De ruina mundi: sdegno e passione nella prima poesia del giovane Savonarola

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A soli vent’anni, ancora studente laico a Ferrara, Girolamo Savonarola riversa il proprio tormento interiore e lo sdegno per la corruzione del mondo in una potente canzone di stampo petrarchesco, aspra, tagliente e priva di remore. Un grido rabbioso, giovanile ma già maturo, che preannuncia i toni e gli argomenti della futura predicazione da frate. Ne proponiamo una parafrasi in lingua corrente, a corredo del testo originale.

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DE RUINA MUNDI – LA ROVINA DEL MONDO 

Se non che pur è vero e così credo,

Rettor del mondo, che infinita sia

Toa providenzia; né già mai potria

Creder contra, perché ab experto el vedo;

Talor serìa via più che neve fredo,

Vedendo sottosopra volto el mondo

Ed esser spenta al fondo

Ogne virtute e ogne bel costume:

Non trovo un vivo lume,

Né pur chi de’ soi vizi se vergogni;

Chi te nega, chi dice che tu sogni.

Se la tua provvidenza, Signore del mondo, non fosse veramente infinita, come penso (né potrei mai credere il contrario, perché lo so per esperienza), talvolta mi sentirei più freddo persino della neve, vedendo che il mondo è sottosopra e ogni virtù e ogni buona consuetudine sono ormai spente: non trovo un animo virtuoso e nemmeno chi si vergogni dei propri vizi; c’è chi afferma che tu non esisti e c’è chi dice che tu sogni.

 

Ma credo che ritardi, o Re superno,

A maggior pena de’ soi gran defetti

On pur ch’è forsi appresso, e tu l’aspetti,

L’estremo dì che fa tremar l’inferno.

A noi virtù non tornarà in eterno:

Quivi se estima chi è de Dio nemico;

Catone va mendico;

Ne le man di pirata è gionto il scetro;

A terra va San Pietro;

Quivi lussuria ed ogne preda abunda,

Che non so come il ciel non si confunda.

Ma credo che tu stia attendendo, o Re del cielo, per castigare più duramente le loro gravi colpe, o perché forse è vicino, e tu lo aspetti, il giorno del giudizio finale che fa tremare i dannati. Qui da noi la virtù non farà più ritorno: in questo mondo si apprezza chi è nemico di Dio; chi è virtuoso come Catone è costretto a vivere di stenti; il potere è caduto nelle mani di un pirata; la Chiesa va in rovina; in questo mondo abbondano lussuria e ogni tipo di rapina, tanto che non so come il cielo non si confonda.

 

Non vedi tu il satirico mattone

Quanto è superbo ed è di vizi un fiume,

Che di gran sdegno il cor mi se consume?

Deh! mira quel cinedo e quel lenone

Di porpora vestito, un istrione

Che ’l vulgo segue e il cieco mondo adora!

Non ti ven sdegno ancora

Che quel lussurioso porco gode,

E le toe alte lode

Usurpa, [ha] assentatori e parasciti,

E i toi di terra in terra son banditi?

Non vedi quanto è superbo e pieno di vizi quel ragazzo lussurioso, tanto che il cuore mi si consuma per il grande sdegno? Ecco! Guarda quel giovane prostituto e quel pappone, vestito di porpora come un cardinale, un commediante che la gente segue e il cieco mondo adora! Non basta ad indignarti il fatto che quel porco lussurioso goda e usurpi le alte lodi che ti spettano, che abbia adulatori e parassiti, mentre i tuoi fedeli sono cacciati di città in città?

 

Felice or mai chi vive di rapina,

E chi de l’altrui sangue più se pasce,

Chi vedoe spoglia e soi pupilli in fasce

E chi di povri corre a la ruina!

Quella anima è gentil e peregrina,

Che per fraude o per forza fa più acquisto,

Chi spreza il ciel cum Cristo

E sempre pensa altrui cacciar al fondo;

Colui onora el mondo,

Che ha pien di latrocini libri e carte,

E chi d’ogne mal far sa meglio l’arte.

Felice ormai chi vive di rapina e chi più si nutre del sangue altrui, chi deruba le vedove e i loro orfani in fasce e chi corre a rovinare i poveri! È nobile e virtuosa quell’anima che più ottiene con l’inganno o con la violenza, assieme a chi disprezza il cielo e Cristo, e pensa sempre a far soccombere gli altri; il mondo onora colui che ha libri e documenti pieni di ruberie e chi conosce meglio l’arte di tutte le malefatte.

 

La terra è sì oppressa da ogne vizio,

Che mai da sé non levarà la soma:

A terra se ne va il suo capo, Roma,

Per mai più non tornar al grande offizio.

Oh! quanta doglia hai, Bruto, e tu, Fabrizio,

Se hai intesa questa altra gran ruina!

Non basta Catilina,

Non Silla, Mario, Cesaro o Nerone,

Ma quivi òmini e done,

Ogn’om si sforza dargli qualche guasto:

Passato è il tempo pio e il tempo casto.

Il mondo è così oppresso da ogni vizio, che, con le proprie forze, non riuscirà mai a liberarsi di tale peso: Roma, capo del mondo, cade a terra, e non tornerà mai più a compiere la sua grande missione. Oh! Quanto dolore provate voi, Bruto e Fabrizio, uomini virtuosi, se vi è nota quest’altra grande rovina! Non basta quanto hanno fatto Catilina, Silla, Mario, Cesare o Nerone, ma qui tutti, uomini e donne, si sforzano di far danno: è passato il tempo della devozione e della castità.

 

-Virtù mendica, mai non alzi l’ale-

Grida il vulgo e la ciecca gente ria;

Lusura si chiama or filosofia:

Al far bene ogn’om volta pur le spale:

Non è chi vada or mai per dritto cale:

Tal che ’l valor se agiaza che me avanzia:

Se non che una speranzia

Pur al tutto nol lassa far partita,

Ch’io scio che in l’altra vita

Ben si vedrà qual alma fo gentile

E chi alziò l’ale a più legiadro stile.

– Virtù miserabile, non ti alzi mai in volo – gridano il popolo e la cieca gente malvagia; ora la lussuria ha preso il nome di filosofia: tutti voltano le spalle alle buone azioni, non si trova più chi segua la retta via, tanto che si raggela la virtù che mi resta; tuttavia, una speranza non le permette di abbandonarmi del tutto, perché io so che nell’aldilà si vedrà bene quale anima è stata nobile e chi si è alzato in volo verso una vita più virtuosa.

 

Canzion, fa’ che sia acorta,

Che a purpureo color tu non te apogie;

Fugi palazi e logie

E fa’ che toa ragion a pochi dica,

Ché a tuto el mondo tu serai nemica.

Canzone, sta’ bene attenta, non affidarti a chi indossa vesti color di porpora, come i cardinali; sta’ lontana dai palazzi del potere e rivela i tuoi pensieri solo a pochi, perché sarai nemica di tutto il mondo.

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Spigolature

Le “liriche savonaroliane, per quanto in prevalenza collocabili presumibilmente negli anni della giovinezza, tra il 1470 e il 1484, costituiscono una delle voci più interessanti nel panorama della poesia non fiorentina e di area settentrionale del secondo Quattrocento” (Mario Martelli). Dei 14 componimenti ritenuti autentici (6 canzoni, 3 sonetti e 5 laudi), la canzone De ruina mundi (sei stanze di undici versi, endecasillabi e settenari) è datata 1472 e risulta la più antica, composta da un autore appena ventenne. All’epoca, Savonarola era studente presso l’Università di Ferrara, dove, dopo avere ottenuto il titolo di maestro nelle arti liberali, stava seguendo studi di medicina.

La maturità metrica e linguistica della prima lirica documentata suggerisce, necessariamente, un periodo di apprendistato negli anni dell’adolescenza, quando, come raccontano le fonti, Savonarola già si dedicava alla composizione di versi in volgare alla maniera toscana e all’utilizzo di strumenti musicali, in particolare il liuto.

Impossibile non pensare, anche per quanto attiene l’arte poetica, all’influenza esercitata dal nonno Michele, celebre medico padovano chiamato a Ferrara dagli Estensi, che introdusse il piccolo Girolamo agli studi umanistici e ad una visione della realtà intrisa di un rigoroso spiritualismo cristiano.

Nel De ruina mundi, come nelle altre liriche, la metrica e la lingua sono essenzialmente petrarchesche: il linguaggio amoroso del Canzoniere è utilizzato per affrontare temi morali e religiosi. Sono presenti, in misura minore, espressioni dantesche e immagini veterotestamentarie. Nel lessico si notano anche termini di origine settentrionale e modi di dire vicini alla lingua parlata.

La canzone è una condanna dei vizi e della corruzione della Chiesa e del mondo, dove prevalgono il male e l’iniquità. Solo il castigo divino, in questa o nell’altra vita, potrà fare giustizia. Vi si può leggere, innanzitutto, una critica alla curia papale di Sisto IV e alla corte ferrarese degli Estensi. Il testo si può anche interpretare come una più generica denuncia dei mali della società, di cui sono emblema alcuni tipi umani negativi, sul modello della satira latina, come quella di Persio e Giovenale. Indubbiamente, appare forte l’influenza dei tre sonetti in cui Petrarca attacca la curia papale di Avignone (Canzoniere, 136-138).

La canzone esprime già l’inquietudine spirituale che porterà Savonarola, tre anni più tardi, alla rinuncia al mondo e all’ingresso in convento. Sono evidenti le affinità, anche letterali, fra il De ruina mundi e un passo della nota lettera che Girolamo scriverà al padre, nel 1475, per spiegare le ragioni della sua scelta:

La rasone (ragione) la quale me muove ad intrar ne la religione (entrare in convento) è questa: prima, la gran miseria del mondo, la iniquitate de li homini, li stupri, li adulteri, li latrocini, la superbia, la idolatria, le biasteme crudele (bestemmie crudeli); ché el seculo (il mondo) è venuto a tanto che più non si trova chi facia bene (cfr. De ruina mundi, v. 9) … E questo perché io non potea patire (non potevo sopportare) la gran malitia (malvagità) di cecati populi de Italia (cfr. vv. 28, 57); e tanto più quanto io vedea le virtute essere spente al fondo (vedevo le virtù annientate, cfr. vv. 7-8) e i vizi soblevati (i vizi tenuti in grande onore).

Stefania Giorgetti

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Edizioni di riferimento

Girolamo Savonarola, Rime, a cura di Giona Tuccini, Il melangolo, Genova, 2015

Girolamo Savonarola, Poesie, a cura di Mario Martelli, Angelo Belardetti Editore, Roma, 1968

Girolamo Savonarola, Poesie, introduzione e note di Valentino Piccoli, UTET, Torino, 1926

Per saperne di più

Eugenio Marino, Le poesie del “giovane” Savonarola: De ruina mundi (1472) e De ruina ecclesiae (1475 ca). Rassegna critico-storiografica, in “Memorie domenicane”, XXX, 1999, pp. 375-446.

Mario Martelli, Savonarola poeta, in Una città e il suo profeta: Firenze di fronte al Savonarola, a cura di G. Garfagnini, SISMEL, Firenze, 2001, pp. 129-137.

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