Tra Beato Angelico e Oriana Fallaci: uno scrittore polacco in visita a Firenze

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Abbiamo incontrato Remigiusz Grzela, scrittore, poeta, drammaturgo e giornalista polacco, venuto in visita al museo di San Marco. Remigiusz ci parla del suo incontro con Firenze, con l’arte dell’Angelico e dei motivi che lo hanno portato in Italia. 

Signor Remigiusz, come mai si trova a Firenze?

Sono qui per lavoro. Sono venuto a raccogliere documentazione sul libro che sto scrivendo, dedicato a due importanti giornaliste del mio tempo: Oriana Fallaci e Teresa Torańska. Parlare di Oriana Fallaci, ovviamente, vuol dire parlare di Firenze. Certamente, anche di New York a motivo degli ultimi libri che ha scritto, ma Firenze è la città nella quale è nata e nella quale ha voluto morire, il luogo nel quale è tornata da New York, per poter dare il suo saluto al mondo guardando la Cupola.

Non potevo non venire a Firenze, per parlare con le persone che sono state testimoni della sua vita, ma anche testimoni della sua dipartita, la più stretta cerchia delle persone a lei legate.  E camminando per questa città penso sempre: sicuramente è passata di qui Oriana Fallaci, sicuramente è entrata qui, qui beveva il caffè, qui si fermava, guardava il Duomo, guardava tutte queste bellissime opere che ora io posso guardare; è come se da qualche parte ci fosse la sua presenza. Ma ho chiesto anche un po’ alla gente che cosa… forse non proprio che cosa pensi della Fallaci… ma quando mi è capitato di dire che sono qui per scrivere un libro su di lei, ho ascoltato le reazioni, e c’è chi mi ha detto «è stata una grande pensatrice». Per me è stato significativo che un fiorentino non abbia detto “giornalista” o “scrittrice”, ma abbia detto “grande pensatrice”.  Questo dice qualcosa di lei, dice anche del rapporto che la gente ha con lei.

Camminando per le vie di Firenze vedevo in ogni edicola il suo libro “Un uomo”, uscito col Corriere della sera, e sulla copertina c’è la sua foto. Oriana è ovunque qui a Firenze, l’impressione mia è questa. Certamente, sono venuto qui per lavorare su di lei, ed è questo il mio primo interesse… chissà, forse se non fosse stato per la Fallaci non sarei venuto… no, sarei venuto comunque! Ho degli amici che considerano Firenze la più bella città italiana, amici che vengono solo a Firenze quando vogliono concedersi un po’ di riposo in una città.

È infatti la sua prima volta a Firenze, anche se lei conosce già bene l’Italia. Quali sono state le sue impressioni?

Già dalla stazione, quando si scende dal treno, ti sembra di toccare con mano un posto che è assolutamente pieno di storia, che non simula niente. Questo lo posso ben dedurre dal confronto con la città dalla quale vengo, Varsavia, che nella seconda guerra mondiale è stata distrutta all’80%. Ogni volta che sono in un posto in cui la storia è a portata di mano, questo ha su di me un certo impatto. Firenze è anche una città d’arte, una vera e propria leggenda… le sue gallerie, i suoi musei, le opere di questa città, ma trovarsi realmente nel suo antico centro genera una “impressione fulminante”. Vedi i palazzi che stanno in piedi da quando sono stati costruiti, vedi come questa città è cambiata, anche solo sulla base dei numeri civici degli edifici. Si vede che è una città in evoluzione, ma allo stesso tempo continua ad essere una città di storia. Questo fa molta impressione a una persona che è venuta da una città che è solo sotto terra, che è costruita su un cimitero, nella quale la storia esce comunque in ogni momento, ma è la storia di un passato complicato e difficile, perché è la storia di un cimitero. Firenze è storia dell’arte. Basti pensare alla cupola, che si impone allo sguardo, che attira l’attenzione, che ti fa capire che sei in centro. Guardi il Duomo che a prima vista ti sembra dipinto, poi ti avvicini e ti rendi conto che è di pietra, di più colori e che questi colori sono diversi tipi di pietre… è difficile da dirsi… ma è come se all’improvviso mi sia ritrovato in una cartolina.

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E qual è stata la sua impressione sul Museo di San Marco?

Fenomenale! Per prima cosa l’architettura dell’edificio, con il chiostro che si presenta molto accogliente, non solo per i turisti, ma per tutte le persone. Vedevo alcuni che si riposavano sui muretti, un uomo che volgeva il suo viso verso il sole e ricaricava… non so… la sua energia. Sono stato in molti musei, ma qui ho avuto una percezione di pace. Può darsi sia il luogo, la sua storia, il fatto che sia stato un convento, un posto di tranquillità, preghiera, formazione… filosofia, teologia, studio… questo luogo sembra intriso di una pace che si trasmette al visitatore.

Di solito, guardare un’esposizione dedicata ad un artista può essere stancante, ma quando il suo collega ha iniziato a parlare e, introducendo la visita al Museo, ha invitato a considerarlo non solo una collezione di opere d’arte, ma anche un luogo nel quale sono vissute delle persone, ha immediatamente orientato la prospettiva della visita: non solo un museo, ma un luogo nel quale prima di noi hanno camminato frati, artisti, altri uomini.

E poi, il modo col quale il suo collega raccontava i dipinti… Parlava con tutto il suo corpo, parlava col cuore, parlava della storia, ma allo stesso tempo parlava in modo attuale, commentando ogni tanto secondo il suo gusto personale. Tutto questo, immediatamente, ha fatto sentire quelle opere più vicine. Guardare i dipinti di un artista e della sua bottega, ti permette di osservare, in qualche modo, la sua anima. Ho visto quest’uomo, l’Angelico, come qualcuno che, come pochi, è alla ricerca. Come chi nell’arte ricerca la perfezione, ma prova anche a “romperla”, cerca di superare un qualche confine e prova a raccontare in modo nuovo il suo mondo. All’improvviso, forse anche grazie alle parole di chi ci accompagnava, quel che abbiamo visto è apparso decisamente contemporaneo.

Guardando le opere di Beato Angelico, all’improvviso vedo dei dipinti davanti ai quali in realtà la grafica contemporanea “può chinarsi ad allacciare le scarpe”. Certamente sono eccellenti dal punto di vista pittorico, ma sono soprattutto frutto di chi è alla ricerca. Raccontano una storia, sono affabulanti, alcuni presentano contributi talmente contemporanei che potrebbero diventare parte della cultura pop. Sarebbe poco dire che è una pittura straordinaria e che lo sarà sempre. È una pittura così “di ricerca” che desterà sempre un grande interesse.

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Chiaramente, non voglio analizzare l’opera dell’Angelico, io non conoscevo tutti questi lavori, li ho guardati dal vivo oggi per la prima volta, qualcuno lo conoscevo dalle riproduzioni, ma questa raccolta mi ha veramente impressionato. L’Angelico ha un animo avvezzo a districare ogni situazione: dipinge sì scene sante, ma devo dire che in realtà non l’ho visto proprio così “santo” in questi dipinti, piuttosto, è come se continuamente venisse fuori l’artista, ad esempio nel modo di dipingere la luce, o forse anche no… nel modo di riempire il dipinto di dettagli, ma anche, quando vuole, di ripulire il soggetto. Straordinarie le celle nelle quali ci si può affacciare e scoprire gli affreschi. Bisogna abbassarsi un po’, e anche questo è interessante. Non stai guardando opere messe in mostra, non le guardi in piena comodità, devi abbassare un po’ la testa per poi sollevare lo sguardo e osservare i dettagli. C’è stato un momento in cui la nostra guida ha aperto la finestrina di una cella, dicendo: «ecco, guardate attraverso la finestra… osservate… si vede lo stesso sfondo dipinto in questo affresco».  Particolari che ti legano ancor di più a questo luogo, dici a te stesso: mi trovo qui, dove tutto questo è avvenuto realmente. Non è cambiato nulla… il mondo non è cambiato, le persone non sono cambiate, è cambiato forse qualche questione politica, chiaramente siamo più evoluti dal punto di vista tecnologico, e così via… ma forse loro ci erano superiori, giacché, anche senza questa tecnologia, erano in grado di dipingere opere del genere. Oggi questa potrebbe essere arte realizzata al computer.

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E poi il fascino di camminare su quel pavimento che ha qualche centinaio di anni. Sì, la guida ce l’ha detto che non è quello originale, ma che comunque ha una sua età. Cammini lungo quei corridoi da cui ti immagini che i frati entravano nelle celle e poi vedi quella serie di dipinti che sembrano tutti uguali ma non lo sono. All’improvviso, è come se resti ancor più in silenzio, perché ti sembra di entrare nella meditazione di qualcun altro, cioè nel raggiungimento dell’assoluta pace, di una preghiera che non è per forza una preghiera religiosa, ma di una preghiera che è utile all’uomo per capire se stesso. Guardando tutta quella serie di affreschi molto simili, eppur tutti diversi, realmente vedi il lavoro dell’animo umano. Questa visita, in qualche modo, mi ha spinto ad un silenzio interiore, mi ha fatto molto piacere, mi ha aperto gli occhi, il racconto è stato affascinante e credo che solo questo tipo di racconto, di chi parla col cuore e ama ciò che descrive, arrivi veramente al visitatore. Il suo collega ci ha raccontato un frammento di storia, di storia fiorentina, di questo artista e di questo posto, e sicuramente questa è stata una delle visite più affascinanti a cui ho preso parte.

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Lei vede elementi che uniscono la Fallaci all’Angelico? Ovvero, queste due figure nate a Firenze le vede in qualche modo legate a questa città, legate fra di loro?

Sì, la laboriosità e la perfezione. Non la perfezione destinata a realizzare un’opera eccellente, ma la perfezione che può dar luogo a un’opera attuale. Credo che sia Oriana Fallaci che l’Angelico abbiano realizzato opere totalmente straordinarie dal punto di vista della qualità, ma anche aperte dal punto di vista del pensiero. Non so se questo è un frammento dell’anima di questa città perché sono qui da troppo poco tempo, ma tutti quelli che hanno conosciuto Oriana Fallaci dicono che lei… io stesso ho potuto vedere i suoi manoscritti, le sue notazioni, lei lavorava con grande precisione su ogni frase, sul ritmo, sulla musica dei suoi testi. Tutto doveva funzionare come in un orologio svizzero. In fin dei conti non aveva l’obbligo di fare tutto così, e invece ad ogni sua intervista dedicava mesi di preparazione, di documentazione, e ha avuto ragione a farlo, perché è tutto ancora attuale. Ha mostrato un frammento della sua realtà, del mondo nel quale è vissuta, ma noi siamo pienamente in grado di identificarci in quel che scrive. Sono passati già alcuni anni dalla sua morte e la sua fama è ancora viva o almeno questo è quanto vedo ora in Italia. Sono arrivato e c’è un film alla televisione dedicato a lei, c’è un album fotografico pubblicato da Rizzoli, escono libri che parlano di lei, per cui ho l’impressione che il suo mito resista. E quei dipinti… non so quanto sia legittimo questo tipo di paragone, ma se dovessi parlare della Fallaci e dell’Angelico, direi che ciò che li contraddistingue è proprio la perfezione dei loro lavori.

Grazie.

Oriana Eugenia Lanzafame

 

Per saperne di più:

– breve profilo biografico (dal sito scritturaimmanente.it)

– il blog di Remigiusz Grzela

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