Quando è il presente?, a cura di Bettina Della Casa e Sergio Risaliti, è il titolo di un progetto espositivo che si snoda tra il Museo del Novecento e il Museo di San Marco, dal 18 marzo al 7 settembre del 2022, e che ha per protagonista Giulio Paolini (Genova, 1940), uno dei più raffinati maestri dell’arte internazionale dagli anni Sessanta ad oggi.
Il titolo è tratto da una lettera scritta nel 1922 dal poeta Rainer Maria Rilke alla scrittrice cosmopolita Lou Andreas Salomè, da cui Paolini prende spunto per tracciare la sua personale meditazione sul tempo e sulla nostra impossibilità di afferrarlo.
Così l’artista stesso, attraverso la domanda di Rilke, chiarisce il senso della sua ricerca: «Quando è il presente? si chiedeva Rilke e ancora noi ci chiediamo: dentro o fuori dal Tempo? Solo l’arte, eccezione o testimone dell’eternità, è in grado di risolvere le contraddizioni della cronologia, l’illusione di un’apparenza. Ma se – come si dice – l’apparenza inganna, dove mai potremo volgere lo sguardo?».
La grande mostra al piano terra del Museo del Novecento trova, grazie alla collaborazione con la Direzione Regionale Musei della Toscana, un suo piccolo ma significativo prolungamento nel Museo di San Marco. Da sempre eletto a suo museo ideale, San Marco accoglie il lavoro di Giulio Paolini Noli me tangere (2022), ispirato all’omonimo affresco di Beato Angelico. Quest’opera delicatissima, collocata all’interno della cella 1 del Dormitorio dei chierici, pone noi osservatori davanti al vuoto che scaturisce dalla ricerca di un contatto costantemente mancato, dando vita ad un audace confronto con la luminosa perfezione della pittura del frate domenicano.
«L’arte – suggerisce Paolini – è imitazione di un modello non dato. L’arte è l’imitazione dell’arte e non dice, perché non sa, a che cosa vuol aderire, quale sia appunto il modello da scoprire». L’opera conserva quindi «la materia intatta e ancora segreta del suo divenire», rendendo vano qualsiasi tentativo di interpretarla e di ricondurla ad un modello.
Quasi una mise en abyme, che rende ancora più serrato e affascinante il confronto che Paolini ingaggia con il frate pittore. Beato Angelico stesso, infatti, non si limita a riprodurre la realtà così com’è: se così fosse, l’arte non sarebbe che un pallido riflesso dell’oggetto percepito dai nostri occhi. La vera funzione dell’arte è, per il frate domenicano, “euristica”. In una prospettiva neoplatonica l’Angelico scopre, “inventa” e ci mostra, attraverso l’opera che cerca di imitarlo, il modello eterno, l’idea di cui la realtà sensibile non è che l’immagine.
Del resto, spiega Sergio Risaliti, «da sempre la critica riconosce a Paolini il merito di tenere assieme il passato dell’arte e il linguaggio contemporaneo, rinnovando sempre il confronto con le iconografie e i modelli classici per andare incontro al mistero della perfezione e della bellezza».
Con l’eleganza che contraddistingue la sua opera, Paolini ci introduce in una dimensione altra, toccando corde fra le più nascoste e vibranti dell’animo umano. Come in un incessante gioco di specchi, l’osservatore – con il proprio bagaglio di aspirazioni, timori, passioni – è chiamato direttamente in causa dal dispiegarsi di disegni, collage, installazioni, che ridefiniscono lo spazio e il suo percepirsi dentro di esso.
Nelle opere esposte tra il Museo del Novecento e il Museo di San Marco ritroviamo le esplorazioni sul ruolo dell’artista e sullo statuto dell’arte che hanno caratterizzato gran parte della produzione di Giulio Paolini. La riflessione, tuttavia, sembra oggi guidata da una più profonda meditazione sull’esaurirsi della vita, in un racconto che si svolge sulle note leggere di una malinconica melodia. Come suggerito dal titolo stesso, Quando è il presente?, la mostra vuole essere un invito a sondare la nostra incapacità di cogliere la vita nella sua essenza, potendola solo afferrare nel suo divenire. In questo percorso, necessariamente individuale pur nella sua universalità, Paolini ci conduce attraverso uno spazio costellato di richiami al crepuscolo della vita, agli interrogativi che accompagnano l’inarrestabile scorrere delle stagioni, alle relazioni (con noi stessi, con gli altri, con ciò che ci ha preceduto e ciò che verrà dopo di noi) che segnano il nostro passaggio su questa terra: un passaggio scandito da istanti infiniti, in cui si annida, nonostante tutto, l’eternità.
«L’arte accade», è solito ricordare Paolini, citando Whistler nelle parole di Jorge Luis Borges. La meraviglia dell’arte, il suo incondizionato accadere, accomunano idealmente l’artista e l’osservatore, chiamati a partecipare ad una strenua ricerca di senso, in un gioco di rimandi spesso venato di ironia. Le opere non veicolano riflessioni sulla cronaca, sulla nostra società tormentata, sui disastri della globalizzazione o sugli orrori delle guerre: in esse si manifesta l’incontro stupito e puro dell’artista con l’arte stessa, un processo che si colloca nel nostro tempo ma che è, inevitabilmente, al di fuori di esso, superando ogni contingenza, in quanto appartenente ad una dimensione metafisica. L’arte si manifesta nel suo mistero. Proprio come accadeva quasi sei secoli fa a Firenze, nelle sublimi risultanze dell’arte-preghiera di Fra Giovanni Angelico, nella quiete del Convento di San Marco.
Firenze, Museo del Novecento e Museo di San Marco. Giulio Paolini, Quando è il presente, a cura di Bettina della Casa e Sergio Risaliti, 18 marzo – 7 settembre 2022
Un commento