Sebbene la letteratura critica sull’attività di fonditore di campane del Verrocchio risulti molto scarna, a lui le fonti attribuiscono l’esecuzione della campana grossa del campanile della badia vallombrosana di San Cassiano a Montescalari – perduta perché rifusa nell’Ottocento – mentre una parte, seppur esigua, della critica lo riconosce come autore della celebre campana, detta la Piagnona, conservata nella sala del capitolo del Museo di San Marco.
La fonte più antica e attendibile per ricostruire la storia della campana di Montescalari, le «Memorie» del monaco vallombrosano Fulgenzio Nardi (1675-1744) conservate presso l’Archivio Storico del Seminario Maggiore Arcivescovile di Firenze, nel riportare la «breve descrizione della Badia» che fotografa lo stato della chiesa e del campanile nel gennaio del 1714, narra con dovizia di particolari della fusione della campana grossa, avvenuta tra il 21 e il 24 ottobre del 1474 nel chiostro del monastero, ma, allo stesso tempo descrive nei più piccoli particolari non solo la campana principale, ma anche la mezzana, datata 1475 e la piccola del 1295.
Nella campana grossa il Nardi metteva in evidenza la presenza sulla spalla di più fasce con iscrizioni a lettere capitali, di medaglioni con le figure della Vergine e di San Giovanni Gualberto e in particolare «la bellissima fattura e molti bassi rilievi di puttini che la circondano».
L’avere individuato nel campanile di una chiesa della diocesi di Fiesole, in occasione dell’inventariazione dei beni ecclesiastici della diocesi, queste ultime due campane, ancora intatte e sopravvissute alla distruzione del campanile abbattuto delle mine tedesche nel luglio del 1944, ci consente oggi di stabilire dei proficui confronti tra la descrizione della campana grossa, la mezzana e la campana di San Marco e di proporre per tutte la paternità del grande bronzista fiorentino
Ma procediamo per gradi.
La travagliata storia della campana di San Marco narra che nella notte dell’8 aprile 1498 essa suonò ininterrottamente per chiamare i fiorentini in aiuto al convento assediato dagli Arrabbiati della fazione medicea ostile al Savonarola. Dopo l’esecuzione del frate, il 23 maggio di quello stesso anno, toccò alla campana, con delibera del 29 giugno 1498, subire una condanna esemplare ed infatti, dopo essere stata staccata dal campanile, essa precipitò sui tetti del convento lesionandosi nel labbro inferiore e perdendo gran parte dell’originaria maniglia. Per portarne a termine la punizione la campana venne trascinata per le vie della città, ferocemente frustata e poi esiliata nel campanile di San Salvatore al Monte, non prima però di essere riparata alla meglio nella maniglia da Simone del Pollaiolo, detto il Cronaca, che vi lavorò nei laboratori dell’Opera del Duomo. Il bronzo fiorentino ritornò a San Marco nel 1509 e, ricollocato nel campanile, agli inizi del Novecento venne sostituito da una copia fattane dalla fonderia Rafanelli di Pistoia.
La campana presenta sulla spalla un’iscrizione distribuita su tre fasce che così recita: «CRISTVS REX GLORIE VENIT IN PACE ET DEVS HOMO FACTVS EST» / «VIR CLA[RVS] COSMVS MEDICES IO[HANNIS] F[ILIVS] ME SVIS INPENSIS FACIVNDVM CVRAVIT» / «VT STATVTIS TEMPORIBVS SACRA DEO CELEBRENTVR GLORIA IN EXCELSIS DEO».
Al di sotto di queste fasce si trova una quarta banda decorativa sottolineata da un motivo ad archetti, nella quale si svolge un corteo di putti danzanti interrotto di tanto in tanto da un elegante vaso a pisside finemente decorato e dallo stemma mediceo, rappresentato nella versione a nove palle, sorretto da due angioletti. Al centro della campana si trovano due medaglioni in cui sono effigiati la Madonna col Bambino e San Domenico contornati da quattro angioletti e da due iscrizioni che recitano rispettivamente «AVE MARIA GRATIA PLENA DOMINVS TECV[M]» e «S[AN]C[TV]S DOMINICVS FVNDATOR ORDI[NI]S PREDICATORVM».


Purtroppo, la campana non è né datata né firmata e la sua paternità è attribuita dal museo alla collaborazione tra Donatello e Michelozzo in un arco di tempo compreso tra il 1436 ed il 1443, o comunque prima del 1464, anno della morte di Cosimo il Vecchio che, come riporta l’iscrizione, parrebbe esserne stato il committente. L’attribuzione a Donatello è dovuta a Guido Carocci che in un corposo saggio del 1908 (La campana di San Marco di Firenze, «Bollettino d’arte», 1908, pp. 256-264) rilevava nella cornice decorativa la similitudine con la teoria dei putti danzanti della cantoria di Santa Maria del Fiore terminata dall’artista nel 1439, ed è ancora oggi accolta dal museo e da molti studiosi, i quali vi hanno visto anche la collaborazione di Michelozzo. Nello stesso tempo si è fatta strada, nel corso degli anni, anche una più che plausibile attribuzione al Verrocchio che fino ad oggi, però, stenta ad essere accolta e non trova cittadinanza soprattutto nella critica italiana.
Solo Elena Berti Toesca, in un suo breve ma denso saggio del 1956 sulla Piagnona (Una campana della bottega del Verrocchio, in «Bollettino d’arte», 1956, pp. 144-146), evidenziava che «lo stile dei rilievi è del tutto verrocchiesco» e che «nella Madonna col Bambino e nel San Domenico si vede un fare largo e quasi gonfio ben diverso dall’austero modellato di Donatello, anzi così particolare al Verrocchio e ai suoi allievi da far pensare senz’altro alla bottega di lui, che dopo la morte di Donatello fu lo scultore preferito dai Medici».
La studiosa rilevava inoltre, pienamente a ragione, precisi riscontri tra un disegno con puttini attribuito alla bottega del Verrocchio e quelli che attorniano le figure della Madonna e di San Domenico «ben diversi dagli eroti di Donatello, anzi tutti morbidezza e grazia». Successivamente, i puttini sono stati più coerentemente accostati a due disegni di mano del Verrocchio conservati al Louvre da Andrew Butterfield, (The Sculpture of Andrea del Verrocchio, New Haven, Yale University Press, 1997, pp. 12-15 e 202), il quale, dedicando ampio spazio al bronzo fiorentino, notava la forte somiglianza tra le pose dei putti nel verso del disegno e il fregio di putti danzanti nella monumentale campana di San Marco.


La mancanza di una firma e di una datazione frenano l’entusiasmo di chi sostiene l’intervento verrocchiesco. Allo stesso tempo, il preciso riferimento a Cosimo il Vecchio come committente – COSMVS MEDICES IO[HANNIS] F[ILIVS] ME SVIS INPENSIS FACIVNDVM CVRAVIT – non necessariamente impedisce di sostenere che anche questa campana sia stata realizzata dopo la sua morte come tante altre opere che egli stesso aveva messo in cantiere nei luoghi fiorentini a lui più cari – la basilica di San Lorenzo, il palazzo di Via Larga, il convento di San Marco – affidando i lavori di scultura e statuaria a Donatello, tornato da Padova nel 1454, e alla sua bottega. In quel cantiere Verrocchio aveva guadagnato sempre più spazio.




Del resto se la Berti Toesca e il Butterfield facevano riferimento alla perduta campana di Montescalari come esempio dell’esperienza nella fusione di campane da parte del Verrocchio, nessuno, fino ad oggi, era a conoscenza dell’esistenza di una seconda campana, la mezzana di Montescalari del 1475, e non aveva pertanto potuto cogliere i profondi nessi di somiglianza tra quest’ultima e la Piagnona. Il confronto tra le effigi e le iscrizioni delle due campane è, del resto, più eloquente di ogni fonte documentaria.
Tra i nessi più evidenti, la scritta identica, in capitale umanistica, che corre lungo la fascia superiore CRISTVS REX GLORIE VENIT IN PACE • DEVS HOMO FACTVS EST», ma non sono da meno i due medaglioni assolutamente identici nella concezione e nell’impianto, solo più scarni, quelli di Montescalari, senza il tripudio di angioletti, come ad una campana mezzana spettava.
Il solo confronto tra il medaglione con l’effige della Madonna e quello con San Cassiano, rivela somiglianze sorprendenti come la nuvoletta sotto i piedi dei santi e la posa della gamba destra che si allunga dando vita ad un identico panneggio. Le due figure del San Cassiano e del San Michele Arcangelo, benché non più perfettamente leggibili a causa dell’usura dovuta all’esposizione all’esterno per quasi 550 anni, sono del tutto coerenti stilisticamente con quelle della campana fiorentina e bene si attagliano ad una datazione sulla metà degli anni Settanta del Quattrocento. Il San Michele, vittorioso sul maligno rappresentato da un drago che si contorce sollevando la coda e la testa, impugna la spada, alzandola in alto con il braccio destro, mentre con il sinistro sorregge il globo crucigero sollevando il mantello che svela una corazza che ricorda quella del David del Verrocchio al museo del Bargello.

Lucia Bencistà
Per saperne di più
Lucia Bencistà, Artisti noti e meno noti per San Cassiano a Montescalari: Verrocchio, Del Brina, Boccacci e Cornacchini in una descrizione della chiesa di Don Fulgenzio Nardi, in «La memoria del chiostro – Studi di storia e cultura monastica in ricordo di Padre Pierdamiano Spotorno O. S. B.», a cura di F. Salvestrini, Firenze, Olsckhi, 2019, pp. 749-762
Lucia Bencistà, Due campane del Verrocchio per Montescalari e una proposta per la Piagnona di San Marco, in «Memorie Valdarnesi», X, 10, 2020, pp. 131-149