
Attendi qui diligentemente come fu posto in croce. Sono poste due iscale, l’una dirieto l’altra dal braccio manco della croce, su per le quali salgono i giustizieri co’ chiavelli e co’ martelli. È posto anche un’altra sicala piccola dal lato dinanzi. Pon ben mente ogni cosa. È incalciato messer Gesù sopra questa iscala piccola; ma egli sanza alcuna contencione fae ciò che vogliano. E quando fu in sullo scaglione di sopra, lo quale agiugnea infino colae dove dovea tenere i piedi, sì volse le reni alla croce, e aperse quelle sue braccia reali, e sparse le sue mani eccellentissime, bellissime, e porsele a’ suoi crucifissori; e levò gli occhi suoi in cielo al Padre, e disse: «Ecco, Padre mio, qui sono; tu hai volontà ch’io sia umiliato infino alla croce per amore dell’umana generazione: piacemi, e accettolo; e offero me medesimo per coloro gli quali tu hai voluto che sieno miei fratelli. E tu dunque, Padre mio, accetta questo sacrificio, e da quinci innanzi sie placabile per lo mio amore; e purga e parti da loro ogni vecchia macola. Io mi ti offero per loro». E colui ch’era dietro alla croce pigliò la mano sua diritta e conficcolla alla croce fortemente; e quelle ch’era dall’altra parte pigliò la sua mano manca, e tirolla lo più che potea, e tegnendola ferma, così distesa, l’altro la conficca crudelmente. E poi discesero in terra delle scale. E rimase il Signore del cielo in sulla croce così sospeso, ché solamente era sostenuto da quelli chiavelli ch’erono confitti nelle mani. E incontanente venne l’altro, e pigliogli gli piedi, e tirollo giuso quanto più potea, e intanto che parea che tutte l’ossa e’ nerbi si snodassero; e l’altro conficcò amendue i piedi l’uno sopra l’altro con un chiavello.
(da Le meditazioni sulla vita di Gesù Cristo, in Mistici italiani del Duecento e del Trecento, a cura di A. Levasti, Roma-Milano 1935, pp. 458-461)