Lo spazio di Plautilla Nelli a San Marco

«Dovete compatire: si è ragazze di campagna, ancorché nobili, vissute sempre ritirate, in sperduti castelli e poi in conventi; fuor che funzioni religiose, tridui, novene, lavori dei campi, trebbiature, vendemmie, fustigazioni dei servi, incesti, saccheggi, stupri, pestilenze, noi non si è visto niente. Cosa può sapere del mondo una povera suora?».

Questo brano de Il cavaliere inesistente di Calvino, con la voce narrante di Suor Teodora, rappresenta in modo spassoso l’antica ambivalenza di un luogo di segregazione come un convento femminile: chiuso al mondo, eppure permeabile a tutte le sue brutture.

Tra gli spazi storicamente abitati dalle donne, i conventi sono stati a volte rifugio per vedove, più spesso istituzioni totali per ragazze di buona famiglia predestinate alla vita religiosa, come la Gertrude manzoniana dei Promessi Sposi. Luoghi di esclusione dall’esperienza, dove al prezzo della perdita della libertà si guadagnava, però, la possibilità di fare comunità, stabilire alleanze con altre donne, accedere a un qualche tipo di istruzione e, naturalmente, pregare.

Nel caso di Suor Plautilla Nelli, nata Polissena (1524-1588), entrata in convento all’età di 14 anni, dopo la morte della madre e le seconde nozze del padre, il convento di Santa Caterina in Cafaggio in Piazza San Marco a Firenze, oggi non più esistente, diventa un luogo di opportunità, dove da autodidatta si forma come artista e come “imprenditrice” fonda uno dei più interessanti laboratori fiorentini di produzione artistica della metà del Cinquecento.

Secondo le fonti di cui disponiamo, Vasari in primis, che le dedica un ritratto lusinghiero nella seconda edizione delle Vite del 1568, Suor Plautilla Nelli si esercita inizialmente nelle opere di piccolo formato, come quadretti su rame e soprattutto miniature: «questa veneranda e virtuosa suora, inanzi che lavorasse tavole et opere d’importanza, – scrive Vasari – attese a far di minio, sono di sua mano molti quadretti belli affatto in mano di diversi, dei quali non accade far menzione». La decorazione di codici manoscritti, praticata in molti conventi femminili, era fortemente incoraggiata in Santa Caterina in Cafaggio, dove le monache potevano godere della grande collezione di incisioni, stampe e materiale cartografico che le tre figlie di Francesco di Lorenzo Rosselli (1445-1513), pittore, miniatore, cartografo e incisore, avevano portato con sé entrando in convento. Di questa prima attività di miniaturista, si conservano al Museo di San Marco due antifonari con due iniziali decorate: La Presentazione di Gesù al Tempio e l’Adorazione del Bambino con la Vergine Maria, Giuseppe e due monache.

Plautilla Nelli (attr.), Iniziale A: Adorazione del Bambino con La Vergine Maria, Giuseppe e due monache, Firenze, Museo di San Marco, Ms San Marco 566
Plautilla Nelli e bottega, Santa Caterina da Siena, olio su rame, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Depositi, Inv. 1890, n. 7025. Una variante molto simile è stata battuta all’asta presso Poggio Bracciolini Casa d’aste, Firenze. Asta a tempo n. 307, 23-28 giugno 2023

Potrebbero essere state proprio le figlie del pittore incisore Rosselli, suor Maria, suor Fede e suor Speranza, entrate in convento nel 1499, quindi prima di Plautilla, a introdurla all’arte della miniatura. Oppure, come suppone Catherine Turrill Lupi, potrebbe essere stato fra Eustachio di Baldassarre (1473-1555), converso del vicino convento di San Marco, pittore e miniatore stimatissimo, autore con altri artisti di diversi corali per il Duomo di Firenze. Siamo comunque nel regno delle ipotesi. C’è un altro pittore domenicano, però, che ha avuto sicuramente un ruolo centrale nella formazione di Plautilla Nelli. È Paolino da Pistoia (1488-1547), frate osservante del convento di San Marco, da cui dipendeva quello di Santa Caterina in Cafaggio, artista per lo più devozionale, di cui molti dipinti sono esposti nel Refettorio Grande di San Marco. Fra Paolino, attraverso una pedagogia mite e discreta, ha avuto il merito di riconoscere le inclinazioni artistiche della giovane Suor Plautilla, orientarle nel modo giusto e osservarle sbocciare. Seguace fedele della Scuola di San Marco ed erede degli strumenti della bottega di Fra Bartolomeo (1472-1517), Fra Paolino trasmise a Suor Plautilla l’intero repertorio di disegni, modelli di arti in gesso e cera, e perfino un manichino di legno a grandezza naturale, appartenuti al suo maestro. Un’eredità considerevole, arricchita anche da materiale personalmente realizzato dal frate, che le permetterà di completare il suo apprendistato da autodidatta e di organizzare in Santa Caterina in Cafaggio la più importante “succursale” femminile della Scuola di San Marco a Firenze.

Plautilla Nelli, Annunciazione, olio su tavola, Firenze, Palazzo Vecchio

La fortuna critica di Plautilla Nelli è stata precocissima. Con Properzia de’ Rossi (1490 ca.-1530), Lucrezia Quistelli della Mirandola (1541-1594) e Sofonisba Anguissola (1522-1625), è una delle quattro artiste a guadagnarsi un profilo nelle Vite di Vasari. E se lo è guadagnato da vivente. Chissà cosa avrà pensato, leggendo il passo in cui Vasari, con un pizzico di condiscendenza, scrive: «avrebbe fatto cose maravigliose, se, come fanno gli uomini, avesse avuto commodo di studiare et attendere al disegno e ritrarre cose vive e naturali».

Nel bellissimo capitolo che Melania Mazzucco dedica a Plautilla Nelli all’interno di Self-Portrait. Il Museo del mondo delle donne, una galleria di capolavori femminili di tutte le epoche, l’autrice prova a decostruire la narrazione vasariana. L’opera che Mazzucco sceglie per raccontare Plautilla Nelli è l’Annunciazione del Museo di Palazzo Vecchio, nel capitolo intitolato Gravidanza. Confrontata con le Annunciazioni contemporanee di Lorenzo Lotto a Recanati, o di Tiziano per San Domenico Maggiore a Napoli e per la chiesa di San Salvatore a Venezia, scrive Mazzucco, quella della Nelli è senz’altro «attardata» su modelli iconografici ormai superati. «Ma la ripetitività dello schema – scrive – non deve sminuire l’ammirazione per l’opera».

Torniamo a Vasari. La scrittrice ci suggerisce di rovesciare il senso della descrizione vasariana, e di sostituire la congiunzione «se» con la preposizione avversativa nonostante. Il testo, riscritto da Mazzucco, suona più onesto e rende giustizia alla Nelli: «NONOSTANTE, invece di SE. Nonostante non avesse potuto studiare né conoscere il mondo e la natura, nonostante avesse dovuto lavorare su repertori e immagini di altri e creare pittura dalla pittura e non pittura della natura e dalla vita, nonostante avesse difficoltà ad aggiornarsi e nessuna libertà a muoversi, Nelli possiede cognizioni geometriche, un buon disegno, il dono di combinare i colori. È una Maestra, insomma».

Se, infatti, si vuole valutare coscienziosamente la produzione della Nostra, è necessario fare un esercizio di complessità; richiamare l’importanza del contesto storico in cui una donna esercita la sua arte e smentire l’assunto vasariano per cui il “genio” artistico (ovviamente maschile) è innato. Ci viene incontro, in tal senso, Daniela Brogi ne Lo spazio delle donne: «lavorare in uno scenario abitato anche dallo spazio delle donne, significa allora riconsiderare gli assetti e le idee tradizionali di stile e canone, che in quanto “abitudini” letterarie, vale a dire convenzioni codificate da precisi contratti sociali (Jameson) e distinzioni di classe (Bordieu), vanno via via ripensati e guardati dentro il tempo che li ha formulati. Altrimenti, stile e canone rischiano di rimanere laboratori permanenti di disuguaglianza e di sessismo».

Negli anni in cui visse Plautilla Nelli, era generalmente precluso alle donne lo studio delle arti liberali: la letteratura, la matematica, la prospettiva e, nel caso di un’aspirante artista, la copia dal vero di modelli viventi nudi per studiare l’anatomia. Per darci la misura della perdita di chance di una tale privazione, nel 1970 la storica dell’arte femminista Linda Nochlin, nel saggio pioneristico Perché non ci sono state grandi artiste?, sottolineava che è «come se a uno studente di medicina fosse negata la possibilità di sezionare o anche solo esaminare un corpo umano nudo».

Una formazione “istituzionale” all’interno di una bottega artistica, con tanto di contratto di apprendistato e tutti i crismi riservati agli uomini, non era permessa alle donne, a meno di essere figlie d’arte, come nel caso di Artemisia Gentileschi (1593-1653 circa), formatasi presso il padre Orazio, o Lavinia Fontana (1552-1614), che aveva imparato a dipingere in casa, guidata dal padre Prospero; o ancora figlie di padri benestanti e illuminati che scommettevano sul loro talento, come nel caso di Sofonisba Anguissola (1532- 1625).

La vicenda biografica e artistica di Plautilla Nelli, tre volte eletta priora del suo Convento, perciò non solo abile a usare i pennelli ma anche a governare, va messa in una prospettiva storica, altrimenti si rischia di farne una specie di ribelle anticonformista, di outsider, quando invece non lo era. Se Plautilla Nelli è riuscita a farsi spazio in un mondo prevalentemente maschile, è anche grazie alla capacità di fare squadra e condividere le sue competenze con le consorelle “discepole” di Santa Caterina in Cafaggio. Se si è imposta in un mercato dell’arte dominato dagli uomini, è perché ha saputo avvantaggiarsi della vasta rete di committenti, laici e religiosi, collegata ai conventi dell’Ordine dei Predicatori in Toscana. Se si è ricavata un posto d’onore all’interno della spiritualità savonaroliana, è perché ha saputo declinare in modo originale le istanze di un’arte “riformata” che subordinava la forma al contenuto, la dimensione morale a quella estetica. Al contempo, ha saputo rivendicare con convinzione la sua appartenenza alla Scuola di San Marco; significativo è il modo in cui firma l’Ultima cena di Santa Maria Novella: “S. Plautilla. Orate pro pictora”, come faceva Fra Bartolomeo, per rimarcare l’adesione alla medesima sintesi tra arte e spiritualità del maestro.

Firma di Plautilla Nelli, Ultima cena, Firenze, Convento di Santa Maria Novella

Se ha sfidato le convenzioni del tempo per cui le botteghe erano esclusivo appannaggio di artisti maschi, è perché ha saputo mettere in piedi un atelier con un’organizzazione del lavoro quasi tayloristica, dove monache addestrate a mescolare colori, usare spolveri e cartoni, riproducevano serialmente, sotto la sua supervisione, un numero incalcolabile di dipinti per le case dei gentiluomini fiorentini; lo stesso Vasari ne aveva perso il conto: «tanti quadri che troppo sarei lungo a volere di tutti ragionare». Alcuni di questi sono stati rintracciati ed esposti alla mostra “Plautilla Nelli. Arte e devozione sulle orme di Savonarola”, curata da Fausta Navarro nel 2017 agli Uffizi, in particolare le immagini devote di Santa Caterina de’ Ricci (1522-1590), mistica del Convento domenicano di San Vincenzo Ferrer a Prato, non ancora canonizzata al tempo in cui veniva ritratta dalla monaca pittrice, e perciò rappresentata nelle sembianze di Caterina da Siena, secondo uno schema già collaudato da Fra Bartolomeo nel ritratto di Savonarola nelle sembianze di San Pietro da Verona. Tutta la produzione era destinata al florido mercato della devozione privata, per il quale i quadri di una monaca artista erano considerati oggetti sacri.

Plautilla Nelli, Santa Caterina de’ Ricci nelle sembianze di Santa Caterina da Siena, olio su tela, Siena, Convento di San Domenico
Fra Bartolomeo, Ritratto di Savonarola nelle sembianze di San Pietro Martire, 1508-1510, Firenze, Museo di San Marco

Malgrado i periodi di oblio e le alterne fortune, Plautilla Nelli non ha mai smesso di far parlare di sé. Solo negli ultimi vent’anni è stata oggetto di conferenze, convegni, pubblicazioni, restauri, mostre e tesi di laurea. Si pensi al lavoro di riscoperta compiuto dall’organizzazione no-profit AWA (Advancing Women Artists), dal 2006 al 2021, grazie alla “magnifica ossessione” di Jane Fortune (1942-2018) per la monaca pittrice, che ha consentito l’identificazione e il restauro di molte sue opere disperse nei depositi fiorentini. Jane Fortune è anche autrice del fondamentale Invisible Women: Forgotten Artists of Florence, del 2009: quasi un manifesto della sua attività di salvataggio dell’arte femminile fiorentina, invisibile o misconosciuta.

La sua fortuna critica, come detto, è antica. Vasari nelle Vite ne fa un ritratto dal vivo, senza però menzionare le “discepole”, come usava fare con i ritratti di artisti maschi. Questa lacuna viene fortunatamente colmata trent’anni dopo da Fra Serafino Razzi, fratello di Suor Maria Angelica Razzi, “discepola” della Nelli, che redige un elenco di sei monache aiutanti. Tra il Seicento e il Settecento il nome di Suor Plautilla comparirà sporadicamente su qualche guida, senza aggiungere niente rispetto a Vasari e Razzi. Bisognerà aspettare Padre Vincenzo Marchese, un altro domenicano di San Marco, perché le sia intitolato un capitolo nelle Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani, del 1845. Più tardi, nel 1854, Padre Marchese amplierà il capitolo su Suor Plautilla sulla base di nuovo materiale d’archivio. Il suo giudizio, assai severo, condizionerà pesantemente le interpretazioni successive della Nelli. Marchese, che aveva visto le opere della monaca da vicino, la considera non adeguatamente formata, priva di un’esperienza diretta del mondo, e perciò incapace di padroneggiare l’intera gamma umana delle emozioni. Risale a Marchese il cliché secondo cui la monaca facesse posare le sue consorelle per rappresentare le figure maschili, ottenendo Criste effemminate in luogo di Cristi virili, e che per il Compianto sul Cristo morto di San Marco avesse copiato il corpo di una consorella morta.

Si deve a Giovanna Pierattini un approccio più scientifico allo studio dell’artista. L’autrice in Suor Plautilla Nelli. Pittrice domenicana (1938), sottolinea l’importanza delle origini savonaroliane del convento di Santa Caterina in Cafaggio, e smentisce Padre Marchese rispetto alla mancanza di rapporti della Nelli col mondo esterno, considerato che fino agli anni settanta del 1500 la clausura non era ancora stretta come sarebbe diventata in seguito. Dopo Pierattini, pochissime sono state le pubblicazioni successive e, a parte un blando interesse per la figura storica della suora nelle ricerche femministe degli anni Settanta, la fortuna critica di Plautilla Nelli subisce una battuta di arresto. Non compare, sorprendentemente, neppure in Quando anche le donne si misero a dipingere di Anna Banti, uscito per la prima volta nel 1982, una raccolta di dodici splendidi ritratti di artiste dal Cinquecento al Novecento, da Sofonisba Anguissola a Edita Walterowna Zur-Muehlen.

Nel 1996 le viene riservata una scheda del Compianto su Cristo morto nel catalogo della mostra L’età di Savonarola. Fra’ Bartolomeo e la Scuola di San Marco, a cura di Serena Padovani; forse più per ragioni contingenti – il dipinto è già nella collezione del Museo – che di reale riconoscimento dell’appartenenza della monaca alla Scuola di San Marco. Due anni dopo, nel 1998, Plautilla Nelli è oggetto di un convegno fondativo a Villa Le Balze, a Fiesole, curato da Jonathan K. Nelson, nella sede della Georgetown University: “Suor Plautilla Nelli (1523-1588): the first woman painter of Florence: proceedings of the Symposium”, che in modo organico sistematizza la carriera della pittrice e fa da apripista a tutte le ricerche successive.

Plautilla Nelli, Compianto sul Cristo morto, Firenze, Museo di San Marco

Il 2006 è l’anno del restauro del Compianto sul Cristo morto, diretto dalla allora direttrice del Museo di San Marco Magnolia Scudieri ed eseguito da Rossella Lari per conto di AWA. Fino a quel momento solo tre pale d’altare formavano il catalogo della pittrice in modo inconfutabile: Il Compianto sul Cristo morto del Museo di San Marco, proveniente dalla Chiesa di Santa Caterina in Cafaggio; la Pentecoste realizzata per la Chiesa di San Domenico di Perugia (firmata «S. Plautilla faciebat»); e l’Ultima cena, realizzata per il refettorio del convento di Santa Caterina in Cafaggio, ora in Santa Maria Novella.

Il 2017 è un altro anno decisivo. Oltre alla già citata mostra agli Uffizi, che rilancerà la pittrice e permetterà il ritrovamento di molte opere ritenute perdute (portando le attribuzioni certe a diciassette), al Museo di San Marco, in occasione dei cinquecento anni dalla morte di Fra Bartolomeo, si svolge un importante convegno internazionale, dove uno spazio significativo, accanto a Giovanni Antonio Sogliani (1492-1544) e Mariotto Albertinelli (1474 -1515), viene assegnato anche alla Nelli: Fausta Navarro le dedica un intervento, ora raccolto negli atti pubblicati da «Biblioteca di Memorie domenicane», dal titolo Plautilla Nelli, la Scuola di San Marco e l’ossequio alla tradizione.

Plautilla Nelli e bottega, Santa Caterina riceve la visione di Cristo, olio su tavola, Firenze, Museo di San Marco

Da allora l’interesse per la Nostra continua a crescere, anche presso un pubblico di non addetti ai lavori. Negli ultimi due anni, il nome di Plautilla Nelli è diventato il simbolo imprescindibile di un approccio alla storia dell’arte rispettoso delle differenze. Oltre al già citato Self-portrait di Melania Mazzucco (2022) – già il titolo rimanda all’esperienza artistica femminista degli anni Settanta, al lavoro sul corpo, l’autoritratto e l’autorappresentazione – è uscito in italiano il volume della storica dell’arte britannica Katy Hessel, La storia dell’arte senza gli uomini (2023), che in modo militante, antielitario e spigliatamente pop, cerca di rendere giustizia alle tante esclusioni di donne artiste dai manuali di storia dell’arte e, naturalmente, parte dalla figura di Suor Plautilla Nelli. Sul versante sempre più interessante delle graphic novel, è uscito nel 2021 Artiste, una raccolta di storie brevi scritte da Flavia Luglioli e illustrate da quindici fumettiste, ciascuna delle quali, con il proprio stile, racconta in poche pagine un’artista. A Plautilla Nelli è dedicato il racconto La lezione, illustrato da Isabella Grott, in cui Suor Plautilla è rappresentata nella sua attività di capo-bottega. Tutte queste pubblicazioni assumono la pittrice come punto di partenza di narrazioni che si propongano di riconsiderare il “fuori campo” in cui sono state storicamente relegate le artiste, facendolo interagire con l’inquadratura principale (Brogi).

Plautilla Nelli e bottega, Consegna del rosario a San Domenico, olio su tavola, Firenze, Museo di San Marco

Anche il Museo di San Marco, inserendosi nel recente dibattito, ha fatto la sua parte. Dal 2022, sotto la direzione di Angelo Tartuferi, ha ridato a Plautilla Nelli, non più solo simbolicamente ma materialmente, il posto che le spetta all’interno della Scuola di San Marco, ricongiungendo al Compianto sul Cristo morto esposto nel Refettorio grande e alle miniature dei due codici manoscritti conservati negli armadi della Sala Greca, tre lunette provenienti dal Cenacolo di San Salvi.

Il Compianto sul Cristo morto resta uno dei capolavori di Suor Plautilla, per finezza esecutiva, qualità della composizione e temperatura emotiva. Di grande effetto è la commozione palpabile dei personaggi radunati in contemplazione del corpo di Cristo, con gli occhi arrossati dal pianto, i volti rigati dalle lacrime e, sullo sfondo, un paesaggio fiabesco. Le tre lunette provenienti da San Salvi (Santa Caterina che riceve la visione di Cristo; Consegna del Rosario a San Domenico; Crocifisso con i simboli della passione) ci permettono, invece, di entrare nell’officina della pittrice e comprendere quale poteva essere la distribuzione del lavoro in Santa Caterina in Cafaggio. Meno riuscite delle tre opere più famose, o stilisticamente più naïf, sono forse attribuibili alle “discepole”, ma proprio per questo più interessanti. Rossella Lari, che ha restaurato tutta l’opera su tavola e su tela della Nelli, in un’intervista rilasciataci nel 2018 in occasione della presentazione della Crocifissione con i simboli della passione per la prima edizione dell’Eredità delle Donne, ci spiegava le peculiarità della pittura della monaca domenicana. Innanzitutto l’uso della tecnica ad olio, sperimentale in anni in cui la pittura a tempera era ancora prevalente. Poi la qualità della pennellata: carica di colore, energica, pesante, senza ripensamenti.

Plautilla Nelli e bottega, Crocifisso con i simboli della Passione, olio su tavola, Firenze, Museo di San Marco

La forza, anche fisica di Plautilla Nelli, è un dato che Rossella Lari ritiene essenziale nella sua pittura. Solo un’artista forte, ambiziosa, consapevole del suo talento, capace di coordinare il lavoro complesso di una bottega, con tutte le difficoltà gestionali che implicava, poteva imbarcarsi in un’impresa titanica come l’Ultima cena, una tela di 7 metri per 2, con personaggi dipinti a grandezza naturale. A chi obiettasse che, insomma, non è proprio un capolavoro, che le posture degli apostoli sono legnose (eh sì, usava il modello di legno della bottega di Fra Bartolomeo!); che prima di lei già Andrea del Castagno (1421-1457), Domenico Ghirlandaio (1448-1494), Perugino (1448-1523) e Andrea del Sarto (1486-1530), per citare i pittori più famosi del “canone” vasariano, si erano cimentati con questo soggetto, conseguendo risultati evidentemente migliori, bisogna rispondere che sì, è assolutamente vero: non si può certo falsificare la storia. Ma bisogna anche avere l’onestà intellettuale di riconoscere che a Suor Plautilla Nelli era capitato solo tre volte nella vita di realizzare pale d’altare di grande formato.

Quando in quell’intervista, con una punta di malizia, chiedemmo a Rossella Lari se avesse più senso parlare di Suor Plautilla rispetto alla storia dell’arte o rispetto ai Gender Studies, senza scomporsi, con il sorriso indulgente di chi ne ha sentite tante nella vita, rispose che si deve poter parlare comunque di tutti e di tutto, e che, dal suo punto di vista, non esistono opere di artisti o artiste che non valga la pena di restituire al pubblico. Perché, come diceva Jane Fortune, restaurare è svelare l’originaria verità di un’opera, per rispondere a ciò che l’arte richiede: essere condivisa.

Carmelo Argentieri

Rossella Lari mentre restaura l’Ultima Cena di Plautilla Nelli, 2019

Per saperne di più:

Serena Padovani (a cura di), L’età di Savonarola. Fra’ Bartolomeo e la Scuola di San Marco, Venezia, Marsilio, 1996

Jonathan K. Nelson (a cura di), Plautilla Nelli (1524-1588). The Painter-Prioress of Renaissance Florence, Firenze, 2008

Jane Fortune, Invisible Women: Forgotten Artists of Florence, Firenze, The Florentine Press, 2009

Anna Banti, Quando anche le donne si misero a dipingere, Milano, Abscondita, 2011

Fausta Navarro (a cura di), Plautilla Nelli, Arte e devozione sulle orme di Savonarola, Firenze, Sillabe, 2017

A. Assonitis, L. Cinelli, M. Tamassia, Fra Bartolomeo 1517, Firenze, Memorie domenicane, 2019

Linda Nochlin, Perché non ci sono state grandi artiste?, Roma, Castelvecchi, 2019

Flavia Luglioli, Artiste, Pisa, Barta, 2021

Daniela Brogi, Lo spazio delle donne, Torino, Einaudi, 2022

Melania G. Mazzucco, Self-portrait. Il museo del mondo delle donne, Torino, Einaudi, 2022

Katy Hessel, La storia dell’arte senza gli uomini, Torino, Einaudi, 2023

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