“San Marco, impareggiabile luogo dello spirito”: il Museo e l’Annunciazione di Beato Angelico nelle parole di Antonio Paolucci

Di Antonio Paolucci (Rimini 1939 – Firenze 2024) ci fa piacere ricordare il rapporto speciale con l’arte di Beato Angelico e il Museo di San Marco, a cui lo legavano un sentimento di sincera affezione e una profonda sintonia estetica e spirituale. Non c’era settimana in cui, nonostante i gravosi impegni da Soprintendente, non lo vedessimo arrivare in bicicletta, con l’immancabile impermeabile beige, a cercare un po’ di ristoro fra le sale del museo e soprattutto nel chiostro, dove sostava in contemplazione.

Qualche parola bonaria scambiata con i custodi più anziani, di cui conosceva nomi e storie; qualche battuta più vivace con i giovani assistenti, con cui spesso si confrontava nelle riunioni ufficiali; un’occhiata, da Dirigente, ai numeri degli ingressi e del bookshop; un saluto, sempre cordiale, a chiunque incontrasse. E poi via, in bicicletta, di ritorno agli Uffizi.

Proponiamo due brevi testi, scelti fra i tanti: l’introduzione ad una guida del museo, scritta quando era Ministro, e un bellissimo commento all’Annunciazione di Beato Angelico. Le parole, particolarmente ispirate, rivelano pienamente l’amore di Paolucci per San Marco e la totale comprensione di questo luogo unico fra i musei della Soprintendenza fiorentina, un “impareggiabile luogo dello spirito”.

Dovessi consigliare a qualcuno che non c’è mai stato il modo migliore di visitare il Museo di San Marco, gli raccomanderei – prima di cercare i capolavori che questa guida descrive e di riconoscere con sistematica pazienza gli ambienti, le opere e gli autori – di lasciarsi condurre dalla curiosità e di percorrerlo con nessuna altra preoccupazione se non quella di godere la realtà assolutamente imprevista che si offre a chi varchi la soglia di ingresso.

Il visitatore che, percorrendo San Marco, immaginasse di entrare nel sistema didattico e storiografico al quale ci ha abituati la nostra esperienza di altri musei di arte antica in Italia e in Europa, rimarrebbe infatti, dall’inizio, piacevolmente sorpreso e quasi sconcertato. Appena superato lo sbarramento della biglietteria, San Marco si presenta con lo spettacolo di un chiostro armonioso, percorso da affreschi e dominato da un grande cedro. Viene subito voglia (voglia che io consiglio caldamente di assecondare) di sedersi sul muricciolo che perimetra il chiostro, sotto gli affreschi che raccontano le vicende del santo vescovo Antonino, magari non lontano dall’aula capitolare dove il Beato Angelico ha dato figura alla sua sublime riflessione teologica sulla Crocifissione, e di guardarsi intorno.

Si capirà subito che San Marco era in origine una perfetta “macchina” per abitare, per studiare, per pregare; una mirabile “città di Dio” incastonata dentro la tumultuosa città degli uomini. Si capirà anche che Michelozzo e il Beato Angelico, i veri protagonisti di San Marco (il primo perché progettista del complesso conventuale, il secondo perché il Museo è archivio ed emblema del suo nome e della sua pittura), hanno inventato, più di cinque secoli fa, un tipo di rapporto fra l’uomo e l’arte che nessun museografo è mai stato capace di emulare.

L’arte è espressione fondamentale dell’uomo, è componente irrinunciabile dello spirito, accompagna i nostri passi, dà origine al nostro abitare, offre argomenti alle nostre riflessioni. Essa non ci è imposta per persuasione didattica ma occupa con eloquente naturalezza lo scenario del vivere quotidiano. Questa è l’idea che ha guidato la nascita del convento domenicano di San Marco e questa idea, per chi attraversi il moderno Museo pubblico, sostando in uno qualsiasi dei suoi ambienti, è ancora oggi perfettamente comprensibile.

Conviene quindi, in un primo momento, abbandonarsi al piacere di percorrere il Museo senza un programma preciso: lasciandosi guidare dal fascino dei luoghi, dalla suggestione del rapporto tra pittura e architettura, dalla nitida corrispondenza, facilissima da capire, che lega le immagini figurate al ricordo ancora trasparente della loro funzione simbolica.

Accadrà così che i passi ci porteranno nei refettori ombrosi affrescati dal Ghirlandaio e dal Sogliani, nell’Ospizio che un tempo accoglieva i pellegrini e oggi raccoglie alcuni dei capolavori supremi dell’Angelico, nella Foresteria, nelle celle del primo piano, nella Biblioteca. Dappertutto avvertiremo che le ragioni dell’arte sono giustificate e come sublimate dall’ambiente che le ospita; che gli altri affreschi, le tavole dipinte, i corali miniati ci parlano, con una immediatezza che in qualsiasi altro museo sarebbe impensabile.

Dopo aver capito San Marco nella sua splendida singolarità potremo usare utilmente la guida che Magnolia Scudieri – da molti anni funzionario addetto al Museo – ha redatto con attenzione minuziosa e amorosa.

Sapremo, allora, che nel Museo sono conservate alcune delle opere somme dell’arte occidentale che il Beato Angelico – qui rappresentato con la parte più numerosa e più significativa della sua produzione – è pittore vertiginosamente grande e straordinariamente moderno, degno di stare alla pari con Masaccio e con Piero della Francesca, che la scuola detta di San Marco (soprattutto grazie a Fra Bartolomeo) rappresentò uno degli snodi decisivi della nostra storia artistica.

Molte cose ancora il Museo potrà insegnarci e questo libro aiutarci a capire. A patto però che ci si lasci guidare fin dal primo momento (ed è la cosa più facile di questo mondo) dalla eccezionalità di San Marco, impareggiabile luogo dello spirito.

Da Antonio Paolucci, Prefazione, in San Marco. Guida completa al museo e alla chiesa, a cura di Magnolia Scudieri, Scala Becocci, Firenze 1995, pp. 3-4.

Il Museo di San Marco a Firenze è consacrato al Beato Angelico. La pittura come “visibile pregare” ha qui la sua perfetta dimostrazione. Fermiamoci di fronte alla Annunciazione in affresco dipinta circa il 1440. Ciò che colpisce è la semplicità, quasi la castità della scena rappresentata. La Madonna è una giovinetta umile e un po’ spaurita che, a braccia conserte seduta su un rustico sgabello, riceve l’annuncio. L’Angelo è un fanciullo biondo che accenna un breve inchino con aria premurosa e felice, e sembra abbia fretta di dare l’inaudita notizia: il Verbo si è fatto Carne, Dio si è riconciliato con gli uomini, Cristo Salvatore vive nel grembo della Vergine Maria.

L’Incarnazione, il mistero più inconcepibile e più ineffabile (nel senso che non c’è mente umana che possa comprenderlo né voce che possa raccontarlo) è presentata dal Beato Angelico con gli strumenti della semplicità e della “moderna” verità. Perché il luogo dell’annuncio è una loggia fiorentina nitida e rigorosamente esatta nelle proporzioni e nell’impianto prospettico. Sembra progettata da Filippo Brunelleschi, l’architetto che negli stessi anni costruiva il Loggiato degli Innocenti. Sullo sfondo un prato verde e un giardino ombroso, delimitato da una staccionata di legno.

Verrebbe voglia di entrare in quel giardino segreto che è figura del Paradiso terrestre. Gli uomini lo hanno perduto a causa del peccato dei progenitori, ma ora, grazie al concepimento di Cristo annunciato dall’Angelo, esso è di nuovo aperto alla speranza dei credenti. Una sottile trama di simboli, una rete di significati leggera come un’ala di farfalla, governa la scena. Il pittore si ferma sulla soglia del mistero e chiama a una contemplazione silenziosa. Il silenzio aiuta a entrare nella poesia della luce e dell’ombra che accarezza le colonne, i capitelli, svela la profondità del luogo, sfiora il volto della Vergine. La bellezza del mondo che Dio ha dato agli uomini è un miracolo. Il miracolo del Vero visibile restituitoci dalla pittura è il primo gradino per arrivare alla fede. Questo sembra voler dire il Beato Angelico nella Annunciazione conservata nel Museo di San Marco.

da Antonio Paolucci, Presentazione, collana “Piccoli, grandi musei”, edizione 2007 (Valdarno), Polistampa, Firenze, pp. 9-10

Un commento

  1. Due affascinanti e profonde introduzioni al Museo. E’ stato un privilegio averlo conosciuto,incontrandolo personalmente nella sua veste ufficiale. Grazie
    Ilaria Anichini

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