Martedì 31 maggio 2022, alle 17.00, sarà presentato nella Biblioteca monumentale del Museo di San Marco Il Giudizio Universale restaurato, il volume edito da Sillabe e curato da Marilena Tamassia, terzo numero della collana “Quaderni del Museo di San Marco” della Direzione Regionale Musei della Toscana.
Dopo i saluti del Direttore Regionale Musei della Toscana, Stefano Casciu, e del Direttore del Museo di San Marco, Angelo Tartuferi, alla presenza della curatrice, Marilena Tamassia, già Direttrice del Museo di San Marco, Giorgio Bonsanti, Segretario Generale dell’Accademia delle Arti del Disegno e già Direttore dell’Opificio delle Pietre Dure, presenterà il volume.
Nel Quaderno vengono raccolti i risultati conseguiti in occasione del restauro del dipinto eseguito dal Beato Angelico tra il 1425 e il 1428, e conservato dal 1924 nel Museo di San Marco, dove ora rifulge nella sala recentemente riallestita e intitolata al Frate pittore. La pubblicazione «conclude nel modo migliore un lungo percorso di studio, ricerca, conservazione, conoscenza e collaborazione virtuosa tra pubblico e privato – spiega in prefazione il Direttore regionale Stefano Casciu – che ha avuto come oggetto uno dei dipinti più belli e celebri del primo Rinascimento fiorentino». Il restauro, infatti, affidato alle mani esperte della restauratrice Lucia Biondi, è stato reso possibile grazie al finanziamento del Rotary Club Certosa e altri club associati, ed è terminato nell’ottobre del 2019, in occasione del centocinquantenario dall’istituzione del Museo di San Marco.
L’opera, concepita per essere un oggetto autonomo e dunque priva di predella e di pannelli accessori, «necessitava di un intervento di restauro – spiega Marilena Tamassia, direttrice del restauro e curatrice del Quaderno – dopo quello, risalente al 1955, in occasione della grande mostra dedicata al pittore a Firenze e a Roma, operato da Gaetano Lo Vullo, con grande maestria, secondo i mezzi e le conoscenze dell’epoca».
Grazie alle nuove tecnologie messe in campo è stato possibile «rimuovere un insieme di patine alterate e sporco di deposito accumulati nel corso degli anni sulla superficie dipinta» – scrive nel suo saggio Lucia Biondi – che avevano «l’effetto di attutire la luce di cui è intrisa la pittura dell’Angelico e di appiattire lo spettacolare impianto prospettico, con lo scorcio ardito degli avelli scoperchiati in primo piano al centro della composizione, nonché di intervenire sulla struttura lignea».
Il volume raccoglie una serie di saggi che i maggiori studiosi del Beato Angelico hanno dedicato al Giudizio, analizzandone in modo completo e sfaccettato i diversi aspetti storici, artistici, critici, iconografici e letterari. Agli scritti di carattere storico-artistico (Tamassia, Strehlke, De Marchi, V. Schmidt, de Simone), si aggiungono le dettagliate relazioni tecnico-scientifiche e diagnostiche sul restauro (Biondi, Bracci, Bartolozzi), le indagini geometrico-prospettiche eseguite sulle tracce di incisioni al compasso, visibili sotto lo strato pittorico sul dipinto (Corsini), che fanno di questo volume «una nuova e capitale aggiunta alla bibliografia specialistica dedicata all’Angelico. Il libro – scrive ancora Stefano Casciu – è arricchito da un bellissimo apparato fotografico che consente di immergersi nella meravigliosa e quasi vertiginosa enciclopedia di forme, colori ed invenzioni del Beato pittore».
Il restauro ha restituito lucentezza e profondità al dipinto e ha riacceso, come spesso accade con le opere di questo maestro del Rinascimento, il dibattito sulla sua singolare forma trilobata. Le ipotesi che sono emerse sicuramente faranno discutere. Andrea De Marchi, nel suo avvincente e puntuale saggio, suppone che il dipinto fosse un sovraporta collocato in controfacciata nella chiesa camaldolese di Santa Maria degli Angeli, originaria destinazione dell’opera. Funzione, quella ipotizzata da De Marchi, in antitesi con quella a lungo invalsa di spalliera postergale, come immaginato da Padre Vincenzo Marchese, sulla scorta di quanto diceva Vasari. Sempre sull’inconsueta forma del dipinto, quasi arcaizzante, la restauratrice Lucia Biondi ha fatto alcune scoperte sorprendenti che ridefiniscono la configurazione originaria della cornice perimetrale: nella fase di ripulitura da stucchi e sporco, sono venuti fuori, nella parte superiore, ventiquattro fori piuttosto profondi, compatibili con gli alloggi di cavicchi, cioè perni di legno a forma di fuso. La cornice, propone Lucia Biondi, poteva essere «arricchita lungo il lato trilobato da un coronamento formato da elementi decorativi intagliati e forse dorati, applicati per mezzo di cavicchi».
Un altro saggio pieno di nuovi spunti conoscitivi è quello di Federica Corsini sulla complessa elaborazione geometrica e prospettica della composizione, con il punto di fuga principale alla fine della stupefacente infilata di avelli vuoti, sullo sfondo di un cielo luminoso. Angelico si conferma, dunque, artista consapevole delle più avanzate tendenze della prospettiva accidentale di Brunelleschi, sperimentata da Masaccio e Donatello e canonizzata da Leon Battista Alberti nel trattato De Pictura. La luce, altro elemento costituivo dell’arte del Beato Angelico, per le sue implicazioni teologiche e poetiche, illumina tutti i personaggi, santi e dannati, rischiara la corte celeste e la rigogliosa verzura del Paradiso terrestre, con una qualità tonale e un magistero pittorico smaglianti che il restauro ha restituito in tutto il loro bagliore originario.
Come tutti i classici, per dirla parafrasando Italo Calvino, Beato Angelico non ha ancora finito di dire quel che ha da dire.