Piccoli e grandi, mansueti o pericolosi, sempre accanto a noi, o che vivono in posti lontani se non solo nella fantasia: sono tanti gli animali che possiamo scoprire al Museo di San Marco. Una visita pensata per chi, con l’aiuto di genitori o insegnanti, potrà divertirsi a trovare le creature più varie, presenti in dipinti e sculture. Bambine e bambini potranno acquisire, così, senza accorgersene e contemporaneamente, nozioni di arte, scienza e geografia, sviluppando, attraverso il gioco, sensibilità e consapevolezza verso l’ecosistema terrestre che l’obiettivo 15 dell’Agenda Onu 2030 ci sprona a proteggere e a trattare in modo sostenibile.
I primi animali che incontriamo, cominciando la nostra visita dalla Sala del Beato Angelico, sono anche i più difficili da riconoscere. Questi, infatti, non sono rappresentati in modo troppo realistico e, in effetti, sembrerebbero proprio animali fantastici. Nella Pala di San Marco, sul bel tappeto anatolico che copre il pavimento su cui poggia il trono di Maria, vediamo rappresentate strane bestie dalle molte zampe e altre creature che possiamo assimilare a granchi e pesci. Forse queste ultime alludono ai segni dello zodiaco, ma le altre che appaiono sul tessuto sono davvero difficilmente identificabili e parrebbero derivare dall’immaginario dei bestiari medievali.
Spostando lo sguardo sulla Sepoltura dei santi Cosma e Damiano, uno dei due dipinti della predella della Pala di San Marco, troviamo invece un dromedario. Per molte comunità dell’Africa del nord, della Penisola arabica, di India e gran parte dell’Asia minore, la convivenza con questo animale, resistentissimo alla fatica, alle temperature estreme, alla scarsità d’acqua, capace di fornire lana e ottimo latte, è ancora oggi di vitale importanza.
Beato Angelico, molto probabilmente, aveva potuto vederne esemplari portati in città nel 1439 per il Concilio di Firenze e ne rappresenta qui uno in modo assai realistico. Eppure, anche questo animale ha in San Marco un aspetto fantastico. Come in un fumetto, Beato Angelico, nel Seppellimento di Cosma e Damiano, ce lo rappresenta infatti mentre parla. La leggenda Aurea di Iacopo da Varazze narra in realtà di un cammello, quindi un animale molto simile ma con due gobbe, che miracolosamente si sarebbe messo a parlare per imporre ai presenti di seppellire insieme i cinque fratelli uccisi per volere di Lisia. Senza seguire, quindi, le volontà espresse a tal riguardo da Cosma in un momento di irato sdegno. Come vediamo rappresentato in una scena della predella della Pala di Annalena, per non offendere Palladia, che i due fratelli medici avevano fatto guarire, Damiano aveva accettato il sacchetto di uova che lei gli stava donando per riconoscenza, contravvenendo così all’impegno di curare le persone senza riceverne mai alcuna ricompensa.
Nei pannelli dell’Armadio degli Argenti, ci sono diversi animali. Alcuni cavalli si intravedono qui nell’Adorazione de Magi, così come in quella della predella del Tabernacolo dei Linaioli, della cella di Cosimo de’ Medici del dormitorio e in parecchie scene del ciclo di affreschi secenteschi del chiostro di Sant’Antonino. Cavallo e arte costituiscono un binomio molto frequente in dipinti e sculture perché l’animale ha affiancato l’uomo fin dall’origine delle prime civiltà.
Altri due animali, presenti nell’Armadio degli Argenti e nella cella 5 del dormitorio, sono proverbialmente mansueti e resistenti a svolgere al posto dell’uomo i lavori più duri e faticosi: l‘asino e il bue, che nelle campagne sono stati fondamentali per l’agricoltura e ancora lo sono dove i macchinari non li hanno sostituiti. L’Angelico, come vuole la tradizione, ce li rappresenta sempre nella stalla della Natività accanto al piccolo Gesù.
In groppa ad un asino vediamo Maria nella Fuga in Egitto e, cercando bene, nell’Ingresso di Gesù a Gerusalemme, vediamo anche un piccolo asinello accanto alla sua mamma.
Il bue, a cui il poeta Carducci dedicò una poesia, è anche l’animale con cui viene comunemente rappresentato Luca, perciò nella Ruota Mistica vediamo uno dei quattro evangelisti dipinto proprio con la testa di questo bovino; e “Bue muto” veniva soprannominato Tommaso d’Aquino, che a quanto si racconta pare fosse di pochissime parole.
La testa di aquila, l’uccello che proverbialmente vede più lontano di tutti, spicca sul corpo di un altro personaggio del cerchio interno della Ruota Mistica ad identificare invece Giovanni evangelista.
Sul vessillo dei soldati nella scena della Salita al calvario e la Spoliazione di Cristo, così come nel Martirio di San Marco della predella del Tabernacolo dei Linaioli, vediamo raffigurati spaventosi scorpioni. Piccoli predatori il cui veleno può essere mortale anche per l’Uomo. Di questo animale, come racconta Esopo nella sua favola Lo scorpione e la rana, non ci si può mai fidare e qui esso simboleggia infatti l’errore e il Male.
Entrando nel corridoio che collega i due chiostri principali di Sant’Antonino e di San Domenico, incorriamo in un altro animale poco raccomandabile. Nel dipinto anonimo del XVII secolo raffigurante San Ludovico Bertrando e Santa Rosa da Lima, accanto al santo vediamo un serpente contenuto nella coppa retta da un putto, a rappresentare il veleno con con cui, si narra, gli Indio che Ludovico Bertrando intendeva catechizzare avessero invano tentato di ucciderlo.
Nella tradizione religiosa occidentale anche questo particolare animale invertebrato, a sangue freddo e spesso mortalmente velenoso, è associato al male in ogni sua manifestazione. Contrariamente a quanto accade invece nelle culture orientali induiste, in cui è associato all’idea del tempo infinito, o a come veniva considerato nella cultura classica greca e romana, dove il serpente aveva significati positivi ed era simbolo di buon augurio.
Restando nello stesso corridoio, nel dipinto con Tobiolo e l’angelo di Jacopo Vignali, appare un cane, in tutto l’occidente considerato da millenni l’animale più fedele e affidabile per l’uomo. Presente nelle case romane, compagno ideale sin dal più remoto passato non solo di pastori e cacciatori, ma anche dei viaggiatori. Infatti appare, qui, accanto al giovane Tobiolo che aveva intrapreso il suo primo viaggio al posto del vecchio padre.
E’ evidente, inoltre, che per i frati domenicani (domini canes i cani del Signore) la rappresentazione del cane ha sempre una grande importanza. E molte volte appare raffigurato nelle lunette del chiostro con gli episodi della vita di Sant’Antonino.
Nella Sala Capitolare, alla sommità del monumentale affresco della Crocifissione di Beato Angelico, appare un pellicano, uccello marino che vive in Europa orientale, in Asia sud-occidentale e in Africa e che usa il proprio becco come una sporta della spesa. Sia nella religione cristiana che in quella musulmana il pellicano ha assunto, sin dal Medioevo, un importante significato allegorico. Nella tradizione cristiana, sulla base di un’erronea interpretazione di un particolare movimento che il pellicano fa col becco verso il petto, quasi a ferirsi, è stato spesso usato per simboleggiare il sacrificio di Cristo.
Nel cielo dell’Ultima Cena dipinta da Domenico Ghirlandaio nel Refettorio piccolo, vediamo sparvieri, anatre, quaglie, allodole e cardellini, che alla luce dei testi sacri possono assumere significati simbolici e religiosi ben precisi.
Sulla destra è raffigurato un pavone, originario dell’India e allevato in Europa già all’epoca dell’Impero Romano. Nel corso dei secoli e in tante diverse culture è stato associato a significati anche diametralmente opposti. La straordinaria bellezza delle piume del sopraccoda che il maschio ostenta aprendole a ventaglio nella fase di corteggiamento, lo fa abitualmente associare alla vanità, ma nella tradizione cristiana esso simboleggia l’immortalità e la resurrezione per la credenza, avallata anche da sant’Agostino, che la sua carne non andasse incontro a putrefazione.
Nello stesso dipinto appare in primo piano un gatto soriano. Accanto a Giuda, rappresenta qui il demonio che entra in lui, inducendolo al tradimento. Nel Medioevo, in Europa, il gatto è stato molto spesso considerato creatura diabolica anche se, nella storia dell’arte, questo enigmatico felino, sacro nell’antico Egitto e amatissimo da Maometto, lo troviamo in alcune Annunciazioni cinquecentesche a rappresentare le virtù domestiche o al fianco di santi eruditi, come protettore dei libri, sempre minacciati dai famelici topi.

Taddeo Zuccari, Annunciazione, Ospedale di Santa Maria Nuova, con al centro una seggiola su cui riposa un gatto
Nelle belle porte lignee della sala del Refettorio, troviamo due piccole teste di leone, sotto il volto di un angelo.
E nella Corte del granaio ne appaiono invece due molto grandi in pietra e con buchi al posto degli occhi. Queste due grandi teste di leone, databili tra il 1508 e il 1515, provengono dalla fabbrica di Santa Maria del Fiore, e sono state attribuite in passato a Baccio d’Agnolo, come quelle omologhe realizzate per il fregio del cornicione di una delle otto facciate della cupola del Duomo. Una testa di leone scolpita a bassorilievo ci guarda dall’alto del grande portale attribuito a Donatello e, sull’ingresso del museo, un leone ci dava sornione il benvenuto.

Il leone è l’animale che contraddistingue San Marco, per cui nella Ruota mistica dell’Armadio degli Argenti, l’evangelista è rappresentato con la testa di leone, mentre accanto al doppio ritratto solenne che ne ha fatto Angelico sugli sportelli del Tabernacolo dei Linaioli, lo troviamo dipinto ben due volte.
Dal Medioevo il leone è anche l’animale totemico di Firenze col nome di Marzocco, simbolo della forza, della libertà e dell’orgoglio del suo popolo. Il più noto e imponente dei felini, un tempo diffuso in tutta l’Africa, l’India, l’America e l’Asia minore, oggi vive solo in Africa subsahariana e in ridottissime porzioni di India, chiuso dall’Uomo in grandi riserve naturali per cercare di salvaguardarne la specie messa in serio pericolo dalla sregolata attività venatoria del passato, dal criminale bracconaggio odierno e dal cambiamento degli ecosistemi in cui viveva e si riproduceva, ed è uno dei casi più emblematici di come l’intervento sconsiderato dell’Uomo sulla natura abbia conseguenze enormi.
Avviandoci alla conclusione di questo tour tra arte, storia e natura, è nell’area della Foresteria che troviamo la più grande varietà di animali, sia reali sia fantastici, che ci appaiono per lo più scolpiti nei reperti del vecchio centro di Firenze.
All’inizio del lungo corridoio della Foresteria, sulla parete sinistra, sono esposti i grandi stemmi araldici cinquecenteschi della famiglia Vecchietti. Provenienti dal Palazzo della potente famiglia fiorentina costruito su progetto di Giambologna nel 1578, ne ornavano le facciate ed erano posti agli angoli tra via degli Strozzi e via dei Vecchietti. Scolpiti nella pietra serena vediamo qui cinque ermellini.
Appartenenti alla famiglia dei mustelidi, come lontre, donnole e furetti, questi piccoli agilissimi carnivori, vivono in tutta l’Europa e nell’Asia settentrionale. Gli ermellini da secoli sono preda ambita dei cacciatori per la loro splendida pelliccia che d’inverno, tranne nella punta della coda che resta nera, diventa candida e tradizionalmente veniva usata per bordare mantelli regali e stole delle più alte figure gerarchiche delle società occidentali.
Oltre ai cambiamenti climatici, alla riduzione e trasformazione dei loro spazi vitali, per tante specie animali la caccia è certamente una delle cause prime del rischio di estinzione.
Non a caso, uno di punti dell’obiettivo 15 dell’agenda 2030 è: «porre fine al bracconaggio e al traffico delle specie protette di flora e fauna e combattere il commercio illegale di specie selvatiche».
Sull’altro lato del corridoio, a destra e in alto, si affacciano altre teste di leone; mentre nella prima cella della Foresteria due pecore da sette secoli appaiono serene sul bollo dell’Arte della lana e su un frammento di camino col suo stemma.
Sull’architrave del portale dell’Arte dei Linaioli e Rigattieri, invece, ritroviamo, all’interno di uno scudo, un’aquila che ghermisce un drago. In araldica questo simbolo, diffuso a Firenze fin dal 1265, indica l’insegna dei Capitani di Parte Guelfa, sotto la cui ideologia si poneva l’Arte dei Linaioli.

Nell’ultima cella della Foresteria, su un frammento di decorazione murale proveniente dal palazzo arcivescovile, sembra essersi nascosta, forse fuggita dall’affresco del Ghirlandaio, una gazza, simbolo benaugurante e di stabilità domestica. Per la sua capacità di costruire resistenti nidi sui rami degli alberi dove curare la prole, è anche associata alla felicità, alla gioia e alla serenità coniugale.

Ormai quasi usciti dal museo, su quello che fu l’architrave di una porta del palazzo della famiglia dei del Beccuto, vediamo scolpiti in bassorilievo due animali uguali.


Queste strane creature si collegano al nome della famiglia attorno al cui stemma campeggiano una di fronte all’altra. Ma che animali sono? Certamente hanno lunghi becchi leggermente arcuati ma non sembrano uccelli. Lunghi aculei, più che penne o piume, partono dalla testa come fossero degli istrici. Ci troviamo nuovamente di fronte ad animali fantastici, invenzioni che dal mondo della realtà, ci introducono in quello della fantasia.
Non è detto, però, che nella immensa varietà di specie animali conosciute sulla Terra (8.300 ma di cui il 22% a rischio estinzione), non esistano realmente animali con queste strane caratteristiche. Non resta allora che uscire dal Museo di San Marco, ancora più curiosi e attenti al mondo che ci circonda, sapendo che sta anche ad ognuno di noi preservarne la sua meravigliosa varietà.
Silvia Andalò
Per saperne di più:
Bernhard Grzimek, Vita degli animali: moderna enciclopedia del regno animale, Milano, Bramante editrice, 1970-1975
Maria Sframeli (a cura di), Il centro di Firenze restituito, Firenze, Bruschi, 1989
C. Acidini, R. Caterina Proto Pisani, La tradizione fiorentina dei Cenacoli, Firenze, Edizione della Cassa di Risparmio, 1997
Lucia Impelluso, La natura e i suoi simboli. Piante, fiori e animali, Milano, Mondadori Electa, 2003
Iacopo da Varazze, Legenda aurea, Torino, Einaudi, 2007
che bello e cosi interessante!!!! grazie!
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