Le sette parole di Cristo In Croce. Alcuni esempi nella letteratura teologica e devozionale del Medioevo

Nella breve orazione De septem verbis Christi in cruce di Beda il Venerabile (VIII sec.) – e nell’apocrifa Oratio devotissima de sancto Augustino, con cui si ritrova abbinata nei Libri d’Ore; nello pseudo-bernardiano, diffusissimo Liber de Passione Christi et dolore et planctu matris eius (oggi attribuito al cistercense Ogerio di Lucedio); nel lungo Tractatus de septem verbis Domini in cruce di Arnaut de Bonneval (Arnaldo di Bonnevalle, amico e biografo di Bernardo di Chiaravalle); nel Dialogus Beate Mariae de Passione Domini dello Pseudo-Anselmo (post 1240); nella Vitis mystica (un trattato sulla Passione) e nel De septem verbis Domini in cruce (un ritmo in versi latini) di san Bonaventura; restando in ambito francescano, nel Tractatus de missa dell’occitano Pietro di Giovanni Olivi (m. 1298), nei sermoni De septem verbis Domini in cruce di Gilberto di Tournai (m. 1284), nell’Arbor vitae crucifixae (vita Christi derivata dal Lignum vitae bonaventuriano, 1305) di Ubertino da Casale, e nelle celebri Meditationes vitae Christi dello Pseudo-Bonaventura (credute autografe fino al XIX secolo), composte dapprima in volgare italiano per una clarissa pisana e le sue consorelle ma destinate a una larghissima diffusione su scala europea nella versione ampliata in latino (attribuita al sangimignanese Fra Giovanni de’ Cauli) e nelle sue molteplici traduzioni. In ambito domenicano: nel più diffuso manuale di teologia scolastica del basso Medioevo, il Compendium theologicae veritatis di Hugues Ripelin di Strasburgo (m. 1268); nel commento all’Apocalisse di Hugues de Saint-Cher (cardinale e teologo, m. 1263); un lunghissimo resoconto nella Vita Christi del prima domenicano, poi certosino (dal 1339) Ludolfo di Sassonia, la più monumentale narrazione del genere (iniziata negli anni venti del Trecento); nello Specchio di vera croce del pisano Domenico Cavalca (1330 c.); nel cantare in ottava rima del senese Niccolò Cicerchia (seguace di santa Caterina da Siena); fino al priore di San Marco negli anni dell’Angelico, Antonino Pierozzi (nel Chronicon e nel Devotissimus trialogus), e in parte nel suo maestro, il fondatore di San Domenico di Fiesole Giovanni Dominici (nel Libro d’Amore di Carità). Delle Sette Parole è traccia anche nella tradizione letterario-drammaturgica, dalla Passion des jongleurs (XII-XIII sec.) ai Ludi de Passione Domini (contenuti nel celebre codice dei Carmina Burana, 1230 c.), e nella pratica confraternale degli offici del Giovedì e Venerdì Santo.

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