E’ nuovamente sabato e la nostra allegra brigata sta tornando al Museo di San Marco. Oggi si è unito anche mio figlio maggiore, Marco. Ha dieci anni ed è rimasto conquistato dai racconti del fratello e del cugino. Il loro entusiasmo è stato contagioso e la curiosità per la biblioteca del piano di sopra, che visiteremo oggi, lo ha spinto ad unirsi al gruppo.
Marco è un grande divoratore di libri, magari pensa di trovarne qualcuno interessante da sfogliare. Ovviamente non sarà così, ma io ho evitato di anticipargli questo piccolo particolare: sarà comunque una visita divertente per lui.
La signora Carla, alla biglietteria, mi saluta con il suo solito sorriso: ormai sono diventata un’ospite assidua. Ogni volta che arrivo, il gruppo che mi segue diventa sempre più numeroso. Mi sento come il pifferaio magico della famosa favola dei Grimm; per fortuna quelli che mi seguono non sono topi!
Saliamo al piano di sopra e al termine della grande scalinata in pietra serena ci troviamo di fronte all’Annunciazione di Beato Angelico. Di fianco all’affresco, Carmelo, uno degli assistenti museali che avevo già incontrato, legge nei nostri occhi l’ammirazione per l’opera, e si avvicina.
Ci spiega che, in realtà, ai tempi dell’Angelico, la grande scala dalla quale siamo saliti, non esisteva. Si tratta solo di una costruzione posteriore. L’accesso al piano superiore, infatti, avveniva dal portone alla nostra destra, in fondo al primo corridoio del dormitorio; si entrava dalla sacrestia della chiesa di San Marco, attraverso un’altra scala.
Suggestionati dal racconto di Carmelo, con la fantasia cerchiamo di tornare indietro nel tempo; ci spostiamo verso la porta chiusa che collega il dormitorio alla Chiesa e immaginiamo di entrare al piano superiore come avveniva una volta. Dinnanzi a noi si apre il primo corridoio, sul quale si affacciano la cella riservata a Cosimo il Vecchio, che aveva promosso e finanziato la ricostruzione del convento, e le altre a disposizione dei confratelli conversi, i frati della fatica, illetterati e, perciò, dediti ai lavori manuali. A metà corridoio si apre la grande porta della biblioteca, che però visiteremo più tardi; ora i ragazzi sono incuriositi dalla successione delle celle e dal racconto di Carmelo.
Le celle erano le camere degli abitanti del convento, i domenicani. Non erano tutte uguali, e anche la loro posizione nel dormitorio non era lasciata al caso.
Superato il primo corridoio, svoltato l’angolo dell’affresco dell’Annunciazione, iniziano le celle dei frati più dotti, i predicatori veri e propri. Le celle sono piccole, ognuna era riservata a un frate che aveva a disposizione un letto, uno scrittoio per studiare e un affresco dipinto dal confratello fra Giovanni da Fiesole, il nostro Angelico, per la propria meditazione teologica.
Carmelo ci spiega che le celle non erano proprio come le vediamo oggi, con il soffitto voltato a botte. Un tempo questo soffitto in muratura non esisteva, era molto più sottile, in travetti e assicelle di legno leggere, in modo che tutti i frati riposassero guardando idealmente lo stesso soffitto a capriate; come se stessero dentro un grande fienile. I bambini ridacchiano e si danno di gomito: allora se un frate russava lo sentivano tutti!
Carmelo sorride e prosegue spiegando che dall’angolo successivo troviamo, invece, il corridoio del Giovanato con le celle dei novizi, più ampie perché ognuna di esse era destinata ad accogliere più ragazzi. Per tenere sotto controllo gli entusiasmi dei giovani novizi, in cima e in fondo al loro corridoio erano posizionate la cella del frate responsabile dei novizi e quella del priore. Un po’ come succede ora, quando i professori portano la classe in gita scolastica.
Le tre celle in fondo al corridoio, destinate al priore, sono quelle dove ha vissuto Savonarola. Qui è ancora conservata la sua sedia originale, dal cui modello sono state rifatte le sedie in legno che troviamo un po’ ovunque nel museo. Nella cella che precede il quartiere del Savonarola è conservata la sua cappa nera. E qui, finalmente, capisco chi mi ricordava l’uomo non molto alto, incappucciato e tutto vestito di nero, che il giorno della mia prima visita avevo visto svoltare l’angolo di Via La Pira: ma certo, Girolamo Savonarola!
Le celle del Savonarola sono leggermente più ampie delle altre: sono quelle del priore, il personaggio più importante del convento. Qui sono anche conservati alcuni oggetti che gli sono appartenuti. I ragazzi sono attratti da un dipinto che ritrae la scena, in Piazza della Signoria, della sua impiccagione e del rogo che ne seguì.
Torniamo sui nostri passi per andare a visitare la biblioteca e salutiamo Carmelo, che torna alla sua postazione accanto all’Annunciazione.
Prima di entrare ci riposiamo un momento sui sedili in legno ai lati della grande finestra, proprio di fronte alla porta di ingresso della biblioteca. La grande vetrata consente un’ampia visuale sull’intero chiostro di Sant’Antonino. Mi viene da pensare ad alta voce che questo finestrone, così enfatico e teatrale, stona un po’ con le finestrelle umili delle celle dei frati.
Alessandro, l’assistente museale che abbiamo imparato a conoscere nei nostri sabati a San Marco, dalla porta della biblioteca si avvicina al nostro gruppo e ci spiega che il finestrone è stato realizzato in un tempo successivo, intorno alla seconda metà del 1600, tagliando due celle che prima occupavano quella parte del dormitorio, compresi i due affreschi che c’erano dentro.
Ci troviamo all’ingresso della prima biblioteca pubblica d’Europa, voluta da Cosimo il Vecchio; la sua magnificenza ci intimorisce tanto da farci arrestare sulla soglia. E’ una sala lunga, dai bianchi soffitti a volta, divisa in tre navate da un doppio colonnato in pietra serena. L’effetto è imponente.
Alessandro ci dice che un tempo gli spazi non erano vuoti come appaiono adesso: nelle navate laterali erano, infatti, disposti dei banchi in legno scuro, come quelli che si trovano nella biblioteca Laurenziana; la navata centrale, invece, era lasciata libera per il passaggio. Sotto i banchi, incatenati, erano disposti i grandi manoscritti, in modo da poter essere consultati senza che nessuno se li portasse via. Il lato destro della biblioteca era riservato ai codici di carattere religioso; quello sinistro ai codici filosofici, astrologici, matematici.
Le pareti, ora del colore bianco sporco che si vede nel resto del convento, erano un tempo di un chiaro verdolino, screziato come a dare un effetto marmorizzato. In vari punti della biblioteca è possibile vederne le tracce, volutamente lasciate a vista dai restauratori nel 2000, quando sono state tirate fuori col bisturi dagli strati di tinteggiatura che, nel tempo, avevano coperto il verde. I grandi codici miniati, conservati ora in ampie teche vetrate, affascinano i ragazzi: fra le preziose decorazioni che incorniciano le figure dei santi, intravedono mostriciattoli e efflorescenze di vario tipo e si divertono a improvvisare una fantastica caccia al tesoro.
In fondo alla biblioteca ci sono due banchi didattici che attirano subito la loro attenzione, contenenti i pigmenti minerali, le pergamene, la foglia d’oro e tutti gli strumenti usati dagli amanuensi e dagli artisti miniatori, come Beato Angelico, che si dedicavano alla decorazione dei codici.
Il nostro Cosimo si domanda come mai le scritte dei codici fossero così grandi: per forza poi erano necessari dei libroni così grossi! Se avessero scritto più piccolo, forse… Alessandro ci spiega che quei libroni erano codici liturgici, e contenevano i testi delle messe cantate. Erano posti su un grande leggio, chiamato badalone, in modo tale che tutti i cantori del coro potessero leggerli anche da una certa distanza. Ecco risolto il quesito del nostro piccolo Cosimo.
Marco, ovviamente, non ha trovato libri interessanti per la sua lettura, tanto più che sono in latino; ma il fatto che un tempo i libri venissero scritti uno per uno, a mano, su pergamena, lo affascina incredibilmente. Se fosse nato all’epoca di Cosimo il Vecchio non avrebbe certo potuto permettersi il lusso dei tanti libri che ha a casa, o di quelli che prende in prestito nelle biblioteche comunali. Questo perché ancora la stampa non era stata inventata. Ma questa è un’altra storia.
In fondo alla biblioteca, una grande porta è chiusa e l’accesso non è consentito. Alessandro ci racconta che là dietro, nella sala voluta da Piero il Gottoso per custodire i codici in lingua greca, sono conservati, in armadi settecenteschi, i codici non esposti in biblioteca e le preziose maioliche montelupine dell’antica Farmacia di San Marco, ora purtroppo non più aperta al pubblico.
La nostra visita è terminata, ci apprestiamo a tornare a casa e siamo al tempo stesso contenti e dispiaciuti.
Contenti di aver avuto l’opportunità di scoprire un museo fiorentino che racchiude non solo una preziosa collezione di dipinti, manoscritti, memorie del passato, ma anche le testimonianze di chi ha reso grande la nostra città. Al suo interno, ogni giorno, lavorano persone che amano Firenze, l’arte e soprattutto il museo che custodiscono; che ci hanno regalato visite guidate sicuramente fuori dall’ordinario, piene di aneddoti e curiosità. Dispiaciuti che questa interessante e inaspettata parentesi sia terminata.
Ora che siamo diventati amici del Museo di San Marco torneremo sicuramente a visitarlo per cercare altri tesori da scoprire.
Sapere di aver attraversato tutte le sue sale ma di non aver ancora esaurito la sua conoscenza ci conforta, e… proprio mentre stiamo per andarcene, un’ombra di una figura incappucciata mi passa velocemente dietro le spalle ed entra nella Sala dell’Ospizio. Sembra proprio lo strano personaggio vestito di scuro che avevo visto davanti a San Marco il giorno della mia prima visita. In seguito avevo pensato che si trattasse di Carmelo, e in effetti la statura e la corporatura come l’abito scuro lo confermavano; ma ora Carmelo è proprio davanti ai miei occhi. Allora chi è il personaggio che mi è appena passato dietro? La mia curiosità non resiste, rapida mi affaccio dalla porta della Sala che però è deserta, a parte un giovane assistente museale seduto in fondo. La mia fantasia deve essersi fatta suggestionare dai racconti dei miei nuovi amici, anche se non ne sono del tutto convinta… Per oggi forse è meglio salutarci.
A presto, Museo di San Marco!
Paola Giannò
Paola Giannò, fiorentina, lavora per una grande società di assicurazioni. Ama la sua famiglia, leggere, viaggiare, cucinare e dedicarsi a svariate attività artigianali e creative. Ha sempre scritto, anche quando i racconti e i personaggi da cui era abitata non venivano tradotti in parole su carta.
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Grande Paola! Come in ogni giallo che si rispetti alla fine rimane un qualcosa di sospeso e tu sei stata bravissima a tenere le spettatore (pardon, lettore) sulla corda con il tuo misterioso personaggio, Stai già pensando ad una quinta puntata? Speriamo. in ogni caso sei sicuramente riuscita ad accendere in me una voglia matta di vedere il Museo e il Convento. Per fortuna questo accadrà presto per cui aspettare mi diventa meno pesante. Complimenti e a presto. Ciao.
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