Hanna Kiel, dalle tenebre della guerra alla luce del Beato Angelico

Tra le figure che giganteggiano nella storia del Museo di San Marco, appare defilata l’immagine di una donna. Il suo nome è Hanna Kiel. Nata ad Amburgo nel 1898 e morta a Firenze nel 1988, è stata una conoscitrice arguta e appassionata della cultura italiana, coinvolta nelle grandi vicende storiche e artistiche del Novecento.

Con lei il Museo di San Marco ha un debito di riconoscenza che qui proviamo a saldare, impegnandoci almeno a fare emergere dall’oblio la sua figura eclettica.

Hanna Kiel tra Giorgio Bonsanti (a sinistra) e Luciano Berti (a destra)

Nel 1986, su iniziativa di Giorgio Bonsanti, allora consigliere comunale, il Comune di Firenze le ha conferito Il Fiorino d’oro per aver finanziato il restauro de La presentazione al Tempio di Ambrogio Lorenzetti e del Dittico di Urbino di Piero della Francesca. Nel Cenacolo di Santa Apollonia resta a sua memoria una targa, come segno di gratitudine della città di Firenze e della Soprintendenza, per aver provveduto al restauro degli affreschi di Andrea del Castagno dopo l’alluvione del 1966. A Hanna Kiel è intitolata una borsa di studio presso Villa I Tatti, sede fiorentina della Harvard University. Nel 1990, in sua memoria, si è tenuto un concerto nel duomo di Fiesole. Nel 2021 appare come personaggio nel romanzo La bambina n. 37 di Christian Gálvez, ispirato in parte a storie vere.

Concerto al Duomo di Fiesole, 5 Settembre 1990, In Memoria di Hanna Kiel

Nonostante questi pubblici riconoscimenti, su Hanna Kiel non si trovano facilmente informazioni, men che meno in italiano.

Restano le sole prime edizioni dei suoi romanzi brevi, gli articoli su arte e società, il catalogo del Museo del Bigallo e quelli di collezioni private di cui fu curatrice. Rimangono le sue traduzioni e raccolte dei testi di Bernard Berenson, che firmava a sua volta la prefazione a un saggio di Hanna sul paesaggio nella pittura rinascimentale. Emerge l’impegno della storica dell’arte anche nell’editoria, per la diffusione in Germania dei grandi autori italiani del ‘900 e, di interesse soprattutto storico, la cronaca che scrisse del passaggio a Fiesole della ritirata tedesca da Firenze.

Il suo volto, oltre che da alcune foto, ci appare ritratto nei due busti in bronzo e gesso esposti oggi a Berlino nel Georg Kolbe Museum, per anni creduti Ritratto di giovanetto.

Georg Kolbe, Ritratto di Hanna Kiel (gesso), 1928, Georg Kolbe Museum

Su Hanna Kiel sembra però gravare una coltre di silenzio, che è il caso di provare a sollevare, approfittando della preziosa testimonianza di chi l’ha conosciuta. Ringraziamo Giorgio Bonsanti che abbiamo scoperto esserle stato amico. I suoi ricordi personali, che ha accettato di condividere con entusiasmo e disponibilità, ampliano con la vivacità della testimonianza diretta la conoscenza del contesto storico e artistico in cui Kiel è vissuta. La frequentazione di Bonsanti con Hanna era iniziata da bambino sulle colline di Fiesole, dove Kiel, oltre che vicina di casa in via delle Palazzine, era già amica dei suoi genitori. Si era così creata tra i due una grande confidenza che arricchisce di particolare rilievo e colore il ritratto che di Hanna Kiel si va delineando.

Hanna Kiel, 1986 (Archivio Villa I Tatti)

Le parole di Bonsanti ci rivelano l’immagine di una donna dal carattere forte, schivo e con non poche rigidità. Metodica nello studio, inflessibile nelle abitudini. Anche se queste interferivano col riposo degli amici: “Pronto? Ecco la scocciatrice notturna!” questo l’incipit delle frequentissime telefonate che, sempre verso la mezzanotte, Bonsanti riceveva da Hanna. La quale, seppur conscia dell’orario inopportuno, perseverava a oltranza a chiamarlo di notte, ad onore della pazienza della sua allora giovanissima moglie. Il racconto fa certo sorridere, ma indica anche chiaramente quella di Hanna Kiel come una personalità alquanto impegnativa.

Il suo carattere particolare non deve aver contribuito a farne risaltare la poliedrica figura. Va anche considerato che le donne della sua generazione raggiungevano ruoli accademici o istituzionali, tali da consacrarne le doti, solo in casi eccezionali. Per cercare di capire l’oblio in cui Hanna Kiel è caduta, si deve forse anche tener conto l’avere avuto una vita sentimentale libera e anticonformista e, non ultimo, l’essere tedesca in un Paese che avvertiva ancora il peso enorme delle tragedie del nazifascismo. Come lei stessa racconta ne La battaglia sulla collina: Fiesole una cronaca del 1944, era stato però, a detta di un militare tedesco, proprio «quel carattere singolare che le aveva salvato la vita», quando, durante il passaggio del fronte nell’agosto del 1944, la sua casa era stata confiscata dai soldati e con l’intera comunità della zona si era rifugiata a Fontelucente. Era accaduto che lei, senza scomporsi, sotto minaccia di morte, aveva apertamente rifiutato di obbedire all’ordine di lasciare quel luogo. Era lì che, in quegli stessi convulsi giorni, col giovane priore Giustino Formelli riusciva a mettere in salvo diverse persone.

Vissuta nel fulcro degli orrori della Seconda Guerra Mondiale, Kiel, sia in Germania che in Italia, pare fosse riuscita a muoversi per lo più in una bolla protetta di bellezza e libertà. Adoperandosi nei limiti dei propri mezzi e delle proprie risorse intellettuali, morali e finanziarie, è riuscita a fronteggiare in alcuni momenti la tragedia, e si è potuta rendere utile alla salvezza di persone ed opere d’arte.

Rimasta presto orfana e lasciata Amburgo, Hanna Kiel era cresciuta tra Lubecca e Berlino, dove aveva studiato letteratura e storia dell’arte, ottenendo un dottorato in Scienze Umanistiche. Nei primi decenni del Novecento lavorava come redattrice per la rivista “Genius” e frequentava la cerchia di giovani talenti che, spesso in maniera appariscente, si rifiutavano di aderire ai costumi del tempo e si opponevano al nascente regime nazista. Tra loro Erika e Klaus Mann, di cui Hanna fu molto amica e che presto dovettero entrambi fuggire negli Stati Uniti. Con Hanna restarono in Germania, tra gli altri, la scrittrice e fotografa Annemarie Schwarzenbach, alcuni amici editori e la scultrice Renée Sintenis, cui Hanna fu molto legata. Conserverà sempre con sé un suo autoritratto e a lei aveva affidato la copertina di Trientalis il fiore a sette petali, una novella ambientata a Venezia.

Nel 1935 Hanna Kiel aveva curato il catalogo ragionato delle opere di Renée Sintenis. In quel testo, come già aveva fatto nella rivista “Frauen Tribüne”, analizzava in modo lucido e assertivo il diritto delle donne di esprimersi e affermarsi nella vita privata come nel mondo dell’arte. In particolare attorno alla scultura di Sintenis, caratterizzata da statue di dimensioni molto ridotte che rappresentano concentrati di vigore e movimento, vertono i ragionamenti di Kiel sulla forza creatrice delle donne che la società e la critica del tempo riducevano solo a quella della maternità.

«Erst heute haben die Frauen das Wachstum des Ungeborenen aus sich heraus verlegt. Nicht mehr ihr Blut allein strömt aus ihnen einem neuen Leibe zu. […] Sie sitzen und kneten Menschen aus feuchtem Ton. Sie hauen Gestalten in die Knochen der Erde, ins felsige Gestein».

Per la prima volta oggi le donne hanno spostato fuori di sé la crescita del nascituro. Non più solo il loro sangue scorre verso un nuovo corpo. […] Si siedono e impastano persone con argilla bagnata. Scolpiscono figure nelle ossa della terra, nella pietra rocciosa (Haug, T.d.A.).

La scultrice, pur restando a Berlino grazie a un matrimonio presumibilmente di facciata, come quello tra Erika Mann e Gustaf Gründgens, aveva potuto mettersi al riparo dalle persecuzioni che conducevano ai campi di concentramento anche le persone omosessuali e seguire la propria vocazione artistica di scultrice.

E’ suggestivo che il Festival Internazionale di Cinema di Berlino abbia adottato come premio per il proprio concorso una riproduzione dell’Orso di Sintenis, artista così proiettata verso il futuro in un mondo più libero da stigmi e barriere mentali. Kiel, intanto, avendo in precedenza lavorato come redattrice della rivista “Genius”, era già in contatto con gli editori Kurt Wolff e Hans Mardersteig. Grazie a loro era arrivata a Firenze una prima volta nel 1925, in occasione della Fiera del Libro, come segretaria di edizione della nascente casa editrice specializzata in libri d’arte Prometeus, incaricata di allestire lo spazio espositivo dell’Officina Bodoni. Lavoro che svolse con “gusto e abilità”, dopo il quale continuò a lavorare anche come traduttrice dall’inglese, nella casa editrice fiorentina della Kurt Wolff Verlag (Doni).

È così che Hanna era entrata in contatto con la crème della cultura fiorentina, incontrando tra gli altri Roberto Longhi, e soprattutto inserendosi nella cerchia di Villa I Tatti, in cui spiccavano molte personalità di donne e uomini stranieri accomunati dal libero pensiero, oltre che dall’interesse per le arti.

Col pretesto di ultimare uno studio dal titolo tristemente evocativo, L’influenza del Germanesimo sul Rinascimento toscano, alla fine degli anni Trenta Kiel lascia definitivamente la Germania e si stabilisce in Italia. Qui visse fino alla morte, rifiutando una prima volta nel ‘43 di tornare in Germania, rinnegando il proprio Paese natale, e non mostrando in futuro alcun interesse nel tenere rapporti nemmeno coi figli dei parenti rimasti in patria. A Fiesole, dove è sepolta, visse fino al 1963 nella villa di proprietà di Carmen Gronau, prima di doversi spostare a Settignano nella villa La Porziuncola, della cui precedente illustre inquilina, Eleonora Duse, nel 1940 aveva tradotto una biografia.

Villa la Porziuncola, Settignano
Foto del cimitero di Fiesole con la tomba di Hanna Kiel

Sarà nel gruppo che fonda gli Amici della musica di Firenze, frequentando, pur se amante della vita ritirata di campagna, salotti come quello dei Contini Bonacossi, e artisti come Franz von Lembach e Oskar Kokoschka.

Sulle colline sopra Firenze, dove la si poteva vedere passeggiare col suo inseparabile cane o scorrazzare sulla sua amata 850 coupé, si era radicata l’amicizia con Bernard Berenson e soprattutto con la sua ultima compagna e collaboratrice Nicky Mariano. Il noto connoisseur da anni aveva stabilito la sua prestigiosa residenza a Villa I Tatti in via di Vincigliata, raccogliendo attorno a sé una corte organizzata di persone dedite allo studio dell’arte. Nato in Lituania da famiglia ebrea, emigrata poi in New England, si era stabilito a Firenze dal 1888 dove muore nel 1959. Ormai celebre conoscitore e collezionista d’arte, nella sua Villa, lasciata all’Harvard University alla sua morte, aveva creato un’oasi di civiltà, rimasta tale anche negli anni più bui per l’Italia e da cui non si era voluto mai troppo allontanare, preferendo nascondersi nelle vicinanze, quando fu necessario.

Hanna era presto entrata a far parte del gruppo delle sue allieve e ne era diventata apprezzata traduttrice. Alla raccolta dei testi di Berenson lavorò per molti anni dopo la sua morte, sedendo sempre allo stesso tavolo della biblioteca della sede fiorentina della Harvard University. E’ così che avevano preso forma The Bernard Berenson Treasury (1962) e Looking at pictures with Bernard Berenson (1974).

Hanna Kiel, Bernard Berenson e Nello Bemporad davanti al plastico del Forte Belvedere, Firenze, 1956 (Archivio Locchi)

Va notato però che Hanna nei diari che Berenson scrisse dal 1941 al 1944, pubblicati nel 1950 col titolo di Echi e riflessioni, non è mai ricordata, nonostante Berenson racconti in dettaglio anche sporadiche frequentazioni e accenni infine, ringraziandoli, anche a domestici e contadini sempre solidali e fidati.

Impossibile conoscere la vera ragione di questa assenza. Un’ipotesi azzardata è che Hanna, a differenza delle altre donne citate, non era aristocratica, moglie di notabile, né passata o potenziale amante del passionale storico dell’arte. Del resto Kiel non compare in Berenson da Boston a Firenze di Rachel Cohen, in cui l’autrice si sofferma proprio sull’importanza della presenza femminile nella vita del connoiseur. Eppure risulterebbe che Berenson apprezzasse molto il suo lavoro e che con lui Kiel era rimasta in contatto costante anche quando il noto critico d’arte, americano e figlio di genitori ebrei, aveva dovuto vivere nascosto nel convento di San Francesco di Fiesole.

Il fatto di essere una cittadina tedesca nell’Italia fascista, permetteva a Hanna Kiel di muoversi liberamente e celare le proprie idee antifasciste e le proprie azioni in difesa di chi doveva nascondersi o fuggire, impegnandosi poi, nel 1944, per fare dichiarare Firenze Città Aperta.

Durante quegli anni, già socia del Kunsthistorisches Institut in Florenz, di cui terrà le chiavi quando resterà chiuso, era in contatto con connazionali segretamente avversi al regime e per i quali Berenson nei suoi diari esprime stima e affetto. Il più noto tra loro fu quel Gerhard Wolf, console tedesco in Italia, che in forza del suo importante ruolo diplomatico, riuscì, cooperando col cardinale Elia Dalla Costa e a rischio della propria vita, a salvare parecchie vite umane e evitare la distruzione di Ponte Vecchio.

Lapide celebrativa del Console tedesco Gerhard Wolf, Ponte Vecchio, Firenze

Nell’immediato dopoguerra, per un brevissimo tempo, in quanto tedesca Hanna Kiel fu messa in prigione alle Murate, da dove, chiarito l’equivoco, venne fatta subito uscire. Poté così continuare il suo lavoro come traduttrice e corrispondente di “Prometeus” e consulente editoriale per la Bermann Fischer Verlag. Gottfried Bermann Fischer, fondatore della casa editrice che pubblicava tra gli altri Thomas Mann e Hermann Hesse, dopo avere dovuto trascorrere viaggiando per il mondo gli anni della guerra, nel 1965 si era stabilito in Toscana a Camaiore, dove morì nel 1995. Fu Hanna Kiel, sempre attenta alle novità editoriali italiane, a convincere Fischer e sua moglie Lili Burgermeister, a pubblicare nel 1961 Se questo è un uomo di Primo Levi, in Germania. Scriveva agli editori che «si tratta di un libro scritto per tenere sveglia la coscienza degli uomini di oggi attraverso la conoscenza e la consapevolezza di quanto è accaduto nel nostro tempo e dei pericoli che risiedono latenti nelle persone stesse» (T.d.A.). Fu Kiel a fare conoscere in Germania l’opera di Giorgio Bassani e degli altri grandi autori italiani del tempo come Italo Calvino e Dino Buzzati, pubblicati nella raccolta Italien erzählt. (Haug)

Hanna Kiel, 1986, (Archivio Villa I Tatti)

Intanto, come Villa I Tatti a Firenze, nel centro dell’Europa distrutta dalla guerra, un’altra villa rappresentava un luogo privilegiato e irreale di arte e tranquillità.

Nel 1932 Heinrich Thyssen-Bornemisza aveva acquistato Villa Favorita a Lugano; lasciando l’Austria vi si stabiliva con la famiglia e l’anno successivo iniziava i lavori per accogliere la propria collezione di 300 opere. Qui suo figlio minore Hans Heinrich Thyssen-Bornemisza (Scheveningen 1921 – Sant Felieu de Guìxols 2002), nato in Olanda e cresciuto in Svizzera, alla morte del padre decideva di riunificare la sua collezione di dipinti e iniziava ad ampliarla. Dal padre e dal nonno aveva ereditato il gene del collezionismo d’arte, alimentato in quegli anni da un immenso patrimonio economico, dall’abnorme presenza sul mercato privato di opere di incredibile valore artistico a prezzi irrisori, dalla debolezza della legislazione sul possesso e la circolazione di opere d’arte. Significativa, in tal senso, la vicenda che coinvolse nella storia delle acquisizioni di Thyssen-Bornemisza l’indomito Rodolfo Siviero, che intervenne per cercare invano di bloccare l’espatrio dall’Italia di un crocifisso ligneo del 1200 e che, in un filmato della televisione svizzera, vediamo presenziare ad un nuovo allestimento a Villa Favorita della collezione del barone. Dal1992, ulteriormente ampliata, la collezione è esposta in un apposito museo di Madrid.

Negli anni Sessanta, nell’ambiente ricco e appartato del collezionismo cosmopolita, Hanna Kiel, gravitante ancora nella cerchia di Berenson, era entrata in contatto e poi diventata molto amica di Simon de Pury che sarà per numerosi anni curatore delle collezioni del barone Hans Heinrich. Nel 1974 Kiel cura il catalogo delle opere espressioniste presenti nella collezione Thyssen-Bornemisza.

Quando, come racconta anche Luciano Bellosi, al Museo di San Marco erano finiti i finanziamenti per il restauro degli affreschi del dormitorio iniziati da Dino Dini, fu Hanna ad attivare il barone Thyssen-Bornemisza per un nuovo finanziamento privato. Non ci sono dubbi che è grazie a Hanna che Thyssen-Bornemisza deciderà di erogare in forma anonima la somma che permetterà, durante la direzione Bonsanti del Museo, il completamento del lavoro di restauro.

Nel libro di Daniela Dini Gli affreschi del Beato Angelico nel convento di San Marco a Firenze: rilettura di un capolavoro attraverso un memorabile restauro, Hans Heinrich Thyssen-Bornemisza scrive:

«E’ a Hanna Kiel che devo l’enorme fortuna di aver contribuito al restauro degli affreschi del Beato Angelico nel Convento di San Marco. E sono stati il suo entusiasmo e il suo incondizionato amore per Firenze a permettermi di incontrare Dino Dini e di avvicinarmi per la prima volta a un’opera di restauro di così vasta scala. La straordinaria bellezza degli affreschi del convento è un dato di fatto indiscutibile: quale rivelazione però vederli rinascere a nuova vita, poco alla volta, sotto le mani esperte dei tecnici, ritrovare i loro colori, riacquistare quella sorta di fascino mistico che li rende unici. Con stupore e insieme enorme gioia sotto l’attenta e appassionata guida di Dino Dini, ho imparato a scoprire una nuova tecnica di restauro ma soprattutto voglio credere di essere riuscito a cogliere lo spirito del grande frate pittore» (Dini).

Per onorare Hanna, Heinrich Thyssen-Bornemisza istituisce a suo nome una borsa di studi presso Villa I Tatti.

Nel periodico dell’autunno del 1997 dell’Harvard University Center for Italian Renaissance Studies si legge della presentazione al pubblico del libro di Daniela Dini, tenutasi in via eccezionale a Villa I Tatti e introdotta da Maria de Peverelli, Antonio Paolucci, Enzo Ferroni e Miklòs Boskovits. Nello stesso quadrimestrale, si riporta parte di una lettera inviata nel settembre del 1997 da Hans Heinrich Thyssen Bornemisza all’allora direttore de I Tatti, Walter Keiser: «Ricordo con piacere quei giorni trascorsi con Hanna Kiel e Dino Dini presso il Convento di San Marco e sono convinto che è grazie a loro che ho capito almeno in parte lo spirito del Rinascimento fiorentino».

Hanna Kiel con il barone Hans Heinrich von Thyssen, sua moglie Carmen Cervera e il direttore Giorgio Bonsanti nel giorno dell’inaugurazione dei restauri degli affreschi di Beato Angelico al Museo di San Marco (Archivio Giorgio Bonsanti)
Hanna Kiel con l’allora Direttore del Museo di San Marco Giorgio Bonsanti all’inaugurazione dei restauri degli affreschi di Beato Angelico, 1983 (Archivio Giorgio Bonsanti)

Hanna Kiel fu quindi certamente una donna dalle forti passioni, che sapeva trasmettere e difendere in modo risoluto.

A tal proposito, è buffo ma significativo il racconto di Giorgio Bonsanti che da giovane, mentre era alla guida, rientrando a casa con Hanna dopo un concerto nella chiesa di Santa Trinita, veniva da lei rimbrottato perché “colpevole” di dissacrare il recente ascolto della Passione secondo Matteo di Bach, canticchiando un’aria di Rossini.

È attraverso la figura singolare di Hanna Kiel che ci piace immaginare si sia materializzato un passaggio inaspettato: dalle tenebre più scure del XX secolo, alla luce purissima dell’Angelico; che pure alle più lievi ombre, sempre presenti nella storia come nell’animo umano, dava tanto rilievo e dignità di rappresentazione.

Silvia Andalò

Beato Angelico, Annunciazione cella 3, dettagli delle ombre, Museo di San Marco, Firenze
Beato Angelico, Annunciazione cella 3, dettaglio ombre, Museo di San Marco Firenze
Beato Angelico, Madonna delle Ombre, dettaglio, Museo di San Marco

Si ringrazia per la generosa collaborazione Giorgio Bonsanti, Ilaria Della Monica, Erika Ghilardi e Alessandro Santini.

Per saperne di più:

Bernard Berenson, Echi e riflessioni, Mondadori, 1950

Hanna Kiel, Paesaggi inattesi nella pittura del Rinascimento, Electa, 1952

Hanna Kiel, The Thyssen-Bornemisza Collection of Modern Paintings, Vallecchi, 1974

Hanna Kiel, La battaglia della collina. Fiesole, una cronaca dell’agosto del 1944, Edizione medicea, 1986

Rodolfo Siviero, L’Arte e il Nazismo. Esodo e ritorno delle opere d’arte 1938-1963, a cura di M. Ursino, Firenze 1984

Daniela Dini (a cura di), Gli affreschi del Beato Angelico nel convento di San Marco a Firenze: rilettura di un capolavoro attraverso un memorabile restauro, Umberto Allemandi & C., Torino, 1996

Rachel Cohen, Bernard Berenson da Boston a Firenze, “Il rifugio precario: gli esuli in Italia dal 1933 al 1945” di Klaus Voigt, La Nuova Italia, 1999

Franco Doni, Arte ed editoria: presenze femminili intorno a Villa I Tatti tra le due guerre, In Maria Chiara Mecali e Claudia Vitale, Cultura tedesca a Firenze Scrittrici e artiste tra Otto e Novecento Le Lettere, Firenze, 2005

Christian Gálvez, Bambina n.37, Newton Compton, 2019

Sitografia:

Henrike Haug | Hanna Kiel (1898-1988). “Ich halte für Italienisches die Augen offen” su Hypotheses: https://dialogemb.hypotheses.org/2241

Marco Carminati, Tutte le donne di Berenson, “Il Sole 24 ore”, 15 maggio 2017: https://st.ilsole24ore.com/art/cultura/2017-05-15/tutte-donne-berenson–125938.shtml

Thyssen Bornemisza: storia di una collezione d’arte, 7 dicembre 1982 (video): https://www.rsi.ch/srg/notrehistoire/Thyssen-Bornemisza-storia-di-una-collezione-d%E2%80%99arte–1790456.html

Riccardo Michelucci, “GERHARD WOLF (1896 – 1971) il console tedesco a Firenze che durante l’occupazione nazista salvò i perseguitati e salvaguardò il patrimonio culturale e artistico della città dalla distruzione”: https://it.gariwo.net/giusti/shoah-e-nazismo/gerhard-wolf-25546.html

Referenze fotografiche:

Archivio Giorgio Bonsanti

Archivio Locchi (https://www.fotolocchi.it/it/)

Archivio Villa I Tatti

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