Su The Telegraph, tra i più importanti quotidiani britannici, è apparso di recente un breve e ispirato articolo di Christopher Howse, esperto di religioni, sul senso degli affreschi di Beato Angelico a San Marco, dal titolo Sacred Mysteries: Florence’s laboratory of contemplative art, ovvero Sacri Misteri: il laboratorio fiorentino di arte contemplativa. Di seguito, la nostra traduzione.
Sacri Misteri: il laboratorio fiorentino di arte contemplativa
Il primo affresco che il visitatore vede nel convento dei frati di San Marco a Firenze è un’immagine della Crocifissione a grandezza naturale, con un domenicano nel suo abito bianco e nero inginocchiato ai piedi della croce, con le mani che la tengono stretta e con il volto che esprime dolente afflizione.
L’immagine è dipinta su una parete proprio di fronte all’entrata, all’aperto ma protetta dagli archi del chiostro. Cristo è dipinto come ancora in vita e i suoi occhi sono abbassati, ma lievemente aperti. Sorprendentemente, a differenza del domenicano e nonostante il sangue che sgorga dalle sue mani, dai piedi e da un fianco, mostra un senso di serenità.
Ero giunto fino a Firenze con l’unico scopo di vedere la serie di dipinti murali affrescati da Beato Angelico a San Marco alla metà del XV secolo. A gennaio ci sono pochi visitatori e, in una mattina tranquilla, ho capito che cosa voleva dire per un artista realizzare arte di contemplazione.
Fra i suoi confratelli domenicani, Beato Angelico (un soprannome postumo) era noto come Frate Giovanni. Per la sua comunità di frati, che nel 1436 si erano trasferiti in questi edifici un po’ al di fuori del centro di Firenze, affrescò le pareti di 44 celle e i corridoi del dormitorio.
La presenza, in quel primo affresco del chiostro al piano terra, della figura di un frate domenicano (in questo caso lo stesso fondatore San Domenico), fissa per tutto il ciclo la potente modalità attraverso cui lo spettatore viene introdotto all’interno delle scene dipinte.
Così, nella cella 3, una parete è dipinta con un’immagine dell’Annunciazione, con Maria inginocchiata su un basso sgabello di fronte all’Angelo: le braccia di lei conserte sul petto, il dito di lei a tenere il segno in un libro mezzo aperto che stava leggendo, e le mani dell’angelo incrociate.
Maria e l’Angelo, che le sta annunciando la nascita del Figlio di Dio, sono entrambi inclusi entro uno spazio delimitato da pareti intonacate di bianco e da un soffitto a volta. Dietro un pilastro, a un’estremità, sta un frate domenicano, con le mani giunte in preghiera, che pacatamente sta contemplando la scena.
Chi assiste alla scena, nel dipinto, è San Pietro Martire (da non confondere con il più tardo pensatore protestante Pietro Martire Vermigli), ucciso due secoli prima da un colpo di mannaia alla testa. Nell’arte, è facilmente identificabile da un rivolo di sangue che gli solca il capo.
Nell’affresco della Trasfigurazione (dove la gloria di Cristo, in cima alla montagna, si manifesta in tutto lo splendore), i suoi discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, cadono all’indietro, sopraffatti dalla luce. Fuori dalla mandorla di luce che circonda Gesù, stanno la Vergine Maria, con le mani incrociate, che guarda in avanti (o è sovrappensiero) e, dall’altro lato, con le mani giunte in preghiera, San Domenico, identificabile per la stella rossa sulla sua aureola. Queste figure, propriamente, non fanno parte dell’evento descritto, ma lo contemplano con il loro “occhio interiore”, come potrebbe fare il frate dopo una dura giornata di lavoro, o come siamo invitati a fare noi visitatori.
Nell’insieme simbolico della Derisione di Cristo, Gesù è schiaffeggiato e bastonato da mani senza corpi.
I due testimoni, che assistono come noi, addirittura non ce la fanno a sopportare la vista di tale scena. Maria, addolorata, è seduta dando le spalle alla scena.
San Domenico, profondamente assorto, sta meditando sulle parole di un libro.
L’unico esempio di una figura dipinta che, per così dire, “guarda verso la telecamera”, è San Domenico che fissa lo spettatore in un affresco della Vergine col Bambino e otto Santi. Col dito, indica un libro aperto, dove in latino si legge: “Abbiate la carità, conservate l’umiltà, possedete la volontaria povertà; invoco la maledizione di Dio e la mia su chi introdurrà possedimenti in questo Ordine”.
La critica concorda nel ritenere la pittura di Beato Angelico, da un punto di vista tecnico, fra quelle di più elevata qualità. Ma, da un punto di vista concettuale, niente potrebbe puntare più in alto di questa arte contemplativa.
Christopher Howse, The Telegraph, 21 gennaio 2017
traduzione di Alessandro Santini
Le fotografie sono quelle dell’articolo originale (da Polo Museale Fiorentino, foto Quattrone), integrate da foto personali.
Gent.mo Alessandro Santini, Grazie per l’accoglienza di sabato mattina e ti faccio i miei complimenti. Con stima Giorgio Galletti, già direttore di Boboli
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Grazie, davvero. Cerchiamo, tutti insieme, di promuovere questo luogo straordinario di arte e storia come merita!
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