L’idea totalmente infondata che nel Medioevo si credesse la Terra piatta, o almeno che la Chiesa imponesse questa teoria, è ancora molto diffusa e fortemente radicata nella cultura popolare occidentale, ma essa ha, in realtà, origini sorprendentemente recenti e circoscritte.
È sempre un piacere rispondere alle domande sulle opere esposte al Museo di San Marco. In sala ci si lascia distogliere volentieri dalle proprie elucubrazioni; si intrecciano con entusiasmo brevi e intense conversazioni con persone provenienti da altre parti del mondo, che possono regalare racconti di vita affascinanti e punti di vista inattesi e stimolanti. Magari riaffiorano dall’oblio conoscenze acquisite, sedimentate ma anche ineluttabilmente accantonate nel corso degli anni.
Così, quando vien chiesto il significato della “palla” che il bambino Gesù tiene in mano in molti dipinti, è bello e dolce abbandonarsi al flusso dei ricordi e riproporre al curioso visitatore, oltre alla semplice risposta che “la palla” rappresenta il mondo, la tesi di Sergio Bertelli sulla continuità tra Ellenismo, Medioevo, e mondo moderno. E ci si lancia quindi a discorrere sul persistere della simbologia pagana e della ritualità imperiale di Roma e Bisanzio in quelle religiose e regali delle monarchie assolutiste.

Nelle opere del Beato Angelico esposte a San Marco questo particolare iconografico appare in più varianti, sia nelle tavole sia negli affreschi.



La sfera tenuta in mano dal Bambino o su cui poggia il Cristo o qualche santo, simboleggia, quindi, il potere sul mondo; ma prima di poter raccontare che si tratta dello stesso globo con cui, come simbolo di potere, si facevano ritrarre gli imperatori di Roma e di Bisanzio, e che col diffondersi del cristianesimo diventerà il globo crucigero di papi e re, il nostro interlocutore ci interrompe perplesso e afferma sicuro: «ma scusi: allora ancora non sapevano che la Terra fosse rotonda! E la chiesa, poi, mai avrebbe permesso di rappresentarla così. Ma come, non sa, Tolomeo, Galileo…? Colombo!».
E a nulla serve controbattere che invece sì, lo sapevano, e le questioni su cui Keplero e Galileo dovettero difendere a caro prezzo le loro idee o la loro vita, al costo di quelle, erano altre. Veniamo salutati con sufficienza e, al massimo, appena una flebile ombra di dubbio attraversa le ferree certezze del turista positivista.
E questa scena si ripete spesso. Ma come mai?
L’idea che riconoscere la vera forma della terra sia stato oltremodo complesso e difficoltoso, è evidentemente diffusissima e ancora molto radicata nel senso comune. Si dà inoltre spesso per scontato che il merito della prima e inattaccabile confutazione di tale balorda convinzione sia stato di Cristoforo Colombo.

Da dove deriva quest’equivoco? Dove risiede lo scarto tra ciò che sappiamo e ciò che comunemente viene considerato “storia”?
Nell’articolo Come e perché si afferma un mito («Le Scienze», n.555, novembre 2014) di Paolo Attivissimo, giornalista informatico e studioso della disinformazione nei media, è svelata la fonte della leggenda della Terra piatta che ancora inficia in maniera così preponderante tanta cultura occidentale. In un romanzo uscito in tre volumi nel 1828 sul viaggio di Cristoforo Colombo, l’autore Washingtown Irving inventa completamente l’elemento di scontro sulla rotondità della Terra tra la Chiesa e il navigatore genovese. Il romanzo ebbe un enorme successo e fu utilizzato anche nelle scuole.


Si diffuse così l’idea secondo cui un cattolicesimo oscurantista negasse ed occultasse il sapere degli antichi Greci, perché in contraddizione con la Bibbia.
Sappiamo che le divergenze tra i dotti di Salamanca e Colombo vertevano su questioni di costi e quindi opportunità pratiche di intraprendere un viaggio che si sapeva lungo e pericoloso.
Oltre alle mille fonti iconografiche che mostrano proprio l’utilizzo del globo terrestre in mano all’imperatore, o al bambino Gesù, come simbolo del potere sul mondo, numerosissimi testi dimostrano come i risultati delle osservazioni di pensatori antichi e soprattutto l’indiscussa autorevolezza delle tesi aristoteliche fossero confluiti nella cultura medioevale.

Il calcolo, l’osservazione della natura, la volontà di divulgazione del sapere mal si accordano con l’idea comunemente diffusa di Medioevo. Questi concetti sono, invece, fondanti di un periodo della storia occidentale su cui grava ancora oggi un pregiudizio di miopia culturale e assoggettamento a una Chiesa ottusa e ignorante. Sappiamo che il Medioevo aveva col sapere un rapporto molto più disincantato e aperto di quanto non si immagini; già i padri della Chiesa concepivano la sfericità della Terra, la cui circonferenza era già stata calcolata da Eratostene, con una minima approssimazione. Riguardo le eventuali incongruenze tra le osservazioni che avvaloravano i calcoli dei pensatori classici (Platone, Aristotele, Euclide, Archimede) e i testi sacri, già Sant’Agostino si preoccupava di chiarire che quelle della Bibbia fossero solo immagini da intendere come metafore, e che quando in essa si fa cenno ai “quattro angoli della terra” o al cielo che vi si possa stendere sopra come una “tenda”, non per questo bisognasse prenderle alla lettera, negando l’evidenza della realtà ed essere meno ragionevoli dei pagani. Dello stesso avviso erano Beda, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Ruggero Bacone. Il problema si poneva, semmai, nell’immaginare come si potesse vivere agli antipodi a testa in giù, ma bastava immaginare che fossero disabitati.
Giovanni di Sacrobosco scrisse nel 1230 un trattato di astronomia dal titolo eloquente: De Sphaera mundi. Diffusissimo e in uso in tutte le università occidentali ben prima dell’invenzione della stampa, apparve a Ferrara non più manoscritto nel 1472, ed ebbe il suo più famoso commentario ad opera del gesuita Christoph Clavius nel 1581.

Anche la struttura dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso di Dante presuppone la sfericità della terra, e, conseguentemente, la coscienza di tale sfericità da parte dei suoi lettori.

I dubbi che dovette dissipare Colombo erano quindi esclusivamente legati all’entità della spesa che la sua impresa richiedeva. I dotti di Salamanca, ritenevano semplicemente che la distanza tra Europa e Asia fosse troppa per rendere sensato circumnavigare la Terra. Sia essi che Colombo, ovviamente, ignoravano che esistesse lì in mezzo un altro continente.
Negli Stati Uniti di metà ottocento l’evoluzionismo cercava faticosamente di dimostrare e far accettare la verità della sua tesi e ciò spiega anche il perché venne portata avanti l’immagine falsata di una Chiesa cattolica ottenebrata e retrograda cui solo l’impresa rivoluzionaria della scoperta dell’America aveva imposto una visione finalmente realistica e nuova del mondo.
Incredibilmente, di questa lettura della storia, erronea e frutto dell’invenzione di un romanziere, si è impregnata anche la nostra cultura popolare, e la vulgata ormai pare fatalmente affezionata a quest’idea di una Terra creduta piatta prima del viaggio di Colombo. Nonostante trattati di astronomia, bassorilievi, mosaici, miniature e dipinti dimostrino esattamente il contrario.



E a definitiva dimostrazione della tesi che l’idea della sfericità della terra fosse universalmente e pacificamente diffusa già nel Medioevo, Umberto Eco, in un articolo del 2009 intitolato appunto La leggenda della terra piatta, cita proprio un dipinto del Beato Angelico. Forse non è un caso che l’eclettico intellettuale alessandrino si concentri sull’opera angelichiana. Si sa che Eco, oltre a essersi laureato in Filosofia con una tesi sull’estetica di San Tommaso d’Aquino, a lungo si è occupato di estetica medievale, e non stupisce, quindi, che guardi al Cristo Giudice della Cattedrale di Orvieto a difesa della verità storica.

Ci piace riportare qui l’esatta descrizione che fa delle cosiddette “mappe a T” in uso nel Medioevo e di cui un esempio eloquente è rappresentato dal globo su cui poggia la mano il Cristo nell’affresco della cappella di San Brizio e che Eco propone come indubbia rappresentazione bidimensionale della simbolica sfera:
«…la parte superiore rappresenta l’Asia, in alto, perché in Asia stava secondo la leggenda il Paradiso terrestre, la barra orizzontale rappresenta da un lato il Mar Nero e dall’altro il Nilo, quella verticale il Mediterraneo, per cui il quarto di cerchio a sinistra rappresenta l’Europa e quello a destra l’Africa. Tutto intorno sta il gran cerchio dell’Oceano. Naturalmente le mappe a T sono bidimensionali, ma non è detto che una rappresentazione bidimensionale della terra implichi che la si ritenga piatta, altrimenti a una terra piatta crederebbero anche i nostri atlanti attuali. Si trattava di una forma convenzionale di proiezione cartografica, e si riteneva inutile rappresentare l’altra faccia del globo, ignota a tutti e probabilmente inabitata e inabitabile, così come noi oggi non rappresentiamo l’altra faccia della Luna, di cui non sappiano nulla.
Infine, il Medioevo era epoca di grandi viaggi ma, con le strade in disfacimento, foreste da attraversare e bracci di mare da superare fidandosi di qualche scafista dell’epoca, non c’era possibilità di tracciare mappe adeguate. Esse erano puramente indicative. Spesso quello che preoccupava maggiormente l’autore non era di spiegare come si arriva a Gerusalemme, bensì di rappresentare Gerusalemme al centro della terra. […]. Si veda ora questa immagine del Beato Angelico nel duomo di Orvieto. Il globo (di solito simbolo del potere sovrano) tenuto in mano da Gesù rappresenta una Mappa a T rovesciata. Se si segue lo sguardo di Gesù si vede che egli sta guardando il mondo e quindi il mondo è rappresentato come lo vede lui dall’alto e non come lo vediamo noi, e quindi capovolto. Se una mappa a T appare sulla faccia di un globo vuole dire che essa era intesa come rappresentazione bidimensionale di una sfera».

Anche nella Madonna in trono col Bambino di Santa Maria sopra Minerva, tradizionalmente attribuita a Benozzo Gozzoli e solo recentemente all’Angelico, il Bambino regge un globo con la mappa a T nel verso opposto, con su scritti i nomi dei continenti. In questo caso Carl Brandon Strehlke ipotizza il collegamento col giubileo del 1449, in cui Niccolò V poté attestare, urbi et orbi, l’avvenuta riconciliazione della Cristianità e risanare definitivamente, con la Renuntiatio di Felice V, lo Scisma d’Occidente.

Volendoci limitare anche ad una più semplice osservazione e restando ancora sui dipinti certi del Beato Angelico, basterà comunque tornare a guardare il particolare della sfera che nel Tabernacolo dei Linaioli il Bambino tiene in mano. È chiarissimo che la manina, rappresentata in prospettiva, tiene non un disco ma appunto una sfera su cui si intravedono anche i contorni dei continenti.

Se qualcuno, comunque, fosse affezionato all’idea della terra piatta, sappia che negli Stati Uniti c’è ancora un gruppo di persone che ostinatamente difende questa visione del mondo, e ha anche un proprio sito web, con buona pace di Aristotele e del principio di non contraddizione.
Silvia Andalò
Per saperne di più:
Paolo Attivissimo, Come e perché si afferma un mito, «Le Scienze», n.555, novembre 2014;
Sergio Bertelli, Il corpo del Re: sacralità del potere nell’Europa medievale e moderna,1990;
Alessandro Barbero, festival della mente di Sarzana:
Umberto Eco, La leggenda della terra piatta, «La Repubblica», 23 febbraio 2009;
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