In attesa della riapertura della Pinacoteca Tosio Martinengo, il Museo di Santa Giulia a Brescia continua ad offrire piccoli e preziosi eventi espositivi dedicati ai maestri del Rinascimento. Dopo Giorgione e Savoldo, e prima di Raffaello, è la volta di Baccio della Porta, meglio noto come Fra Bartolomeo (1472-1517), frate pittore domenicano e savonaroliano che, assieme, ad Andrea del Sarto, fu il massimo esponente della pittura fiorentina ai primi del Cinquecento. (“Fra Bartolomeo. Sacra famiglia a Modello“, fino al 18 gennaio 2015). Solo tre le opere in mostra, splendide e sorprendenti. Protagonista indiscussa, capolavoro di equilibrio e grazia, la Sacra Famiglia di Fra Bartolomeo, che la National Gallery di Londra concede in prestito per la prima volta in assoluto.
C’è poi una vera e propria riscoperta, la Sacra Famiglia della Pinacoteca di Brescia, da sempre ritenuta una copia ottocentesca e oggi assegnata alla cosiddetta Scuola di San Marco, ovvero l’ambito di Fra Bartolomeo e dei suoi seguaci. Infine, dalla Galleria Borghese di Roma, la Sacra Famiglia con San Giovannino, probabile opera di Mariotto Albertinelli, socio di bottega di Fra Bartolomeo. A Brescia si incontrano tre opere importanti del primo Cinquecento fiorentino, provenienti dallo stesso ambiente, il convento fiorentino di San Marco, e incentrate sullo stesso tema, la Sacra Famiglia, con Giuseppe e Maria che adorano il Bambino. Una sorpresa dopo l’altra: un’opera che non aveva mai lasciato l’Inghilterra, un originale ritrovato, un marchio di bottega e, a guardar bene, a mo’ di firma, l’autoritratto del pittore.
Ecco le tre opere in mostra:
Fra’ Bartolomeo, Adorazione del Bambino (Sacra Famiglia “Mond”), 1509-1511, olio su tavola, Londra, National Gallery
Proviene dalla collezione di Ludwig Mond, importante chimico dell’800, che lasciò in eredità alla National Gallery 42 dipinti di assoluto valore, fra cui opere di Bellini, Raffaello, Tiziano e Cranach.

Questa Sacra Famiglia viene datata al 1509-1510, e comunque prima del 1511, durante l’ultimo periodo di collaborazione di Fra Bartolomeo con Mariotto Albertinelli. Bartolomeo e Mariotto si erano conosciuti nella bottega di Cosimo Rosselli. Quando il primo decise di aprire una propria bottega, Mariotto lo seguì, in un sodalizio professionale e di amicizia che durò per tutta la vita (erano “un’anima et un corpo” dice Vasari). La società, attestata per almeno tre periodi, si alterna a momenti in cui i due pittori preferiscono lavorare da soli. La “chompagnia” continuerà anche dopo che Bartolomeo, discepolo di Savonarola, decise di farsi frate domenicano (1500). Il loro linguaggio pittorico, tanto simile da essere a volte difficilmente distinguibile, costituisce lo stile della cosiddetta “bottega di San Marco”, dove si fondono echi di Perugino, Piero di Cosimo, Ghirlandaio e Leonardo.
Serena Padovani, nel catalogo della mostra fiorentina su Fra Bartolomeo del 1996, coglie nella Sacra Famiglia di Londra “una armoniosità raffaellesca d’impianto, una grandiosità e una finezza e sottigliezza nelle soluzioni pittoriche” riferibili alla mano esclusiva di Fra Bartolomeo, senza l’aiuto di Mariotto o di altri. L’assoluta qualità e maturità stilistica dimostrano che siamo di fronte ad uno splendido capolavoro del frate pittore.
E’ impossibile comprendere fino in fondo i segreti di una grazia semplice e armonica. Accontentiamoci di qualche spunto. Tanta parte di bellezza è data, ad esempio, dai teneri e lirici sguardi di Giuseppe e Maria in adorazione. La Vergine è inginocchiata e con le braccia incrociate sul petto, mentre Giuseppe guarda il bambino da seduto (curioso come sostenga con le braccia la gamba destra piegata, in una posa per niente scontata).
Nelle sembianze di Giuseppe si riconosce, verosimilmente, l’autoritratto di Fra Bartolomeo, secondo la tradizione vasariana che tende ad identificare un santo della Pala della Signoria (1510-13, Museo di San Marco) come l’autoritratto del frate pittore. Le stesse sembianze compaiono in molti dipinti e disegni, riferiti per lo più alla figura di San Giuseppe. Lo stesso Vasari, ne fa uso per la xilografia all’inizio della Vita di Fra Bartolomeo nella edizione giuntina (1568).
Dietro la Sacra Famiglia, al centro, si vede un edificio classico in rovina.
Potrebbe essere, secondo l’iconografia delle Natività e delle Adorazioni, un’allusione simbolica alla rovina del paganesimo o alla fine dell’antica Legge, a seguito della venuta di Cristo. Si intravede, infatti, appoggiata alle rovine, la tettoia lignea della mangiatoia di Betlemme, chiaro riferimento alla nascita di Gesù.
Il Bambino, adagiato su un drappo blu (forse la veste di Maria), si appoggia ad un sacco, tipico riferimento (assieme alla fiasca da pellegrino, qui assente) alla Fuga in Egitto, ovvero alle sofferenze incombenti sulla Famiglia di Nazareth (e premonizione della passione del Cristo). La presenza del sacco da viaggio e la lontananza della mangiatoia dai protagonisti potrebbero suggerire una definizione più precisa del soggetto, non una generica Sacra Famiglia, ma un’Adorazione del Bambino durante la Fuga in Egitto, ovvero un Riposo durante la Fuga in Egitto. Sullo sfondo, a sinistra, un bello scorcio di paesaggio reso atmosfericamente, alla maniera di Leonardo. Sempre sullo sfondo, da sinistra a destra, si vede un misterioso villaggio, forse un complesso conventuale (si noti la presenza del campanile). Sembrano edifici in costruzione o in restauro. C’è, poi, un dettaglio davvero curioso. Sopra la porta di accesso al villaggio, tre pittori (con tanto di scala e ponteggio) stanno affrescando qualcosa. Si tratta di dettagli insoliti e difficili da spiegare. Forse il villaggio in costruzione è il nuovo mondo cristiano, la Nuova Legge in contrasto con le rovine del mondo antico. E San Giovannino, rappresentato in secondo piano sulla destra, di tale nuovo mondo è profeta e precursore, alla lettera “pròdromos”, “colui che corre prima”, per questo lo vediamo in movimento. Forse, quei tre pittori sono il simbolo dell’umanità che collabora alla realizzazione di questa nuova era. Forse, sono anche un ricordo della bottega di San Marco e, implicitamente, un riferimento al ruolo centrale degli artisti nella edificazione, morale e culturale, di una nuova società, la Nuova Gerusalemme, secondo gli ideali di rinnovamento spirituale e politico sostenuti dal movimento savonaroliano. Bartolomeo, seguace di Savonarola, segnato dalla sua tragica morte (1498) decise di farsi frate domenicano nel 1500, a Prato, per poi tornare a Firenze, l’anno successivo, nel convento di San Marco. Come pittore, Fra Bartolomeo aderisce agli ideali estetici di Savonarola, che, di contro agli eccessi intellettualistici di certo umanesimo, promuoveva il ritorno ad un’arte pedagogica, semplice, naturale e popolare, chiara e piacevole, dove ad una bella forma corrispondesse un contenuto di verità morale e ortodossia spirituale. Questi saranno i valori estetici, nel corso del ‘500, della Scuola pittorica di San Marco, anticipatrice delle tendenze classiciste dell’arte fiorentina durante la Controriforma cattolica.
Scuola di San Marco, Adorazione del Bambino (Sacra Famiglia), olio su tavola, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo.
Acquistata nell’800 a Firenze come opera di Fra Bartolomeo dal conte Paolo Tosio, collezionista bresciano, è tradizionalmente considerata una copia moderna, di gusto neoclassico, del dipinto della National Gallery. Ha pesato, in particolare, il severo giudizio dato da Giorgio Nicodemi, storico dell’arte e direttore del museo di Brescia (G. Nicodemi, La pinacoteca Tosio e Martinengo, 1927). Inaspettatamente, le indagini eseguite in occasione della mostra, in particolare il restauro e le analisi riflettografiche, ricondurrebbero l’opera ai primi del ‘500. Secondo i curatori, Paolo Bolpagni ed Elena Lucchesi Ragni con Roberto D’Adda, “grazie all’intenso lavoro di ricerca si può finalmente affermare che questo dipinto appartenente alla Pinacoteca bresciana fu in realtà eseguito all’interno della bottega di San Marco, in cui operava Fra Bartolomeo”. Conclusioni sostenute anche dai pareri autorevoli di Chris Fisher e Serena Padovani, specialisti del frate pittore e della sua scuola. I due dipinti, quello di Londra e quello di Brescia, all’apparenza quasi identici, presentano però alcune difformità, nello stile e nel colore, che farebbero pensare, per l’opera italiana, ad un’esecuzione di bottega.
Il falso ottocentesco si è dunque rivelato un’opera originale della Scuola di San Marco, se non proprio di Fra Bartolomeo. Una rivincita per il primo acquirente, il conte Paolo Tosio, grande collezionista a cui la Brescia dell’arte deve tantissimo.

Secondo le sue disposizioni, in accordo con l’amata moglie Paolina, dopo la sua morte (1842) l’immensa galleria di oggetti d’arte acquistati nel corso di una vita, fu lasciata per sempre alla città. Fra i capolavori della collezione, oggi parte essenziale della Pinacoteca Tosio-Martinengo, spiccano due splendidi dipinti di Raffaello, il Redentore e l’Angelo (quest’ultimo, protagonista della prossima mostra al Museo di Santa Giulia).
Si tratta di due dipinti giovanili, fortemente legati allo stile del Perugino. L’Angelo, dalla Pala (smembrata) di San Nicola da Tolentino per la cappella Baronci di Città di Castello, è la prima opera documentata del pittore di Urbino, appena diciassettenne, ma già definito “magister” (1500-1501). Il Cristo benedicente o Redentore, probabile commissione umbra o marchigiana, potrebbe collocarsi agli inizi del soggiorno fiorentino, attorno al 1505. A Firenze (1504-1508) Raffaello entra in contatto con molti artisti già affermati, fra i quali Fra Bartolomeo, di dieci anni più anziano. L’incontro è fondamentale per entrambi, ne nasce infatti un’amicizia e un profondo dialogo artistico che li porterà ad importanti reciproche influenze. Racconta Vasari che Raffaello, giunto a Firenze “a imparare l’arte” e frequentando la bottega del frate presso il convento di San Marco, “insegnò i termini buoni della prospettiva a fra’ Bartolomeo; perché, essendo Raffaello volonteroso di colorire nella maniera del frate e piacendogli il maneggiare i colori e lo unir suo, con lui di continuo si stava“. Di sicuro, la riflessione comune sull’arte di Leonardo e Michelangelo porta entrambi, Raffaello e Fra Bartolomeo, ad un’evoluzione artistica in senso più monumentale, all’attenzione per le rappresentazioni più complesse e articolate nello spazio, all’uso di un colore più vario e più intenso.
Scuola di San Marco o Mariotto Albertinelli, Sacra Famiglia con San Giovannino, 1511, olio su tavola, Roma, Galleria Borghese.
Il Bambino, adagiato sul drappo appoggiato ad un sacco, e la Vergine con le braccia incrociate sul petto, derivano dalla Sacra Famiglia “Mond” della National Gallery (forse è stato usato lo stesso cartone). San Giuseppe e San Giovannino, però, hanno qui una rilevanza maggiore. Giuseppe ci guarda, creando una relazione di invito e partecipazione emotiva. San Giovannino, non piccolo e lontano come nel modello inglese ma in primo piano a destra, ammicca con un sorriso che Serena Padovani definisce “leonardesco”. In alto a destra, uno scorcio paesaggistico con l’Annuncio ai pastori.
In basso, sul bordo del dipinto, sono visibili la data 1511 e la sigla della “bottega di San Marco”, una croce con due anelli che si intersecano. E’ un esplicito riferimento al terzo e ultimo periodo di collaborazione fra Mariotto e Fra Bartolomeo, documentato dal 1509 al 1512.
Proprio la presenza del marchio di bottega ha indotto ad abbandonare l’ antica attribuzione del dipinto a Fra Bartolomeo. Per alcuni studiosi (Crowe, Cavalcaselle) c’è la mano di Fra Paolino da Pistoia, altro frate pittore domenicano allievo di Fra Bartolomeo. Ma la grande maggioranza degli storici (tra i quali Berenson e Borgo) è orientata ad attribuire l’opera a Mariotto Albertinelli, amico e socio di bottega del frate pittore. Per altri ancora, con Mariotto avrebbe collaborato lo stesso Fra Bartolomeo. Padovani (1996) ritiene che, a prescindere dal nome dell’autore, si debba ipotizzare, anche a seguito delle indagini riflettografiche, l’utilizzo di un modello riconducibile a Fra Bartolomeo: “i pentimenti, i ripensamenti, e l’autorevolezza dell’esecuzione indicano una personalità ben individuata e di tutto rispetto, che forse utilizza liberamente un prototipo di Fra Bartolomeo, o piuttosto crea la composizione riproponendo nei singoli personaggi formule proprie del Frate e di Mariotto, usando un cartone corretto magari dall’intervento del Frate”. Molti elementi stilistici, d’altra parte, rafforzano l’opinione che l’opera sia stata effettivamente dipinta da Mariotto Albertinelli nella sua piena maturità artistica. L’unico enigma da sciogliere è il motivo per cui Mariotto non si sarebbe firmato con il suo nome (ad esempio “Opus Mariocti” o “Mariotti Florentini Opus”), ma con il marchio della bottega di San Marco, quasi a volere sottolineare che non fosse da solo. Enigma non da poco, che impedisce di chiarire fino in fondo se si debba parlare di un solo autore o se siamo di fronte ad un’opera di collaborazione. D’altro canto, risulta spesso molto difficile distinguere la mano di Mariotto da quella di Fra Bartolomeo. Come sottolinea Vasari, “imitando la maniera e l’andar del compagno, era da molti presa la mano di Mariotto per quella del frate“. Il che avviene ancora oggi.
Volentieri, lasciamo i dubbi e le elucubrazioni agli esperti del settore. E salutiamo le tre Sacre Famiglie, bellissime e straordinarie, esposte a Brescia.
Del resto, come racconta Vasari, anche l’Albertinelli, ad un certo punto, ritenne opportuno fermarsi, almeno per un po’, appendendo i pennelli al chiodo. Mariotto, “persona inquietissima e carnale nelle cose d’amore e di buon tempo nelle cose del vivere…venendogli in odio le sofisticherie e gli stillamenti (sforzi) di cervello della pittura, et essendo spesso dalle lingue de’ pittori morso…si risolvette darsi a più bassa e meno faticosa e più allegra arte“. Decise, infatti, di aprire a Firenze, probabilmente assieme alla moglie Antonia, figlia di un vinaio, ” una bellissima osteria fuor della porta San Gallo et al ponte Vecchio al Drago una taverna et osteria”. Motivava questa decisione dicendo che il mestiere dell’oste, alla pari della pittura, era anch’esso un’arte, ma “senza muscoli, scorti (scorci), prospettive e, quel ch’importa più, senza biasmo (maldicenze)”. E aggiungeva che, mentre la pittura “imitava la carne et il sangue“, questa sua nuova arte, all’opposto, “faceva il sangue e la carne” e se in quella “ogni giorno si sentiva biasimare“, adesso “ogn’ora si sentiva, avendo buon vino, lodare“. Non è rimasta traccia delle due osterie citate dal Vasari, mentre la tradizione vuole che Mariotto ne abbia aperta anche una terza, tutt’ora in loco, in piazza San Martino, in un fondo che faceva parte delle case degli Alighieri. Si dice che la frequentassero molti artisti, fra cui Giuliano Bugiardini e Innocenzo da Imola, allievi di Mariotto, Benvenuto Cellini, Michelangelo, Maso Manzuoli, Pontormo e Andrea del Sarto. I gestori dell’800 vollero ricordare l’Albertinelli sia nel nome dell’esercizio (“Il pennello”) sia apponendo sopra l’entrata un medaglione in terracotta che ritrae il pittore secondo l’iconografia della Vita vasariana. Osteria, nome e medaglione sono ancora lì, accanto alla Casa di Dante e all’ombra della Torre della Castagna. A perenne memoria di Mariotto, l’oste pittore.
Alessandro Santini
Per saperne di più:
– Lucchesi Ragni E., Bolpagni P., Fra Bartolomeo. Sacra Famiglia a modello, Sagep, Genova 2014
– Padovani S. (a cura di), con la collaborazione di M. Scudieri e G. Damiani, Fra’ Bartolomeo e la scuola di San Marco, Marsilio, Venezia 1996