L’odore di zolfo ormai si è affievolito.
L’avanzare degli anni stempera gli ardori e dona misura e saggezza. Anche se, come Faust insegna, chi è uso a certe frequentazioni, non invecchia mai.
E questa è anche la magia della grande musica, di qualsiasi genere essa sia.
Magia, quindi, e un po’ di mistero. Perché della presenza di Mick Jagger al Museo di San Marco non c’è alcuna fotografia, a testimonianza della visita “a sorpresa” che, pare, il cantante abbia fatto il tardo pomeriggio del 2 settembre, a museo chiuso, in compagnia del sindaco Dario Nardella e del direttore della Direzione Regionale Musei della Toscana Stefano Casciu.
Alcune testate cittadine ne hanno dato breve comunicazione, ma del leader dei mitici Rolling Stones, dentro quello che fu il convento di Sant’Antonino, Beato Angelico e Savonarola, non esiste alcuna immagine.
Del passaggio dell’autore di Sympathy for the devil, qualche traccia sottile però rimane…
Tralasciando i Santi, gli angeli e le divine madonne angelichiane, vogliamo qui seguire le suggestioni luciferine lasciateci dall’incursione, in questo luogo, di uno dei più carismatici e controversi divi del rock di tutti i tempi e abbandonarci, per una volta, a considerare diavoli e demoni del Museo di San Marco.
Da quelli più “ingenui”, funzionali alla meditazione teologica, o spaventosi e terribili di chiara ispirazione letteraria, a quelli più sorprendenti, dipinti dall’Angelico e dai suoi collaboratori, o “nascosti” in altri dipinti e luoghi del museo.
Prima di entrare all’Inferno, attraverso le due rappresentazioni più famose che l’Angelico fa del Giudizio Universale, la nostra discesa agli inferi inizia con l’affresco della cella 31 del corridoio dei conversi, in cui, seguendo la tradizione dei Vangeli apocrifi, è rappresentato Gesù che scende nel Limbo a liberare le anime dei Patriarchi, di Abramo e dei non battezzati.
Di prorompente effetto la semplicità, quasi commovente, del gesto ampio di Gesù Salvatore, che sfonda la porta bronzea del Limbo, facendone saltare i cardini, e schiaccia un piccolo, povero diavolo così clamorosamente sconfitto dal Bene da risultare, forse solo a noi, smaliziati e laici posteri, più ridicolo e malconcio che temibile.

Nella Discesa agli Inferi dell’Armadio degli Argenti, invece, il diavolo appare, a sinistra, possente e tentatore, in una posa sorprendentemente lasciva, e la donna che sta ghermendo, sembra ormai irrimediabilmente persa, senza possibilità di salvezza (e senza troppo rimpianto), nell’abisso della dannazione.

Col Giudizio Finale, commissionato all’Angelico dai Camaldolesi di Santa Maria degli Angeli, quando il teologo e umanista Ambrogio Traversari veniva nominato Abate Generale dell’Ordine, entriamo nell’Inferno vero e proprio. Dal punto di vista iconografico, l’Angelico aveva ben presenti i mosaici del Battistero di Coppo di Marcovaldo con la rappresentazione dell’Inferno nel Giudizio Universale; certamente conosceva l’affresco di Nardo di Cione della cappella Strozzi di Santa Maria Novella; così come è evidente che avesse visto, anche se solo su disegni, L’Inferno del Campo Santo di Pisa, commissionato a Buonamico Buffalmacco dai padri domenicani.



Nel dipinto dell’Angelico, però, le creature maligne che infliggono torture ai peccatori, per punirne i sette vizi capitali secondo la legge del contrappasso, sembrano anche rappresentazioni puntuali dei demoni dei canti XXI, XXII e XXXIV della prima Cantica dantesca.
E vidi dietro a noi un diavol nero,
Correndo su per lo scoglio venire.
Ahi quanto elli era nello aspetto fero!
Con l’ale aperte e sopra i piè leggiero!
Inf. XXI vv. 28-32
O quelli intenti a cuocere i dannati nel pentolone di pece.
Non altrimenti i cuochi ai lor vassalli
Fanno attuffar nel mezzo la caldaia
La carne con li uncin, perché non galli
Inf. XXI vv. 55-57
Neri e affusolati, armati di lance o bastoni, i demoni esterni spingono i dannati nell’antro dell’Inferno.
Analoghi a questi, anche quelli del Giudizio Finale dell’Armadio degli Argenti

Più ferini, sorta di minotauri pelosi, forniti di corna quasi bovine più che capronesche, quelli che imperversano nel regno di Lucifero, dove lo sfondo nero della cavità infernale obbliga il pittore a variazioni cromatiche che ne facciano risaltare le figure, optando per un rossiccio bruno altrettanto tradizionale ed efficace.


In basso Lucifero: l’angelo più bello che, per superbia e volendosi sostituire a Dio, viene punito e scaraventato al fondo della terra, a personificare qui la sintesi massima di ogni bruttura.
Nel modo in cui lo descrive Dante, nell’atto di divorare con ognuna delle sue tre bocche orribili i rappresentanti peggiori del tradimento, Giuda, Bruto e Cassio, così lo raffigura l’Angelico.
Lo ’mperador del doloroso regno
da mezzo ’l petto uscia fuor de la ghiaccia;
e più con un gigante io mi convegno,
che i giganti non fan con le sue braccia:
vedi oggimai quant’esser dee quel tutto
ch’a così fatta parte si confaccia.
S’el fu sì bel com’elli è ora brutto,
e contra ’l suo fattore alzò le ciglia,
ben dee da lui procedere ogne lutto.
Inf. XXXIV vv. 33-36

È strano pensare allo scalpore che nel 1968 fece la canzone dei Rolling Stones in cui, ispirandosi probabilmente a Il Maestro e Margherita di Bulgakov, Satana si presentava come il professor Woland: un Lucifero gentile e suadente. La band fu accusata di satanismo e molte radio si rifiutarono di trasmetterla perché percepita come un attacco ai sani principi della morale e della religione.
Rileggendolo oggi, il testo risulta del tutto innocuo; anzi, forse sembra più un richiamo alla responsabilità dell’essere umano, messo costantemente nella possibilità di scegliere tra il bene e il male.
Ogni persona può essere il diavolo.
Please allow me to introduce myself
I’m a man of wealth and taste
I’ve been around for a long, long year
Stole many a man’s soul and faith
And I Was ‘round when Jesus Christ
Had his moment of doubt and pain
Made damm sure that Pilate
Washed his hands and sealed his fate
Please to meet you […]
È nelle sembianze gentili e suadenti di un uomo anziano e rispettabile, abbigliato come un notabile del Quattrocento, che nella cella 32a vediamo rappresentato Satana che tenta Gesù nel deserto.
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un attimo tutti i regni del mondo e gli disse: «ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni perché essa mi è stata data e io la do a chi voglio». (Luca 4 vv 5-8)
Solo le zampacce irsute da rapace e le ali di pipistrello ne rivelano la reale natura diabolica.


Per il Cenacolo domenicano di San Marco, Ghirlandaio sceglie di rappresentare Satana accanto a Giuda in sembianza di gatto («E allora, dopo il boccone Satana entrò in lui». Giovanni 26-27). Non troppo inquietante, però; non il tradizionale famigerato gatto nero. Bianco e grigio, come un qualsiasi soriano domestico, l’animale diabolico sembra invitare con lo sguardo frontale lo spettatore a partecipare alla scena, rivendicando la centralità del proprio ruolo nello sviluppo della Storia.

Al piano superiore, a chiudere le due finestre delle celle del quartiere del priore ci sono delle grate in ferro, assenti in tutte le altre. Presumibilmente sono ottocentesche, come gli scuri e gli arredi lignei. Ci piace però credere che furono montate quando, nel tempo del suo priorato al convento di San Marco, Savonarola vi abitò.
Due piccoli dettagli si notano appena, se non se ne conosce già l’esistenza. Si tratta di una piccola testina in ferro battuto che sporge al centro di ognuna delle due grate. Dalla finestra dello studiolo, si affaccia verso l’interno della cella un frate, a confortare e motivare nel lavoro di studio e scrittura.
Nella cella dove Savonarola dormiva, sulla grata della finestrella, è in agguato un diavolo. A monito dei rischi peccaminosi sempre presenti nel mondo, a dissuadere da incongrui desideri di fuga, e a ricordare che in ognuno di noi c’è sempre anche una parte diabolica che conviene conoscere e accettare per poterla controllare e, solo così, riuscire a dominare.


Silvia Andalò
é sempre un piacere leggervi!
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Complimenti per l’articolo! Interessante nella forma e nel contenuto!
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