Grandissimo, terribilissimo, violento, pauroso e molto spaventevole. Così le fonti dell’epoca descrivono il maggiore e più terribile terremoto della storia fiorentina, che causò danni e vittime, suscitando grandissimo tremore e tanto sbigottimento. Un vero e proprio giudicio di Dio, che altrimenti chiamare non si può. Eccone una cronaca.
Guerra, pestilenza, carestia
A Firenze, nel 1453, il potere era ormai, saldamente, nelle mani di Cosimo il Vecchio de’ Medici, che dal palazzo di famiglia in via Larga controllava la Signoria, condizionandone elezioni e scelte politiche. La guerra contro Venezia e Napoli, a sostegno di Francesco Sforza, nuovo duca di Milano, si trascinava stancamente. Era stata un bel rischio quella guerra, dove le alleanze tradizionali, per volere dei Medici, si erano ribaltate. Non più Firenze con i veneziani contro i milanesi, bensì l’opposto. Un fenomenale azzardo politico di Cosimo, di contro allo scetticismo dei più. Finiti i Visconti, lo strapotere di Venezia avrebbe forse indebolito gli interessi dei mercanti e dei banchieri fiorentini in Italia. E, allora, niente di più audace che sostenere le ambizioni dello Sforza, farselo fedele alleato, e fare di Milano e Firenze due superpotenze, amiche e dominanti. Con buona pace di Venezia, che pure, venti anni prima, aveva accolto e sostenuto lo stesso Cosimo, esiliato dagli Albizzi e dagli Strozzi.
Così sarà, ma la guerra, nel 1453, non era ancora terminata. E i traffici di Venezia e dell’Oriente, con grave danno economico, rimanevano ancora preclusi ai mercanti fiorentini, così come ai funzionari del banco mediceo. Non erano anni facili, per Firenze. Solo quattro anni prima, la piaga della peste aveva martoriato a lungo la città ed era ancora ben vivo il ricordo, fra tanta disperazione, di quanto fece il vescovo Antonino, già priore del convento di San Marco, che più volte visitò di persona i quartieri colpiti dal morbo, amministrando i sacramenti e conducendo un asino, carico di viveri e medicinali. Anche a San Marco, a seguito dell’epidemia, i domenicani aprirono al pubblico la spezieria conventuale, per somministrare medicamenti e pozioni officinali. Alla guerra e alla peste si aggiunse, poi, una tremenda carestia, che, nel 1453, colpì Firenze e il contado. La Signoria stanziò dei fondi e affidò al vescovo Antonino l’incarico di acquistare cibo e distribuirlo ai bisognosi. Altro denaro fu offerto dalle famiglie più facoltose, dallo stesso vescovo e anche dal papa.
La fine di un’era
Ma giunse, nefasta, la notizia di un evento ancora più terribile, destinato a sconvolgere gli animi e a turbare le coscienze dell’Occidente: il 29 maggio, dopo un duro assedio di quasi due mesi, Costantinopoli era caduta nelle mani dei turchi ottomani del sultano Maometto II. Era la fine, dopo mille anni, dell’ultimo baluardo dell’Impero romano-bizantino e del cristianesimo in Oriente. Uno shock senza paragoni, specialmente per chi, a Ferrara e soprattutto a Firenze, quindici anni prima, aveva assistito alle processioni dei chierici e funzionari greci e latini, convocati in concilio, per ricomporre l’antico scisma tra le chiese cristiane d’Oriente e Occidente. Con la caduta di Costantinopoli, l’unione delle chiese, effettivamente sottoscritta a Firenze, non poté mai attuarsi. Con la fine di Bisanzio, tuttavia, molti maestri greci avrebbero trovato rifugio in Italia, a rinnovare in Occidente l’insegnamento della lingua e della cultura classica, in primis Giovanni Argiropulo, invitato da Cosimo a Firenze, per farne una seconda Atene. L’inarrestabile avanzata degli ottomani costrinse Venezia a preoccuparsi dei propri interessi nel Mediterraneo orientale e, di conseguenza, ad interrompere definitivamente la guerra in Italia. La pace di Lodi, sotto gli auspici di papa Niccolò V, sarà sottoscritta un anno dopo, nel 1454. Gli Sforza, legittimamente, saranno i nuovi duchi di Milano, e i Medici di Firenze i loro migliori alleati. La pace durerà per almeno quattro decenni, fino alla discesa in Italia di Carlo VIII, re di Francia, nel 1494, quando priore di San Marco, a Firenze, era Girolamo Savonarola.
Nota al lettore
Nel racconto del terremoto, le principali fonti storiche sono utilizzate fedelmente, ma intenzionalmente “smontate” e “rimontate” a piacimento dell’autore in un pastiche cronachistico. Le parole e frasi riportate alla lettera, o tradotte dal latino, sono in corsivo. Alle fonti consultate e alla relativa bibliografia viene dedicata una pagina specifica.
Il grandissimo trimuoto
Mentre accadevano tutte queste cose, nella notte di San Michele Arcangelo, venerdì 28 settembre 1453, tralle cinque ore elle sei (tra le 23 e la mezzanotte) o, più precisamente, a hore cinque e mezzo (ore 23.30), un grandissimo e terribilissimo tremuoto colpì violentemente l’area fiorentina. La prima violenta scossa fu percepita, accompagnata da un gran rumore, in Firenze e nel contado, al Bagno a Ripoli, a Camerata e in molti luoghi intorno alla città, in un raggio di circa dodici miglia, ovvero circa venti chilometri. Era il maggiore e più terribile terremoto che per li viventi, ne’ nostri dì, mai fosse udito o sentito, grandissimo e sì terribile. Una chosa molto spaventevole et d’averne grandissimo tremore, essendo tanto grande. Alla prima scossa, sonorono tutte le chanpanelle picchole di Palagio (della Signoria).
Quanto durò
Lo scrollamento d’edifici durò quanto si penerebbe a dire una avemaria, cioè non più di 15 secondi, ma non durò tanto, perché pochi edifici si difenderebono a rimanere in piede, se fosse durato tanto. La prima scossa fu seguita immediatamente da altre meno forti (ne vennono molti picholi), che durarono presso che uno ottavo d’ora, neppure otto minuti. Altre scosse si susseguirono per tutta la notte: dopo quello grande terremoto (la prima scossa), quella medesima notte ne vennero circa otto, ma non grandi, né terribili come quello primo.
Come reagì la gente
Il terremoto fu sì terribile e con tanto sbigottimento di ciascuno che una grande quantità di persone uscirono dalle case andando per le piazze e luoghi scoperti, a ciò non cadessero loro addosso case e altri edificii. Le chase s’abandonorono et andavono a dormire su pelle piazze et negli orti. Molti nei luoghi scoperti sotto tende e padiglioni a dormire si conducevano. Per molti si feciono allogiamenti fuori delle chase, cioè in città ma all’aperto, in sulle piaze et di fuori per champi et per gl’orti. E molta giente alberghavano la notte in su’ prati o in sulle piaze sotto cierte trabacche e tende, quali d’asse e quali di panni.
I Signori, i Medici e l’orto di San Marco
Li signori uscirono dal palagio (della Signoria) in sulla piazza per paura e fra gli altri Piero di Cosimo de Medici, essendo in casa sua (palazzo di via Larga) malato di gotta, si fece portare da molti giovani a san Marco e si fece mettere nell’orto di quelli frati e con cuperture e con fuochi che in detto orto fece accendere con altri suoi di casa, vi stette quella notte e abondavavi così tanta gente che bisognò serrare la porta affinché non vi intrasseno. Cosimo suo padre era in villa sua a Careggi, malato di gotta. La maggior parte dei cittadini notevoli e dei cavalieri uscirono fuor di loro case e se ne stavano all’aperto in luoghi di piazze e soprattutto sul prato dell’Annunziata e di san Marco stava grande quantità di gente per paura. Ed è cosa certa che anche i Signori essersi in quel tempo dal publico Palagio (della Signoria) partiti. Fino al 29 d’ottobre, infatti, i Signori non dormivano in Palagio, et se vi dormivano, dormivano per le finestre.
Le vittime
Morirono più persone, non poche, soprattutto in contado. Et si trovarono parecchi huomini morti. Alchuni fanciugli, forse due, in Camerata mòrsino.
Quali furono i danni
In quella notte chaddono solo nella città più di mille, o forse, più che 1500 camini e di fuori e dentro gli edifici fecero molti altri danni et furono scossi molti luoghi et molte mura et edifici, et molte case rovinorono del nostro contado, per modo ch’egli era uno isbighottimento a ssentire. Molti edifizi rimasero allora atterrati e quasi tutte le mura e abitazioni restate in piedi malamente si disciolsero. Molti camini chascarono in città e al Bagno a Ripoli cadde parte d’una torre e altri edifizi con gravi danni. Anche a Camerata, Impruneta, Vincigliata, ci furono crolli et chosì in molti luoghi intorno alla città fecie moltissimi danni a chi pochi e a chi assai.
Anche il duomo di Firenze fu danneggiato. Caddero molti edifici e in santa Reparata nella chiesa caddeno loro addosso delle loro case e molte altre cose nella città ruinarono. Chaddono più pietre delle volte di Santa Reparata, cioè degli spigholi della nave lungho la chanonicha de’ preti et molti altri edificij di chiese furono danneggiati ma nessuno ne chascò afatto, che fu tenuto a grandissimo miracholo.
Preghiere, processioni e limosine
Ci si recò a procissione la notte per la città e soprattutto que’ poveri huomini di Camaldoli (in San Frediano), e da San Piero Gattolino (in via Romana) si era mossa la giente. E si mossero certi popoli (parrocchie) di persone manuali: col prete del popolo andavano la notte a processione donne et huomini, cantando laude. Et andavano a Santa Trinita dicendo che chiunque vi fosse entrato non sarebbe morto, e con torce e lumi andavan per la città. Et seguirono poi altri popoli de’ maggiori, in modo che di dì e di notte vi fu grandissimo concorso di tutto il popolo, sperando non potere perire chi v’entrava (in Santa Trinita). Avendo poi notitia l’arcivescovo che una notte molte processioni v’andavano, uscì fuori et riscontrandoli comandò a pena di scomunica che non vi s’andassi di notte, et così, per chomandamento di Monsignore l’Arcivescovo, interruppero le processioni, per evitare che vi si sarebbe più fatto di male che bene. Ma in disparte moltissimi v’andavano, et di modo che grande profitto si disse essere pervenuto alla chiesa (di Santa Trinita). Dopo di che, acciocché dunque l’ira di Dio si placasse, fu hordinato dallo stesso Arcivescovo che per 4 giorni s’andasse a processione con popolo innumerabile di donne et huomini et di battuti (confratelli delle compagnie), gridando per la città a Dio misericordia, con molte laude e orationi ad alte voci. E si mosse tutto il popolo a divotione e tremore e molta gente all’orazioni e ai sagramenti ricorse e molti si dedicarono a penitentia et a confessioni et divotioni, huomini et donne. Il secondo giorno, anche la Signoria con tutti i funzionari e monsignore Arciveschovo si recarono in processione. Si tennero molte prediche et soprattutto da parte di maestro Guglielmo Bechi dell’ordine di Santo Agostino, huomo di grandissima scienza quanto ne sia uno altro nel loro ordine. E dai Dieci (“di balìa”, la magistratura che si occupava di emergenze) molte limosine furono ai poveri distribuite.
Un testimone diretto: il vescovo Antonino
Un terremoto colpì Firenze nel 1453, il penultimo giorno di settembre, di notte. Scosse violentemente tutti gli edifici con gran rumore e aprì in molti casi crepe nelle pareti, causando instabilità e rischio di crolli. Perciò fu necessario sostenere molte spese per consolidare numerosi edifici. Non vi fu alcuna vittima, tranne forse due persone. Quasi nessun edificio crollò in città o nei dintorni, ma caddero alcuni elementi sommitali, quali comignoli e merlature di palazzi. Il terremoto fu percepito in un raggio di circa dodici miglia attorno a Firenze. Anche nei giorni seguenti, di notte, all’alba o durante il giorno ci furono alcune scosse, più deboli, che non causarono alcun danno. Circa quaranta anni prima (probabilmente nel 1414), il terremoto aveva già colpito con forza la città, spaventando a tal punto i cittadini, che per la paura preferirono trascorrere la notte negli orti e nei prati, ma non vi furono danni né per gli uomini, né per gli edifici.
(da Chronicorum opus, trad. dal latino dell’autore)
Lo sciame sismico
Si registrarono almeno otto scosse fra il 28 e il 30 settembre, mentre la notte successiva alla prima scossa, il 29 di detto mese alle 4 hore (verso le 22), venne uno terremuoto (una scossa) non grande come il primo e dopo esso due altri piccoli, ma anche quella notte gran gente albergò supra piazze e prati e in orti di frati e di spedali per paura. Le scosse proseguirono per lungo tempo. Si sentirono numerose scosse fra il 30 settembre e il 28 ottobre, quando se ne percepirono di grandi e terribili. Anche l’8 novembre si avvertì un’altra forte scossa accompagnata da un rombo. Questo giudicio di Dio, che altrimenti chiamare non si può, durò circha a mesi due, che ongni giorno et ugualmente la notte, qualche pocho di triemito ti pareva la terra faciesse. Quei grandissimi tremuoti, i maggiori che si ricordino da 60 anni in qua, molti spaventevoli e paurosi, durorono parecchi mesi, ché ongni settimana, o ogni due settimane, se ne sentiva, ma non tanti grandi quanto nel principio. Scosse sporadiche si avvertirono fino al maggio dell’anno successivo, il 1454.
I danni a San Marco nel 1453
Il terremoto causò grandi spaccature in tutti i locali del piano superiore e nella copertura del coro, ma la biblioteca fu quasi tutta rovinata. Anche se già da subito Cosimo e il suo primogenito Piero erano intenzionati a restaurare tutto, tuttavia attesero un po’ di tempo prima di farlo.
Nell’anno del Signore 1457, quando era priore il venerabile padre Sante Schiattesi, la biblioteca, mezza rovinata a causa del terremoto, venne restaurata. La copertura o volta semicircolare che divide per metà, in lunghezza, la biblioteca, fu di nuovo interamente ricostruita, per una maggiore robustezza e solidità: al di sopra, con travi lignee unite alle pareti da entrambi i lati; all’interno, invece, appoggiata e congiunta alle colonne con catene di ferro. Anche tutto il tetto fu rialzato, fino ad un’altezza che si può vedere, all’esterno, a partire dal primo coronamento in laterizi.
Alla biblioteca (Cosimo de’ Medici) aggiunse una estremità, che chiamò anche Biblioteca Greca, poiché se fra i libri ivi posti, oltre quelli in latino, ve ne sono alcuni in lingua indica, araba, caldea e ebraica, la maggior parte di essi è in greco.
In essa (biblioteca) il munificentissimo Cosimo fece riparare sia le finestre nuove in vetro, sia quelle logorate dal tempo, e restituì al primitivo decoro anche le celle e i locali del piano superiore danneggiati dal terremoto e fece anche altre cose che si omettono per brevità.
(da Annales Conventus Sancti Marci de Florentia, trad. dal latino dell’autore)
Moderne considerazioni sul sisma del 1453
Secondo gli studiosi di sismologia, sono due i più forti terremoti documentati che abbiano colpito l’area fiorentina, entrambi di VII°-VIII° grado della scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg), ovvero descrivibili come “rovinosi”: quello del 28 settembre 1453 e quello del 18 maggio 1895. Il sisma del 1453 (ore 23.45 ora locale), un tempo valutato di IX° grado MCS e con epicentro a Firenze, è oggi ritenuto verosimilmente di VIII° grado e con epicentro nella zona di Impruneta, mentre a Firenze città non avrebbe superato il VII° grado, definibile come “molto forte”. La riconsiderazione in melius degli effetti del sisma sulla città si basa specialmente sulla cronaca del vescovo Antonino, che, a differenza di altre fonti, sembra più oggettiva e priva di drammatizzazioni. Si conferma, invece, che i danni più gravi, nonché le relativamente poche vittime, si registrarono soprattutto in alcuni dintorni di Firenze (Camerata, Vincigliata, Bagno a Ripoli, Impruneta, Signa). In città, i monumenti più danneggiati furono il duomo e il convento di San Marco. Per quanto riguarda il duomo, oltre i danni alle volte, si può ipotizzare che il sisma del 1453 sia fra le cause della comparsa, o dell’accentuarsi, delle prime lesioni nella muratura della cupola di Brunelleschi. Il convento di San Marco fu particolarmente colpito, soprattutto al primo piano. Si registrarono lesioni nella copertura del coro della chiesa, negli ambienti del dormitorio e, con particolare gravità, nella biblioteca di Michelozzo. Qui, a causa dei crolli, si dovette ricostruire tutta la volta di copertura, ad un’altezza maggiore della precedente, come testimonia, sulle pareti esterne della biblioteca, la presenza di due cornici sagomate in laterizio ad altezze diverse. È possibile che, in tale occasione, anche l’intera copertura del dormitorio sia stata rialzata, come dimostrerebbero tracce di fori e una mensola in pietra, forse a sostegno di capriate lignee poste, in precedenza, ad una quota più bassa.
Similitudini con il sisma del 1895
Anche nel 1895, in quello che verrà ricordato come “il grande terremoto di Firenze” del 18 maggio (ore 20.55), l’epicentro fu nella zona di Impruneta (VIII° grado MCS), mentre gli effetti a Firenze furono di VII° grado. Ci furono quattro vittime e danni diffusi in città, ma soprattutto nei dintorni. Fessurazioni e crepe nelle murature, così come crolli di coperture, soffitti, camini e balconi, furono registrati specialmente nei quartieri dell’Oltrarno (San Frediano, Santo Spirito e San Niccolò), San Jacopino e Romito, San Salvi e Le Cure (non lontano da Camerata, duramente colpita nel 1453). Molte chiese e palazzi del centro subirono danni, ma senza crolli. I monumenti più colpiti, come nel 1453, furono il duomo e l’ex-convento di San Marco, museo statale dal 1869. In cattedrale, si ruppe una delle catene metalliche che uniscono gli archi laterali della navata centrale, comparvero numerose fessurazioni nella volta e caddero porzioni di intonaco e stucco. I danni più gravi si registrarono, similmente al 1453, nei dintorni a sud/sud-est della città, nei comuni di Impruneta e Bagno a Ripoli, dove chiese, case coloniche e ville subirono crolli e distruzioni. Alla Certosa del Galluzzo, crollò interamente il lato nord-occidentale del chiostro grande e andarono perduti 16 medaglioni con busti in terracotta invetriata di Giovanni della Robbia.
I danni a San Marco nel 1895
Come per il sisma del 1453, si conferma la debolezza strutturale delle volte della biblioteca di Michelozzo, particolarmente danneggiata, cui si aggiungono fessurazioni e crepe nell’ex refettorio dei frati. Nel refettorio grande ove sono gli affreschi di Fra Bartolomeo e di Antonio Sogliani di lui discepolo, si constatano cretti a due degli archi in pietra che sostengono la volta. La cimasa in pietra della volta della scala è scostata dal muro. Cretti assai gravi nella parete prossima ad un finestrone che mette sulla via del Maglio (oggi via La Pira). Alcune celle hanno le volterrane crettate, e crettate pure le pareti esterne ed interne. Sono salvi però gli affreschi. Nell’oratorio del Savonarola leggieri cretti. Non hanno sofferto né lo studio né la cella del Savonarola. Danneggiatissimo il soffitto a volta nelle arcate della Biblioteca. Un pezzo di cornicione della tettoia esterna di essa rovinò (da “L’unità Cattolica” in E. Cioppi, 18 maggio 1895. Storia di un terremoto fiorentino, Firenze 1995, pp. 53-4).
Epilogo
Chiosava il cronista Giovanni di Jacopo de’ Pigli: In volere dimostrare perché quei terremoti veniano et onde prociedevano, sopra ciò si scrisse molto eleghantemente in modo che per diverse parti tale oppenione fu mandata in scrittis. Non credo però che si giungesse al vero, perché mi dò a intendere che i suoi segreti, cioè Iddio, a nnoi pecchatori, per scienzia che abiamo, gli tengha ochulti. Amen.
È trascorso più di mezzo millennio, ma, per lo più, concordo.
Alessandro Santini
Ringrazio Stefania Giorgetti per il prezioso aiuto nella lettura dei documenti e nelle traduzioni
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Fonti, Bibliografia e Sitografia