della sua città, secondo il programma di “opere misericordiose” che la Chiesa proponeva allora ai laici come mezzo per accedere alla santità. È questo il periodo in cui incontra William Flete, un eremita agostiniano inglese che viveva a San Leonardo al Lago, e che era assai influente nella società senese del tempo. Flete la convince che il peccato non è una realtà, ma una mancanza d’amore, e che costituisce, come scriverà Caterina in seguito, «quella cosa che non c’è», mentre Dio si definisce come pienezza dell’essere. Comincia ad avere esperienze di estasi e le prime visioni: in una di queste le appare Cristo che le offre in dono il proprio cuore in cambio di quello di lei.

In un’altra visione, Cristo la sposa misticamente, donandole un meraviglioso anello invisibile. Da quel momento Caterina si sente legittimata a uscire dal suo ritiro – la “cella del cognoscimento” la definirà nella prefazione al Dialogo della divina provvidenza, dove dimorava la sua anima «ansietata di grandissimo desiderio» – per impegnarsi pubblicamente nel mondo allo scopo di salvarlo. Non tarda a riunire intorno a sé, grazie al suo carisma, una cerchia informale di discepoli e devoti, uomini e donne, che diventano la sua “famiglia” spirituale, una sorta comunità affettiva che la segue ovunque. Si tratta di amici e professionisti appartenenti alle classi agiate e istruite, come notai e dilettanti poeti, da cui viene chiamata “mamma”. Ad alcuni di loro, i segretari, Caterina detta le sue lettere, scritte «nel prezioso sangue di Cristo», indirizzate a pontefici, cardinali della Curia, sovrani europei, nobildonne, familiari e monache. La missione a cui si sente chiamata si traduce in un’attività di apostolato talmente radicale da apparire ai suoi contemporanei sovversiva. Il suo fervore religioso le crea subito un grande seguito popolare, ma desta anche qualche sospetto di eresia. L’ordine domenicano corre subito ai ripari. Il capitolo generale del 1374 sottopone Caterina a un lungo interrogatorio; lei lo supera brillantemente, ma la sua passione religiosa viene affidata al controllo del teologo domenicano Raimondo da Capua. Da direttore spirituale e confessore che doveva essere, Raimondo rimane soggiogato da Caterina e diviene il suo più convinto sostenitore. Nel 1376 la accompagna in Francia, ad Avignone, per incontrare papa Gregorio XI, al quale Caterina si rivolge pregandolo di bandire una crociata in Terra Santa e di riportare di nuovo la sede papale a Roma. Non è la sola ad avanzare tali richieste in quel momento storico, ma di fatto, per una serie di circostanze fortunate, dopo il suo intervento il pontefice rientra in Italia. A Pisa, mentre è in preghiera davanti a un crocifisso, riceve le stigmate. Di questo miracolo non c’è traccia nei suoi scritti. I suoi agiografi, soprattutto Tommaso Caffarini, parlano di stigmate “invisibili”. La questione farà infuriare i francescani, certi che solo a Francesco fosse stata concessa tale grazia. Secondo la tradizione Caterina muore a Roma nel 1380, a soli trentatré anni. Viene canonizzata dal pontefice senese Enea Silvio Piccolomini, Pio II, nel 1461. Da quel momento il suo culto conosce una diffusione capillare in Europa. Il desiderio della città natale di poterne avere le reliquie porta allo smembramento della salma, così che la testa è conservata a Siena e il resto del corpo nella Chiesa di Santa Maria Sopra Minerva a Roma, dove è sepolto anche Beato Angelico. Caterina è stata dichiarata dottore della Chiesa da Paolo VI nel 1970, in un momento in cui il Concilio Vaticano II poneva l’accento sul ruolo determinante che il laici possono svolgere in una Chiesa concepita prima di tutto come una comunione. Anni dopo, nel 1999, Giovanni Paolo II la proclama patrona d’Europa con Brigida di Svezia, rivalutando di fatto il profetismo e il ruolo delle donne all’interno della Chiesa cattolica.
Caterina è anche una delle maggiori promotrici della riforma dell’ordine domenicano. Il movimento dell’Osservanza domenicana si è ispirato alla vita e all’esempio della Senese, secondo una linea riformatrice che ha avuto successivamente in Giovanni Dominici, Antonino Pierozzi e Girolamo Savonarola, i suoi più convinti sostenitori.

Riproporre oggi alcuni passi delle lettere di Caterina da Siena, appena un briciolo di una produzione sterminata, è un’occasione straordinaria per abbandonarsi al pathos della sua scrittura miracolosa e per ritornare al cuore della sua azione politico-teologica, senza le tante incrostazioni che si sono accumulate sulla sua figura nel corso dei secoli. Alcuni studi recenti si sono soffermati sugli aspetti linguistici e sulle strategie retoriche dell’epistolario cateriniano, per rilevarne le caratteristiche di unitarietà e le variazioni in rapporto al destinatario e all’argomento. Al di là delle formule protocollari degli incipit, in tutte le lettere si riconosce il tono inconfondibile della voce di Caterina: oratorio, profetico, veemente e affettuoso insieme.
Caterina si è incaricata, come ambasciatrice di Dio, di inviare all’umanità moniti e appelli per il raggiungimento della salvezza. Il suo stesso corpo era un appello vivente. Un corpo apparentemente negato, ma che Caterina usa in modo smisurato, come luogo di enunciazione della Parola divina. Come lei molte “visionarie” ispirate e mistiche hanno implorato la riforma della Chiesa, inaugurato nuove forme di vita religiosa, e si sono infaticabilmente impegnate per strappare le autorità secolari ed ecclesiali alla loro colpevole inerzia, dando l’esempio di un coraggio inflessibile e della più totale abnegazione. I messaggi trasmessi da queste donne – nel caso di Caterina per iscritto – non avevano nulla di sovversivo: la loro funzione consisteva nel ricordare ai propri contemporanei che Dio è amore, Cristo è morto per i nostri peccati, il papa assolve il suo mandato solo se risiede a Roma. Sono suppliche che ci interpellano anche oggi, esortandoci ad assumere la responsabilità della nostra vocazione, qualunque essa sia. Tutte queste donne sono accumunate dal medesimo slancio profetico e riformatore, da Brigida di Svezia a Giovanna d’Arco, fino a Teresa d’Avila. La specificità di Caterina, però, sta tutta nell’audacia che ha avuto di uscire dalla sfera privata, di opporsi a un destino che la voleva segregata in casa o in un convento, per conquistarsi lo spazio pubblico e ribaltare a proprio vantaggio il rapporto di dipendenza che normalmente le donne intrattenevano nei confronti degli uomini, dei potenti di questo mondo e dei dotti.
Caterina merita tutta la nostra attenzione, non solo perché prima donna del Medioevo, incolta e di modeste origini, di cui si abbia un corpus considerevole di opere, le Lettere, Il Dialogo della divina provvidenza e le Orazioni. Ma soprattutto perché con impeto sanguigno e ostinazione ferrea ha sfidato le gerarchie ecclesiastiche del tempo, riuscendo a non farsi incastrare in un ruolo che la voleva spiritualmente remissiva e subalterna al potere.
Carmelo Argentieri

Per info sull’evento al Museo di San Marco all’interno del Calendario OFF dell’Eredità delle Donne cliccare qui
Per saperne di più:
Rita Librandi, Le strategie del chiedere nelle «Lettere» di Caterina da Siena, in “Quaderns d’Italià”, 2001
Silvia Nocentini, La legenda maior di Raimondo da Capua: una eredità condivisa, in Virgo digna coelo Caterina e la sua eredità. Raccolta di studi in occasione del 550° anniversario della canonizzazione di santa Caterina da Siena (1461-2011), a cura di Alessandra Bartolomei Romagnoli, Luciano Cinelli, Pierantonio Piatti, Libreria Editrice Vaticana, 2013
Johannes Joergensen, Santa Caterina da Siena (A. Scarciglia, G. Di Ciacca, a cura di), Cantagalli, 2016
André Vauchez, Caterina da Siena. Una mistica trasgressiva, Laterza, 2016
Per l’edizione critica in fieri delle lettere di Caterina da Siena e per una bibliografia aggiornata si veda: http://www.dekasisime.it/