Dal 26 al 28 ottobre, si terrà a San Marco un importante convegno di studi su Fra Bartolomeo, in occasione dei 500 anni dalla sua morte (31 ottobre 1517). Come anticipazione, e come invito al convegno, Serena Padovani ha voluto ripercorrere, in una brillante e magistrale conferenza nella Biblioteca di San Marco, il percorso cronologico e stilistico dell’opera del frate pittore, tra conferme e rilevanti novità. Ne riportiamo una sintesi di idee e di immagini, secondo i nostri appunti.
Bartolomeo (o Baccio) della Porta, più noto come Fra Bartolomeo, pur essendo tra gli artisti fondamentali dell’arte italiana, non è ancora sufficientemente conosciuto. Serena Padovani sottolinea come, nell’editoria novecentesca, Fra Bartolomeo (così come il suo compagno di bottega Mariotto Albertinelli) abbia trovato pochissimo spazio (esemplare l’assenza nella serie storica dei “Maestri del colore”). Su questa inadeguata considerazione ha pesato, indubbiamente, il giudizio negativo espresso da Bernard Berenson, che apprezzava la delicatezza delle tavole giovanili, ma detestava le monumentali pale d’altare della maturità, a suo dire retoriche e “nere come la pece”.

A correggere l’opinione di Berenson, fa notare la Padovani, recenti restauri hanno “schiarito” le grandi tavole, consentendone una visione più autentica. Semplice, solenne e assolutamente priva di eccessi retorici, l’arte di Fra Bartolomeo rivela raffinati accordi di luce, ombreggiature e colori (chiari e trasparenti, senza gli annerimenti del tempo, patine o vernici), “con grandiosi personaggi costruiti attraverso velature ad olio”.

Prima del convento
È trascorso il 1490 quando Bartolomeo/Baccio della Porta e l’amico Mariotto Albertinelli, dopo gli anni di formazione presso Cosimo Rosselli, aprono bottega nell’abitazione di Baccio. Mentre Mariotto appare ancora legato allo stile del comune maestro, Bartolomeo guarda alle novità espresse da Domenico Ghirlandaio, Piero di Cosimo (anch’egli allievo del Rosselli) e Leonardo da Vinci. Gli studi di Everett Fahy hanno consentito di ricondurre al decennio 1490-1500 tutta una serie di opere, in cui il giovane (e ancora laico) Bartolomeo già si distingue per innovazione, sicurezza esecutiva e qualità espressiva. Questo periodo si conclude con un’opera importante, di nuova monumentalità, il Giudizio Finale, lasciato interrotto nel 1500, quando Bartolomeo, seguace di Savonarola, prende l’abito domenicano.




La presunta interruzione
Secondo Vasari, l’ingresso di Bartolomeo nell’ordine domenicano segna l’inizio di una lunga sospensione dell’attività artistica. Solo quattro anni dopo, a seguito delle pressioni esercitate da amici e dal priore di San Marco (Sante Pagnini), l’ormai Frate Bartolomeo “di San Marco” avrebbe ripreso a dipingere, accettando la commissione di Bernardo del Bianco per l’Apparizione della Vergine a San Bernardo, consegnata nel 1507 e che, al pari del Giudizio finale del 1500, costituisce un’opera di svolta. L’interruzione degli anni 1501-1504, comunemente accettata, per Serena Padovani non appare sostenibile. Tanto più che persino Vasari, per quegli anni, racconta di una produzione di disegni e piccole tavole per la devozione privata. La studiosa, a sostegno della sua posizione, ricorda che, tranne che per l’anno di noviziato (1501), Fra Bartolomeo non avrebbe avuto alcun motivo per smettere di dipingere. I domenicani, del resto, avevano ben presente l’esempio virtuoso di Beato Angelico, che, solo cinquanta anni prima, aveva condotto una vita da frate pittore (per di più, l’Angelico era stato ordinato sacerdote, a differenza di Bartolomeo). A ciò si aggiungono altri elementi: la lista delle opere redatta nel 1516 dal priore Bartolomeo Cavalcanti, con l’artista ancora in vita, da cui non si evince alcuna interruzione; la clausola del contratto dell’Apparizione della Vergine, che, imponendo al pittore di non accettare altri incarichi, fa presupporre che ne potesse avere altri; l’esistenza di una serie di opere che, dal punto di vista dello stile, appaiono precedenti all’Apparizione e possono essere datate agli anni 1501-1504. Fra queste, spicca il celebre Ritratto di Girolamo Savonarola (Museo di San Marco), che solitamente viene riferito agli anni 1498-1500, prima dell’ingresso in convento. Secondo Serena Padovani, invece, è probabile una datazione di poco successiva (1501-1502), dopo l’anno di noviziato e in un clima politico più sereno, in cui la damnatio delle memorie savonaroliane, a tre anni dalla morte del frate e con il moderato Pier Soderini gonfaloniere, non costituiva più una priorità. Il ritratto, di indubbia verosimiglianza, si basa sicuramente su schizzi presi dal vero, ma alcuni elementi (ad esempio gli occhi, scuri e non azzurri, come erano in realtà) farebbero pensare già ad una qualche idealizzazione.






La Pala Cambi e Raffaello
Sottovalutata e poco riprodotta, la Pala Cambi è l’unica opera di Fra Bartolomeo che si trovi ancora nel luogo d’origine, il secondo altare a destra nella basilica fiorentina di San Marco, di patronato della famiglia Cambi (fu dipinta per Pietro Cambi). È, ancora, la prima opera in cui, in lettere dorate, compare l’iscrizione “ORATE PRO PICTORE” (pregate per il pittore), che diventa una sorta di marchio di bottega. Anche se il restauro ha negato la presenza, un tempo sostenuta, della data 1509, l’opera viene comunemente riferita a quell’anno, o all’anno successivo. Serena Padovani non condivide questa datazione e avvicina l’opera, stilisticamente e cronologicamente, all’Apparizione della Vergine a San Bernardo (1504-7), individuando nella Pala Tedaldi (o Incarnazione di Cristo) di Piero di Cosimo (1504-05, agli Uffizi) il principale modello di riferimento. La nuova datazione proposta è attorno al 1507, ben distante, stilisticamente, dall’Estasi di Santa Caterina di Lucca (1509, Museo di Villa Guinigi). La datazione al 1507, sottolinea giustamente la Padovani, aiuterebbe a far chiarezza sul dibattuto rapporto tra Fra Bartolomeo e Raffaello: la Pala Cambi (più semplice e geometrica) precederebbe e ispirerebbe la Madonna del Baldacchino di Raffaello (1507-08, per Pietro Dei in Santo Spirito, oggi in Galleria Palatina). D’altra parte, poco dopo il rapporto è destinato ad invertirsi, quando la Madonna del Baldacchino diventa un modello per lo stesso Fra Bartolomeo (Sposalizio di Santa Caterina, 1511) e per altri artisti. Secondo la Padovani, per Fra Bartolomeo lo scambio con Raffaello è di fondamentale importanza, molto più del breve soggiorno a Venezia (giugno 1509), la cui influenza artistica tende ad essere sopravvalutata.




Le sacre conversazioni
Gli anni 1509-12 segnano l’apice della carriera artistica di Fra Bartolomeo, che lavora in collaborazione con Mariotto Albertinelli (ma la “compagnia” non implica che l’esecuzione delle opere sia a due mani, ma che in comune sia, piuttosto, l’organizzazione delle commissioni e la gestione dei proventi). Sono gli anni della “serie spettacolare” di sacre conversazioni. Esemplari le due pale realizzate, a distanza di un anno, per il secondo altare a sinistra nella basilica di San Marco, in cui, fa notare la Padovani, è evidente l’evoluzione da uno stile più pacato (Sposalizio di Santa Caterina, 1511) ad una crescente complessità e drammatizzazione (Pala Pitti, 1512, che sostituì lo Sposalizio, inviato in Francia). Secondo la studiosa, la Pala Pitti di Fra Bartolomeo è tra le fonti di ispirazione per la Pala Dei di Rosso Fiorentino (1522), che, in Santo Spirito, sostituì a sua volta l’incompiuta Madonna del Baldacchino di Raffaello. Un gioco di rapporti, quello tra Fra Bartolomeo, Raffaello e il Rosso, che può essere definito “un cerchio straordinario di connessioni e di sviluppi nella Firenze del secondo decennio del ‘500”.


Il viaggio a Roma
Il viaggio a Roma con l’Albertinelli nel 1513-14 consente a Fra Bartolomeo di incontrare la nuova grandiosa arte romana di Raffaello e Michelangelo. In particolare, prosegue e si rafforza il legame tra Fra Bartolomeo e Raffaello, evidente dal confronto tra il San Marco del primo e l’Isaia del secondo.


L’influenza dell’arte romana è ben percepibile anche nel Salvator Mundi (1516), premessa alle elaborazioni più moderne di Andrea del Sarto. Fra Bartolomeo, tuttavia, “è solo sfiorato” dallo stile più mosso e sofferto della Maniera moderna (vedi la Pala della Misericordia a Lucca) e il nuovo linguaggio, fondamentalmente, “non gli appartiene”.

Le ultime opere
Negli ultimi anni, Fra Bartolomeo ritorna ad una “vena più autentica, larga e monumentale, semplificata e lenta”. Alle commissioni religiose, curiosamente, se ne affianca una laica e mitologica, un Trionfo di Venere per Alfonso I d’Este (fu realizzato solo il disegno, poi ripreso da Tiziano).


Il Noli me tangere del Monastero delle Caldine, databile al 1517, è una delle ultime opere dell’artista. Nell’affresco, l’iscrizione in basso, evidenziata dalla Padovani, rappresenta una sorta di ispirato testamento spirituale. È la Maddalena a parlare (ma è anche Fra Bartolomeo, diciamo noi), con le parole della sposa del Cantico dei Cantici: “inveni quem diligit anima mea”, ovvero ho trovato l’amore del mio cuore.

a cura di Alessandro Santini
Per saperne di più:
Convegno di studi Fra Bartolomeo 1517 (Firenze, Istituto Universitario Olandese e Museo di san Marco, 26-28 ottobre 2017).
Albert J. Elen, Chris Fischer, Fra Bartolomeo. The Divine Renaissance, Rotterdam 2016
Serena Padovani (a cura di), Fra’ Bartolomeo e la Scuola di San Marco, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Pitti e Museo di San Marco, 25 aprile – 28 luglio 1996), Marsilio, 1996