Le Deposizioni “mistiche” di Pietro Annigoni

Due capolavori di straordinaria intensità furono eseguiti a fresco da Pietro Annigoni (Milano 1910 – Firenze 1988) a trent’anni l’uno dall’altro: la Deposizione di Cristo dalla croce (1937), nel Convento di San Marco a Firenze, e la Deposizione e Resurrezione di Cristo (1967), nella chiesa di San Michele Arcangelo a Ponte Buggianese, in provincia di Pistoia.

Si può definire “mistico” questo tipo di Deposizione, non solo perché, come nell’arte del passato, la scena deve ispirare un sentimento di commozione e adorazione nei fedeli, ma anche perché l’artista, pur usando una tecnica pittorica tradizionale, rappresenta immagini che oltrepassano la realtà dell’evento storico per divenire esse stesse rimandi simbolici alla verità dell’azione sacra attraverso un’iconografia inedita, per cui l’immagine del Cristo deposto trascende il tempo e diventa meditazione interiore.

La frequentazione dei domenicani di San Marco, come padre Angelico Spinillo, frate e pittore, e probabilmente anche la conoscenza di Giorgio La Pira, avvenuta attraverso la contessa Margherita Venerosi-Pesciolini, per la quale Annigoni dipingerà una sala negli anni Cinquanta, facilitarono ad Annigoni la committenza di questi affreschi. La Pira, come è noto, fu sempre vicino spiritualmente e culturalmente al convento fiorentino di San Marco: da quando era docente alla Facoltà di Giurisprudenza fino al momento in cui decise di abitare, come laico, in una delle celle conventuali, anche quando divenne Sindaco di Firenze.

Per la prima volta nella sua carriera Annigoni si cimenta nella rappresentazione di un soggetto religioso e lo fa in modo del tutto inedito e personale; un tema sacro fondamentale, diffuso in tutta la storia dell’arte e ripreso anche da importanti pittori dell’età contemporanea. In quella che oggi è chiamata “Sala Annigoni”, nel convento di San Marco, un ambiente poco conosciuto dal grande pubblico perché di pertinenza dei frati, la scena centrale della Deposizione di Cristo è quella affrescata per prima, nel 1937, circondata da episodi del Libro della Genesi e personaggi illustri dell’ordine domenicano: a sinistra la lunetta con Il peccato di Adamo ed Eva (1938) e, sotto, Sant’Antonino Pierozzi e Santa Caterina da Siena (1941); a destra la lunetta con Caino che uccide Abele (1940) e, sotto, San Tommaso d’Aquino e Girolamo Savonarola (1939). Sotto le lunette un’iscrizione tratta dalla Lettera ai Romani (5, 19): “SICUT PER INOBEDIENTIAM UNIUS PECCATORES CONSTITUTI SUNT MULTI, ITA ET PER UNIUS OBEDITIONEM IUSTI CONSTITUENTUR MULTI”. Dipinti successivamente, fuori scena, Abramo e Isacco (1981), San Domenico (1981), e il  Ritratto di Beato Angelico (1983).

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Pietro Annigoni, Deposizione dalla Croce con Sant’Antonino Pierozzi, Santa Caterina da Siena, San Tommaso d’Aquino e Girolamo Savonarola; nelle lunette Il peccato di Adamo ed Eva, Caino uccide Abele; 1937-1941, affresco, Firenze, Convento di San Marco, Sala Annigoni

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Pietro Annigoni, Deposizione dalla Croce, 1937, Firenze, Convento di San Marco, Sala Annigoni

Il corpo di Cristo, isolato e irrigidito dalla morte, viene calato dalla croce, evidenziata solo da una porzione del braccio verticale, con un lenzuolo ripiegato sotto le braccia; i lembi dello stesso lenzuolo svettano verso il cielo, ma non c’è nessuno a sollevarli e a tenerli in tensione, perché sono tranciati e interrotti dalla cornice della parete. Questa scelta accentua il senso metafisico e quasi irreale della scena, che viene aggravato dai toni scuri e drammatici della figura. La crudezza del Cristo, con la pelle e i muscoli delle braccia scorticati dalla trazione del peso del corpo inchiodato alla croce, con i segni della flagellazione, richiamano alla memoria la drammaticità della Crocefissione di Matthias Grünewald (1512-1516).

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Matthias Grünewald, Crocifissione,1512-1516, Colmar (Francia), Musée d’Unterlinden

Per rappresentare in modo scientificamente attendibile il corpo morto del Cristo, Annigoni, come i grandi pittori del passato, aveva ritenuto indispensabile lo studio anatomico dal vero, a completamento dello studio del corpo umano iniziato in gioventù alla “Libera scuola del nudo” presso l’Accademia delle Belle Arti di Firenze. Da questa Deposizione si capisce quanto l’artista abbia applicato in modo straordinariamente efficace l’idea del peso del corpo morto che cade senza più resistenza, e della testa reclinata e inerte con i capelli arruffati e il sangue raggrumato che occultano l’espressione facciale. Il realismo molto forte e i colori scuri ravvivati da improvvisi colpi di luce, sottolineano l’aspetto tragico del momento.

In tutte le opere di Annigoni a soggetto religioso si sente fortemente questo dramma dell’uomo solo nei confronti del mondo e della storia, e una religiosità profonda, ma anche molto tormentata. La sua pittura religiosa, infatti, non è mai serena, contiene in se stessa una tendenza a una specie di deflagrazione verso l’esterno, a rappresentare figure che, in una voluta e ricercata deformazione dei corpi, esprimono il dramma dell’esistenza umana. Lo stesso artista si definiva un uomo senza il dono della fede ma con una grande nostalgia di Dio, in cammino verso un senso compiuto della vita.

Per l’elaborazione del corpo di Cristo deposto, Annigoni si servì di un modello dal vivo fatto calare da una croce collocata nel suo studio e tenuto appeso per lungo tempo, quasi fino allo svenimento, tramite corde passate sotto le ascelle. Il disegno preparatorio rivela la straordinaria maestria di Annigoni, non tanto come epigono della grande tradizione della pittura fiorentina fino a Michelangelo e della pittura fiamminga, quanto come ricreatore originale di tecniche e metodi antichi che sono propedeutici alla realizzazione di immagini che manifestano la condizione esistenziale dell’uomo moderno, attraverso le suggestioni e i ricordi del Simbolismo, della Metafisica e di altre correnti artistiche contemporanee. Correnti di cui non condivideva gli ideali e le idee programmatiche, ma che potevano comunque offrirgli spunti di riflessione sulla realtà contemporanea.

L’espediente di nascondere la parte alta dell’immagine – in questo caso la croce e coloro che depongono Cristo, in modo che il soggetto, pur nella sua realtà carnale, diventi qualcosa di irreale, di ripensato a livello simbolico nella meditazione spirituale – non è molto frequente nell’arte contemporanea a soggetto religioso; eppure è una straordinaria invenzione di Donatello, a cui Annigoni si è senza dubbio ispirato. Lo scultore, infatti, operò nella stessa maniera nel Pulpito della Passione (1465) della Basilica di San Lorenzo a Firenze, quando, nella scena della Deposizione di Cristo, tagliò di netto, nel bassorilievo di bronzo, la sommità delle tre croci e dei corpi dei due ladroni, mentre rappresentò Cristo già deposto in terra tra i dolenti.

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Donatello, Deposizione dalla Croce, 1465, Pulpito della Passione, Firenze, Basilica di San Lorenzo

I tre santi domenicani (Sant’Antonino Pierozzi, Santa Caterina da Siena, San Tommaso d’Aquino) e Fra’ Girolamo Savonarola, ai lati della croce, si richiamano alla pittura rinascimentale, da Masaccio a Michelangelo, nella monumentalità del panneggio, nella potenza delle espressioni e la perfezione del disegno. Nelle lunette sovrastanti con gli episodi della Genesi, invece, si sente maggiormente la vicinanza alla pittura simbolista e il richiamo, tipico in Annigoni, alla pittura nordica.

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Pietro Annigoni, Sant’Antonino Pierozzi e Santa Caterina da Siena, 1941; nella lunetta Il peccato di Adamo ed Eva, 1940, Firenze, Convento di San Marco, Sala Annigoni
Tommaso Savonarola
Pietro Annigoni, San Tommaso d’Aquino e Girolamo Savonarola, 1939; nella lunetta Caino uccide Abele; 1938, Firenze, Convento di San Marco, Sala Annigoni

Trent’anni dopo il lavoro a San Marco, dal 1967 al 1979, su richiesta del parroco Egisto Cortesi e della comunità parrocchiale della chiesa di San Michele Arcangelo a Ponte Buggianese, Santuario della Madonna del Buon Consiglio, Annigoni andò al di là delle aspettative dei fedeli e del parroco decidendo di affrescare completamente, con la collaborazione dei suoi allievi, tutte le pareti della chiesa. Il pittore creò così una piccola “Cappella Sistina” nel contado toscano. Oltre la Deposizione e la Resurrezione, negli anni successivi furono affrescati sulle pareti della chiesa altri capolavori, come l’Ultima Cena, Cristo nell’Orto del Getsemani, la Resurrezione di Lazzaro, i profeti Geremia e Isaia.

Ponte Buggianese
Pietro Annigoni, Deposizione e Resurrezione di Cristo, 1967, parete di fondo della Chiesa di San Michele Arcangelo (Santuario della Madonna del Buon Consiglio), Ponte Buggianese (Pistoia).

È importante sottolineare che Annigoni affrescava in maniera completamente gratuita grandi cicli religiosi in chiese, monasteri e conventi famosi, chiedendo solo un contributo per le spese sostenute nell’esecuzione. Tra questi ricordiamo, oltre il ciclo di Ponte Buggianese, anche quello della vita di San Benedetto nell’Abbazia di Montecassino e di Sant’Antonio da Padova nella Basilica del Santo, negli anni Ottanta del Novecento. A riprova che la nostalgia del sacro e il desiderio di un rapporto spirituale con Dio spingeva il pittore “non credente” a scelte coraggiose e generose, non certamente comuni in molti altri suoi colleghi.

Nella Deposizione di Ponte Buggianese, la figura di Cristo riprende quella precedente di San Marco, alla quale è sostanzialmente sovrapponibile. Il Salvatore viene calato a terra da una croce a bracci obliqui ascendenti, a volte definita “croce a Y”, non riferibile alla tipologia di “croce immissa” o di “croce commissa”. Può essere considerata una variante della croce immissa, o croce latina, con i bracci laterali non perpendicolari al palo verticale ma obliqui verso l’alto. Simbologia molto intensa, che sembra richiamare il gesto di Cristo che accoglie l’umanità nelle sue braccia (“Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”, Vangelo di Giovanni, 12,32). Una croce molto amata dagli artisti, pittori e scultori del Novecento, specialmente nelle chiese di nuova concezione, dopo il Concilio Vaticano II.

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Pietro Annigoni, Deposizione e Resurrezione di Cristo, 1967, Ponte Buggianese (Pistoia), Chiesa di San Michele Arcangelo (Santuario della Madonna del Buon Consiglio)

Inoltre questa tipologia recupera quasi sicuramente, in questa forma insolita, un’iconografia molto più antica e venerata nel Duecento e nella prima metà del Trecento, ossia quella dell’Albero della vita, di cui un esempio noto è la tavola di Pacino di Bonaguida (1310), esposta alla Galleria dell’Accademia, ispirato al Lignum Vitae di San Bonaventura da Bagnoregio, dove due rami opposti dell’albero, tra i tanti esistenti, diventano i bracci laterali della croce di Cristo. Dalla sottrazione di tutti i rami, eccetto due, nasce quindi questa variante di croce latina a braccia oblique.

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Pacino di Buonaguida, Albero della Vita, 1305-10 c., Firenze, Galleria dell’Accademia

Come nella Deposizione del convento di San Marco, anche qui non ci sono Nicodemo e Giuseppe di Arimatea a deporre dalla croce il corpo di Cristo, slogato e martoriato. Questa volta il corpo del Salvatore non è sostenuto da una striscia di lenzuolo che sconfina nel nulla, ma da due angeli possenti e oscuri simboleggianti lo strazio salvifico del Bene che trionfa sul Male. Gli angeli scendono dal cielo sorreggendo e deponendo a terra Cristo, già quasi dentro un ideale sepolcro, immaginato ma non visibile, con lunghe fasce di stoffa passanti sotto le braccia e sul costato, e compiono l’azione quasi soffiando sul suo corpo nello sforzo di sorreggerlo, forse un’allusione al soffio di vita della Creazione.

Poco più in basso, figure di ascendenza michelangiolesca si stagliano potentemente ai lati del corpo di Cristo: i quattro angeli “tubicini”, immersi in un’atmosfera rossastra, nebbiosa e surreale, colma di un vento apocalittico, che annunciano il Giudizio al suono delle trombe. Un’allusione alla fine della storia di cui Cristo è il re e il creatore. Si nota l’assenza dei “dolenti”; sono visibili solamente, con il volto allucinato e disfatto, consapevoli della loro colpa, Adamo ed Eva, ai lati della base dell’affresco.

Che la Deposizione di Ponte Buggianese non sia ispirata ad alcun precedente modello fa ulteriormente riflettere sulla sua straordinaria originalità. La fonte primaria è quella evangelica e non esistono fonti secondarie che possano avere influenzato, neppure minimamente, il pittore. Spicca in modo grandioso l’invenzione, veramente sorprendente, di unire nella scena la dimensione onirica e la rappresentazione simbolica di un fatto realmente accaduto che coinvolge nel dramma lo spettatore.

Per questo motivo l’affresco illustra compiutamente la simbologia della Storia della salvezza, già in nuce nell’affresco di San Marco: dal Peccato originale dei progenitori, con Adamo ed Eva accasciati e affranti ai lati del Calvario, appesantiti dalla loro colpa, al sacrificio salvifico di Cristo, fino alla Resurrezione sovrastante, riprodotta con l’uso del fondo oro di origine bizantina, che Annigoni utilizza anche per il San Giuseppe Lavoratore della Basilica di San Lorenzo, in un’esplosione di luce che richiama la sacralità delle icone e che il pittore applica non con un intento arcaizzante, ma per dare un’ulteriore valenza simbolica all’immagine rappresentata: il trionfo corporale e spirituale di Cristo nella Resurrezione, per cui l’oro è l’essenza stessa del divino e della vittoria spirituale ed eterna sulla morte. Un Cristo che domina lo spazio e il tempo, e dove la luce dell’oro emana anche dagli occhi stessi del Redentore, simbolo di divinità e immortalità del corpo e dell’anima, momento estremo e destino definitivo di tutta l’umanità.

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Pietro Annigoni, San Giuseppe falegname con Gesù fanciullo, 1964, Firenze, Basilica di San Lorenzo

Luca Di Bari

Bibliografia

Ringraziamo vivamente Padre Fabrizio Cambi O.P. , Rettore della Basilica di San Marco, che con la consueta disponibilità ci ha accompagnati nella Sala Annigoni, consentendoci le riprese fotografiche degli affreschi.

Luca Di Bari, laureato in Lettere presso l’Università degli studi di Firenze con tesi in Storia della Chiesa, abilitato all’insegnamento di Storia dell’arte nelle scuole superiori, guida turistica di Firenze e Provincia, ha frequentato il Corso di perfezionamento in Arte Sacra – II Edizione – A.A. 2021-2022 – presso la “Sacred Art School – Scuola di arte Sacra” di Firenze. Collaboratore, nel settore editoriale, alla ricerca bibliografica, iconografica e alla stesura di testi di soggetto storico e artistico, è autore di “Sulle tracce di Annigoni nel centro storico fiorentino” in “Firenze: Itinerari del Novecento. Guida turistica alla scoperta di luoghi, opere d’arte e protagonisti del XX secolo nella città del Rinascimento” (a cura di Lia Bernini), Apab – Nardini Editore, Firenze, 2016.

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