Cronaca mirabile di un “parto mostruoso”. Una testimonianza scolpita, conservata al museo di San Marco

Chi conosce San Marco sa che non è solo il Paradiso dell’Angelico. Chi lo conosce e aspetta di ritornarci, non appena sarà di nuovo aperto, sa che è un museo plurimo e stratificato, nonostante la sfavillante e pervasiva luce dell’Angelico adombri, com’è comprensibile, il resto della collezione. San Marco è un museo che ne contiene molti altri. Noti e meno noti al grande pubblico. Visibili e non visibili. Non ultimo il Museo di Firenze antica, un’eccezionale raccolta di frammenti di case, chiese, palazzi, sculture, pitture murali e stemmi del vecchio centro medievale, amorevolmente salvati e inventariati da Guido Carocci tra il 1888 e il 1901, e oggi distribuiti negli ambienti dell’antica Foresteria e dei depositi del museo.

Ogni frammento compone un puzzle di cui molti pezzi sono andati dispersi. Ogni frammento ci sfida, ci obbliga a uno sforzo di immaginazione. E silenziosamente ci interroga, ci mette dinanzi al suo mistero. Quali famiglie abitavano i palazzi di cui ora non ci restano che pochi capitelli, qualche pilastro, un camino, un pezzo di affresco, un cornicione? Che tipo di socialità animava le piazze, le chiese, le sedi delle arti e delle corporazioni, qui convocate in lacerti di portali, finestre, architravi, mensole lignee? La zona del mercato vecchio e del ghetto ebraico era davvero così malsana e pericolosa come ce l’hanno rappresentata i fautori delle demolizioni ottocentesche, compiute in nome dell’igiene e del decoro? Di quali storie tristi o allegre, comuni o straordinarie, questi pezzi di città sono stati testimoni?

La ricostruzione delle vite trascorse attraverso le testimonianze materiali, l’archeologia dei nostri antenati, il gioco combinatorio delle loro storie possibili, esercizi di per sé affascinanti e dal valore indubbiamente risarcitorio, diventano ancora più sorprendenti quando ci si imbatta in documenti che smentiscono la regolarità delle leggi naturali, mettendoci di fronte alle nostre paure, alla nostra concezione del mondo e dell’uomo. È il caso della Formella con bambino mostruoso: un bassorilievo in pietra forte, proveniente dalla facciata dell’ospedale di San Martino alla Scala in ricordo di un “parto mostruoso” avvenuto nel 1317.

Formella con bambino mostruoso, Museo di San Marco, Foresteria, prima stanza
Cartellino in bronzo, applicato al bassorilievo nel 1915

La parola “mostro” deriva dal latino monstrum, «prodigio, portento»; la radice è la stessa di monstrare e di monere, «ammonire, mettere in guardia». Ma anche di ammaestrare, trasmettere un insegnamento. Nelle tradizioni dotte, antiche e medievali, l’evocazione di figure mostruose era spesso usata come metafora di avvertimenti etico-religiosi o castighi futuri. Erano “segni” da osservare e interpretare minuziosamente, perché si riteneva alludessero al giudizio di Dio sugli uomini e quindi a minacce di catastrofi naturali. I bestiari scolpiti sui capitelli delle chiese romaniche producevano un effetto di esagerazione da cinema horror. Mostri biblici, prossimi alla materia della Genesi, si potevano incontrare nelle miniature dei codici manoscritti, con immagini fantastiche e ibridazioni continue: bestiari in cui il senso della rappresentazione non era la descrizione naturalistica o scientifica, bensì Dio, il diavolo, i santi e i peccatori.

Nella vicenda della Formella con bambino mostruoso conservata a San Marco, siamo davanti a un caso medico patologico che, pur incrociando un resoconto meraviglioso, trascende possibili significati allegorici o morali. Il fatto è riportato nella Cronica di Giovanni Villani (Firenze, 1280 ca. – 1348):

E nel detto anno [1317] del mese di Gennaio, alla Signoria del detto Conte [Guido da Battifolle] nacque a Terraio in Valdarno uno fanciullo con due corpi così fatto, e fu recato in Firenze, e vivette più di venti dì; poi morì allo Spedale di Santa Maria della Scala, l’uno prima che l’altro: e volendo essere recato vivo a’ priori ch’allora erano per maraviglia, non vollono ch’entrasse in palagio, recandolsi a pietà e sospetto di si fatto mostro, il quale secondo l’oppenione degli antichi ove nasce era segno di futuro danno.

Da un punto di vista teratologico, ossia di studio delle anomalie morfologiche fetali, si tratta di un parto gemellare di due bambini congiunti per l’ischio, dotati di quattro arti superiori completi e di due inferiori; il terzo arto inferiore, abbozzato nella parte alta del rilievo, tra il braccio sinistro di un gemello e il destro dell’altro, ha un tipico aspetto atrofico.

Questa nascita ebbe la fortuna di essere non solo raccontata da Giovanni Villani, il più autorevole cronista della Firenze trecentesca, ma perfino scolpita nella pietra e dunque documentata iconograficamente in modo definitivo. La formella, attualmente non esposta nel percorso museale, si trovava sopra il tabernacolo della chiesa di San Martino, come testimonianza di un avvenimento straordinario, e qui restò fino alla seconda metà del Settecento, quando fu staccata e collocata nel vestibolo della chiesa. Trasferita al Museo del Bargello all’epoca dell’ultima soppressione delle corporazioni religiose, arrivò al Museo di San Marco nel 1915.

Ex chiesa di San Martino in Santa Maria della Scala, Via della Scala, Firenze

La chiesa di San Martino in Santa Maria della Scala era annessa allo Spedale della Scala, fondato nel 1313 da Cione di Lapo Pollini, un importante mercante di legname. La principale funzione dello Spedale era di accogliere i bambini infermi o abbandonati e, da un punto di vista amministrativo, dipendeva dallo Spedale omonimo di Siena. L’edificio aveva un portico con la “pila” dell’acqua santa in cui venivano lasciati i “gittatelli”. Nel corso dei secoli la chiesa è stata spogliata dei suoi affreschi; uno tra tutti l’Annunciazione di Botticelli, staccato e ora alla Galleria degli Uffizi. Nel 1531 le sue funzioni furono trasferite nello Spedale degli Innocenti e la chiesa fu completamente ristrutturata, prendendo il nome di chiesa di San Martino al Mugnone sotto la guida delle suore Camaldolesi. L’ordine fu soppresso e ripristinato due volte nel corso dell’Ottocento, fin quando nel 1866 divenne proprietà dello Stato con il definitivo allontanamento delle religiose. Dal 1873 il complesso divenne sede del Centro di Rieducazione dei Minorenni e del Tribunale dei Minorenni; oggi è sede dell’Istituto Penale per Minori Gian Paolo Meucci, in ideale continuità con la sua vocazione originaria di luogo di “cura” dei minori meno fortunati.

Botticelli, Annunciazione, proveniente dalla Chiesa di San Martino in Santa Maria della Scala, oggi agli Uffizi

Ma ritorniamo al testo di Giovanni Villani. Nella memorialistica medievale la deformità, congenita o meno, era ritenuta portatrice di significati metafisici che andavano debitamente decifrati. Il mostro rappresentava una deviazione dalla norma che poteva in molti casi essere ricondotta a comportamenti peccaminosi delle società o degli individui. Nel racconto di Villani, però, non compare alcun cenno a presunte colpe dei genitori. Inoltre, del prodigium di età classica, la cui inquietante valenza non riservava niente di buono, in questo parto gemellare troviamo solo il rimando all’opinione degli antichi circa una possibile sciagura annunciata («secondo l’oppenione degli antichi ove nasce era segno di futuro danno»); ma si tratta di un rimando rituale. L’altro riferimento al mostruoso, quale presagio di sventure, è l’atteggiamento dei priori, che non vollero accogliere i gemelli nel Palazzo della Signoria, probabilmente per non turbare l’ordine pubblico, consapevoli che situazioni come questa avrebbero potuto scatenare la superstizione popolare («e volendo essere recato vivo a’ priori ch’allora erano, per maraviglia non vollono ch’entrasse in palagio»). L’interesse di Villani, dunque, si concentra sul parto come evento anomalo e sbalorditivo in sé, con le creature, indicate al singolare, che vissero più di venti giorni («e vivette più di venti dì; poi morì allo Spedale di Santa Maria della Scala, l’uno prima che l’altro»), senza che questo giustifichi premonizioni nefaste.

Nel capitolo successivo Villani scrive di una terribile pestilenza che colpì quasi tutto il nord Europa con focolai anche italiani, in Toscana, ma non Firenze. Il cronista non suggerisce alcun collegamento con il parto mostruoso. Invece, attribuisce «la causa di questa pestilenza all’apparizione di una cometa che gli “astrolaghi” osservarono nel 1315 e transitò proprio sopra i paesi colpiti. Quel parto prodigioso non aveva portato con sé, evidentemente, i funesti eventi che si temevano». (L. Montemagno Ciseri, 2009).

A riprova dell’eccezionalità del parto e dell’impressione che suscitò nel tempo, la cronaca di Giovanni Villani fu menzionata dai cronisti fiorentini successivi come Domenico Buoninsegni (1384 – 1466) e Matteo Palmieri (1406 – 1475); e, ancora dopo, da autori che possono essere considerati i principali compilatori di opere teratologiche corredate di apparato iconografico fino al primo Seicento, quali Konrad Wolfhart, 1557; Fortunio Liceti, 1668; Ulisse Aldrovandi, 1621. La cronaca fu ripresa anche dal poeta contemporaneo Antonio Pucci (Firenze 1309 c.a. – 1388) nel suo Centiloquio, versificazione in terzine delle Croniche di Villani. Pucci aggiunse, nei suoi versi, il dettaglio della collocazione della formella “alla Scala”:

Nel dett’anno del mese di gennaio/nacque un fanciul con due capi e tre piedi / e quattro mano in Valdarno al Terrajo. / Questo ond’io come ho scritto vedi; / e com’egli è alla Scala intagliato, / così di carne fu, or lo mi credi / e venti dì vivette in quello stato. / E poi morì secondo ch’io intesi / un’ora prima e l’un che l’altro lato.

Formella con bambino mostruoso, dettaglio

Nella prospettiva di Sant’Agostino (De Civitate Dei, libro XVI, paragrafo 8), il deforme e il portatore di una menomazione fisica partecipavano comunque della natura umana, in quanto figli di Adamo e ancor prima di Dio. Non potevano essere esclusi dal consesso civile. Piuttosto, svolgevano nella società un ruolo voluto da Dio di moniti viventi, e solo una visione parziale della creazione poteva portare a ritenere simili prodigi come “errori” di natura o prove di una genesi imperfetta del mondo. Anche per Isidoro di Siviglia (De homine et portentis, libro X) l’anomalia prodotta dal mostruoso non poteva sfuggire a un rapporto di dipendenza con l’onnipotenza creatrice di Dio. In questa concezione della natura, comune a Sant’Agostino e a Isidoro di Siviglia, non esiste una concatenazione di fatti regolata da leggi o norme, bensì un aggregato di eventi organizzato e attraversato da una significazione teologica ultima, che nell’anomalia si rivela in modo diretto, come squarciando il velo dell’ordinario.

A questa visione sembra aderire Giovanni Villani, con in più un atteggiamento laico, di osservatore disincantato. Dopo di lui il più giovane fratello, Matteo Villani (Firenze, 1283 – 1363), continuatore dell’opera di Giovanni, si specializzerà nella descrizione di parti mostruosi, coltivando un gusto narrativo via via più svincolato dall’interpretazione simbolica. Matteo non godrà mai, però, del privilegio di una rappresentazione figurativa dei casi a cui si dedicherà.

Nel Museo costellato dai Bambini celesti dell’Angelico, dunque, in una stanza della Foresteria, si conserva questa formella di 48×69 cm, attribuita da Gert Kreytenberg a Francesco di Neri Ubaldi detto il Sellaio, noto per aver contribuito alla decorazione del tabernacolo dell’Orcagna in Orsanmichele e, soprattutto, all’apparato scultoreo di Santa Maria del Fiore, rimasto incompiuto con la morte di Arnolfo. L’attribuzione al Sellaio, basata solo su un’ipotetica somiglianza stilistica, rimane tuttavia dubbia, poiché la datazione all’ottavo decennio del 1300 proposta da Kreyternberg è troppo lontana dall’avvenimento narrato.

Vero è che il bassorilievo con gli sventurati gemelli siamesi a grandezza naturale, al di là delle possibili attribuzioni e delle improbabili interpretazioni metaforiche, resta un documento senza precedenti nella storia della medicina.

Carmelo Argentieri

Museo di Firenze antica, Foresteria, Museo di San Marco

Per saperne di più:

Maria Sframeli (a cura di), Il Centro di Firenze restituito, 1989

Elio De Angelis, Il fanciul con due capi, tre piedi, e quattro mani, in Valdarno al Terraio, in «Medicina nei Secoli Arte e Scienza. Journal of History of Medicine», VIII, 1996

Lorenzo Montemagno Ciseri, Mostri nella cronaca di Mattero Villani, un “teatrino delle difformità” del XIV secolo, in «Medicina & Storia», IX, 2009

Francesco Salvestrini, ‘Mostri’, ‘deformi’, ‘mirabili figure’. Menomazioni fisiche e nascite mostruose nelle fonti cronistiche del Medioevo e della prima età moderna, in Gian Maria Varanini (a cura di), Deformità fisica e identità della persona tra medioevo e età moderna. Atti del XIV Convegno di studi organizzato dal Centro di studi sulla civiltà del tardo medioevo. San Miniato 21- 23 settembre 2012

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