LUCIANO BELLOSI E IL RESTAURO DEGLI AFFRESCHI DELL’ANGELICO A SAN MARCO

«Uomo schivo, mite e sensibile, incarnava un’idea di storia dell’arte del tutto particolare, inconfondibile, lontana dalle mode e dagli opportunismi, concentrato come era ad inseguire un suo filo rosso. Egli si poneva con umiltà al servizio delle opere d’arte, ne parlava quasi con reverenza, scegliendo con lenta meditazione le parole più adatte».

Quanto scritto in memoriam da Andrea De Marchi tratteggia bene la figura di Luciano Bellosi (Firenze,1936 – 2011), allievo di Roberto Longhi, docente di Storia dell’Arte Medievale presso l’Università di Siena, studioso di pittura e scultura dal Duecento al Cinquecento, noto anche per i suoi testi innovativi e di bella scrittura su Buffalmacco, Giotto e Cimabue, nonché per avere individuato nella “pittura di luce” di Domenico Veneziano, Beato Angelico, Baldovinetti e altri, fino a giungere a Piero, una linea alternativa a quella più disegnativa e meno cromatica che prevalse nel Rinascimento fiorentino.

Dal 1969, per dieci anni, Luciano Bellosi lavorò come funzionario storico dell’arte per la Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Firenze. Nel 1976 il Soprintendente Luciano Berti gli affidò la direzione della Galleria dell’Accademia e del Museo di San Marco, dove rimase fino al 1979, quando ottenne la cattedra universitaria a Siena. Fu Direttore di San Marco per poco meno di tre anni, ma in un momento estremamente importante, perché erano in corso i lavori di restauro degli affreschi di Beato Angelico, a cura di Dino Dini, iniziati nel 1967 sotto la direzione di Renzo Chiarelli. Quando Bellosi assunse la direzione erano già stati restaurati la Crocifissione della Sala capitolare, il Crocifisso con San Domenico nel chiostro e, nel dormitorio, la Natività della cella 5, la Resurrezione della cella 8 e l’Incoronazione della Vergine della cella 9. A questo punto, però, i lavori si erano fermati per mancanza di fondi ministeriali.

Come racconta in un volume del 1996, a cura di Daniela Dini, dedicato al restauro degli affreschi in San Marco, Bellosi conosceva bene Hanna Kiel, una «tedesca innamorata dell’arte italiana, che era stata molto amica di Berenson e che era ancora una presenza abituale a Villa I Tatti. Con lei avevo allestito e riaperto il Museo del Bigallo; con lei stavo collaborando alla collana Electa dei Musei minori di Firenze, diretta da Ugo Procacci: io dovevo catalogare il Museo dello Spedale degli Innocenti, lei quello del Bigallo; i due cataloghi sarebbero usciti in uno stesso volume nel 1977. Hanna Kiel mi confidò che un ricco benefattore, di cui per il momento non si doveva conoscere il nome, aveva intenzione di finanziare un restauro importante a Firenze e mi chiedeva se potevo darle qualche indicazione. La portai a vedere le celle di San Marco e si rese subito conto che quello poteva essere il restauro giusto per il generoso mecenate, che solo più tardi mi rivelò essere il barone Thyssen-Bornemisza di Lugano» (da L. Bellosi, Una testimonianza su Dino Dini e sull’Angelico a San Marco, in Gli affreschi del Beato Angelico nel convento di San Marco a Firenze, a cura di Daniela Dini, Torino 1996, p. 20).

Grazie al finanziamento del barone Thyssen-Bornemisza di Lugano, Dino Dini poté riprendere i restauri nel gennaio del 1977 cominciando dalla Trasfigurazione della cella 6, seguita dal Cristo deriso della cella 7 e dall’Annunciazione della cella 3. Tra il 1977 e il 1978 furono restaurate altre undici celle, nel primo e secondo corridoio, e poi si passò alle celle del noviziato. Dal 1979 i lavori proseguirono sotto la direzione di Giorgio Bonsanti e si conclusero nel 1983.

Riproponiamo qui una prima preziosa analisi critica degli affreschi appena restaurati che Luciano Bellosi tracciò nel 1984 sul n. 37 della rivista “Prospettiva”, di cui è stato anche direttore. Ringraziamo per la gentile concessione l’attuale direttore, Alessandro Bagnoli, la redazione e l’editore.

Con questo contributo di Luciano Bellosi, che vuole essere anche un omaggio alla sua memoria, si conclude la nostra inchiesta sul Museo di San Marco attraverso le parole dei funzionari storici dell’arte che l’hanno curato, studiato, tutelato e valorizzato negli ultimi cinquant’anni.

IL MUSEO DI SAN MARCO

Il 13 giugno 1983 il Museo di San Marco a Firenze ha presentato al pubblico il restauro delle celle del Dormitorio dell’ex-convento e alcune sale nuovamente allestite. Chi scrive era particolarmente interessato, perché, nel breve periodo in cui era stato direttore del Museo, dal 1976 al 1979, si era occupato molto di quei restauri (per i quali, a lavori da poco iniziati, si erano interrotti i finanziamenti ministeriali), prima segnalandoli alla benemerita Hanna Kiel che era in contatto con un mecenate straniero desideroso di finanziare un’importante campagna di restauro, e poi seguendoli via via che il restauratore Dino Dini li portava avanti: da solo e con una passione e una competenza davvero ammirevoli.

I restauri sono stati importanti ed hanno condotto a delle scoperte imprevedibili, come quella relativa alla Presentazione al Tempio della cella n. 10. dove, sotto l’uniforme tinta rossa del fondo, che è risultata una ridipintura moderna, è ricomparsa una stupenda ambientazione architettonica rinascimentale, costituita da un’abside semicircolare il cui catino era formato da una grande conchiglia, malauguratamente frammentaria. Questo affresco, che appare ora come uno dei capolavori dell’Angelico, testimonia dell’importanza che avevano le celle disposte all’esterno rispetto a quelle che si affacciano sul chiostro.

Cella 10
Beato Angelico, Presentazione di Gesù al Tempio, cella 10

Mentre lungo questo primo corridoio le celle che danno su Via La Marmora (ora Via La Pira) contengono gli affreschi più importanti, come I’ Annunciazione, la Trasfigurazione, la Derisione di Cristo, l’ Incoronazione della Vergine e – appunto – la Presentazione al Tempio, le celle che guardano il chiostro contengono figurazioni certo meno entusiasmanti, anche se di notevolissima qualità. Eseguite sotto la diretta sorveglianza dell’Angelico, esse rivelano – io credo – la crescita di un giovane aiuto molto promettente, Benozzo Gozzoli, la cui mano già compariva in alcune parti della Deposizione (cella n. 2). della Crocifissione (cella n. 4), della Natività (cella n. 5: si vedano soprattutto gli angeli in alto) e nell’intero affresco della cella n. 11, con la Madonna in trono tra i santi Agostino e Domenico.

I lavori dovettero continuare con gli affreschi delle celle dalla parte del chiostro lungo il corridoio della Biblioteca, nei quali compare anche un altro collaboratore, più scadente, ben riconoscibile nelle figure dietro Adamo nella Discesa al Limbo della cella n 31 e negli Apostoli sulla sinistra della Comunione nella cella n. 35. Tuttavia, gli affreschi nelle celle di questo corridoio dovettero essere stati eseguiti più tardi. Ce lo indicano emblematicamente le aureole, che imitano un disco d’oro reso con i riflessi metallici più vivi e delicati e talvolta arricchito anche con grandi lettere, secondo un’idea che l’Angelico utilizza nella cappella Niccolina in Vaticano, iniziata nel 1448, e nell’Armadio degli argenti ora a San Marco, opera estrema dell’artista.

Cella 34
Beato Angelico, Orazione nell’Orto, cella 34, particolare con le aureole di Marta e Maria di Betania

Anche la pittura trasparente e la cromia luminosa trovano riscontro in queste opere tarde dell’Angelico e l’atmosfera pulita e cristallina degli affreschi romani ha dei paralleli purissimi in scene come il Cristo inchiodato sulla croce della cella n. 36 o la Crocifissione della cella n. 42, un’altra delle riscoperte di questa campagna di restauro.

Cella 42
Beato Angelico, Crocifissione, cella 42, particolare con le due dolenti, Marta e la Vergine

La semplicità e la ‘povertà’ di queste figure, sorrette da un disegno di un’eleganza miracolosa, raggiungono momenti di qualità suprema, come nelle due dolenti dai gesti intensi e dalle vesti di una luminosità e purezza che trovano riscontri perfetti negli affreschi niccolini, ad esempio nelle due donne velate della scena con ‘Santo Stefano che distribuisce le elemosine’; così come il soldato nel Cristo inchiodato sulla croce, con i suoi finissimi lustri metallici “fiamminghi”, trova riscontro nel soldato sulla sinistra della scena nella cappella Niccolina con Papa Sisto che consegna il tesoro della Chiesa a San Lorenzo. La cromia chiara e luminosa di questi tardi affreschi del Dormitorio di San Marco ha uno straordinario alleato nel fondo formato dal semplice intonaco a grassello, che è un espediente in linea con un’ulteriore meditazione sulla ‘povertà’ che doveva caratterizzare le figurazioni delle celle.

Gli stessi ingredienti tardi – finta aureola d’oro con riflessi metallici e fondo “povero” di semplice intonaco a grassello – si ritrovano anche nelle figurazioni col Crocifisso e San Domenico nelle celle del braccio del Noviziato, lungo piazza San Marco. Sono affreschi considerati di solito con scarso interesse ma che, al di là dell’uniformità del tema, accentuata anche dall’uso dello stesso disegno per il Crocifisso, mostrano straordinarie variazioni nello svolazzo del perizoma, nelle pose del San Domenico e nelle articolazioni creatrici di spazio della roccia su cui scorrono impressionanti rivoli di sangue. Credo sia necessario vedere anche in questi risultati di grande qualità la vigile sorveglianza dell’Angelico stesso sull’esecuzione che sembra spettare sostanzialmente a Benozzo, autore anche delle due figurazioni nella cella di Cosimo all’estremità dell’altro corridoio.

Cella 19
Beato Angelico e collaboratori, Crocifisso e San Domenico, cella 19, corridoio del Noviziato

Nelle celle dei Novizi esistono tracce delle incorniciature originarie, che non avevano niente a che tare con quelle rifatte nell’Ottocento a fingere delle modanature in rilievo, un po’ grevi. Erano cornici completamente piatte e colorate a liste rosa e verdoline che si alternavano su un fondo bianco, separate da quadratini giallo-ocra. lo sono convinto che tutti gli affreschi delle celle, e non solo quelli dei Novizi, avessero questa incorniciatura, povera ma colorata, perché il motivo delle liste alternate di rosa e di verdolino ritorna di continuo negli affreschi del convento, ivi compresa la grande Crocifissione del Capitolo, sia pure in un’accezione più ricca dovuta alla destinazione più ufficiale.

A mio avviso, è così che si sarebbero dovute rifare le incorniciature intorno agli affreschi e non semplicemente ritornando all’idea ottocentesca delle modanature monocrome, sia pure rese più leggere dalla mano attenta del Dini. In questo, l’amico Giorgio Bonsanti, attuale direttore del Museo, mi consentirà di dissentire decisamente dai suoi criteri. Gli va dato atto, invece, della giustezza della decisione di far intonacare i muri a grassello, come dovevano essere in origine. Gli consiglierei fortemente anche di avere il coraggio di abolire la finestrella che era stata aperta per illuminare meglio la Madonna delle ombre nel primo corridoio del Dormitorio; essa altera in modo radicale la situazione originaria, che era di una luce radente provocata dalla finestra in fondo al corridoio, sulla quale l’Angelico ha basato proprio lo straordinario effetto delle lunghe ombre proiettate sul muro latteo dalle volute aggettanti dei capitelli.

Insieme ai restauri degli affreschi del Dormitorio venivano presentati due nuovi ambienti al piano terreno, ricavati da alcuni vani che erano precedentemente utilizzati per i servizi. In uno di questi è stato collocato un cimelio del convento di San Marco, il consunto stendardo su tela col Crocifisso e Sant’Antonino inginocchiato ai piedi della croce, tradizionalmente attribuito al Baldovinetti, ma che si lega bene, invece, con l’operosità giovanile del Botticini. Ad accompagnare questo consunto dipinto su tela sono alcune tavole. Di esse, la più pertinente e interessante, nonostante il precario stato di conservazione, è la Madonna col Bambino in trono fra i Santi Iacopo e Giuliano, che mostra evidenti rapporti con gli affreschi delle celle e spetta, io credo, ancora al giovane Benozzo Gozzoli. La Madonna col Bambino a mezza figura collocata di fronte non è opera di Antoniazzo Romano ma del “Maestro dell’Annunciazione Gardner”.

L’altro vano, risultante dall’unificazione di due precedenti, è dedicato alle opere di Fra Bartolomeo, che vengono ad avere in questo modo un loro luogo deputato all’interno del Museo di San Marco. Tra gli ambienti sistemati e resi visitabili, veniva presentata anche la Foresteria, che accoglie la parte più interessante e imponente dei cimeli del vecchio centro storico di Firenze, sventrato ai tempi in cui la città fu capitale d’Italia.

Luciano Bellosi

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Luciano Bellosi

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Luciano Bellosi, Il Museo di San Marco, “Prospettiva”, 37 (1984), pp. 87–88

Pittura di luce. Giovanni di Francesco e l’arte fiorentina di metà Quattrocento, catalogo della mostra (Firenze, Casa Buonarroti, 16 maggio-20 agosto 1990), a cura di Luciano Bellosi, Electa, Milano 1990

Una scuola per Piero. Luce, colore e prospettiva nella formazione fiorentina di Piero della Francesca, a cura di Luciano Bellosi, catalogo della mostra (Firenze, Galleria degli Uffizi, 27 settembre 1992-10 gennaio 1993) Marsilio, Venezia 1992

Luciano Bellosi, Una testimonianza su Dino Dini e sull’Angelico a San Marco, in Gli affreschi del Beato Angelico nel convento di San Marco a Firenze, a cura di Daniela Dini, Umberto Allemandi & C., Torino 1996, pp. 19-28

Luciano Bellosi e Aldo Galli, Un nuovo dipinto dell’Angelico, “Antichi maestri e pittori”, Allemandi, Torino 1998

Luciano Bellosi, Il grande affresco di Antonio Veneziano recentemente scoperto nella chiesa di San Marco a Firenze: una prima riflessione, “OPD Restauro”, 10 (1998), pp.75-81 (poi in Luciano Bellosi, “I vivi parean vivi”. Scritti di storia dell’arte italiana del Duecento e del Trecento, Centro Di, Firenze 2006, pp. 369-375)

Masaccio e le origini del Rinascimento, catalogo della mostra (San Giovanni Valdarno, Casa Masaccio, 20 settembre-21 dicembre 2002), a cura di Luciano Bellosi con la collaborazione di Laura Cavazzini e Aldo Galli, Skira, Milano 2002

Luciano Bellosi, Giotto, l’Angelico e Andrea del Castagno, in Barbara Tosti, Mugello culla del Rinascimento: Giotto, Beato Angelico, Donatello e i Medici, Polistampa, Firenze 2008, pp. 71-98

Andrea De Marchi, Luciano Bellosi (1936-2011), “Mitteilungen Des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, vol. 54, 1 (2010), pp. 207–10

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