La predella “delle due Agnesi” di Beato Angelico. Una proposta per la Pala di San Pietro Martire

Alle Monache di San Piero Martire, che oggi stanno nel monasterio di San Felice in Piazza, il quale era dell’Ordine di Camaldoli, fece in una tavola la Nostra Donna, S. Giovanni Battista, San Domenico, San Tommaso e San Piero martire con figure piccole assai (Giorgio Vasari, Vita di Fra’ Giovanni da Fiesole pittore, 1568).

Il cosiddetto “trittico” dipinto da Beato Angelico per il monastero domenicano femminile di San Pietro Martire, in realtà una “pala” che nella forma già prefigura la rinascimentale tabula quadra, nel corso degli ultimi anni è stato oggetto di una meritata rivalutazione critica che ne ha fatto un caposaldo della prima affermazione del nuovo linguaggio del Quattrocento, non più tardo-gotico. In particolare, ne è stata ribadita la stretta relazione stilistica e compositiva con Masaccio, non solo con la Sant’Anna Metterza del 1424-25, ma anche, soprattutto ultimamente, con il Trittico di San Giovenale del 1422. Questi accostamenti hanno indotto a ripensare la cronologia dell’opera, che sulla base di un documento del 30 marzo 1429, che attesta un debito ancora in essere delle monache, è tradizionalmente collocata a qualche tempo prima, tra il 1425 e il 1429. Secondo le proposte più recenti, invece, la pala viene decisamente retrodatata al 1422-23 (Kanter, Tartuferi) o al 1421-22 (Strehlke), coeva o addirittura precedente al Trittico di San Giovenale. A questo proposito, ricordo quando, al Museo di San Marco, mi permettevo di scherzare con l’allora Direttore Tartuferi: «Di questo passo, la prossima mostra sarà intitolata “L’Angelico maestro di Masaccio”!».

Beato Angelico, Pala di San Pietro Martire, Museo di San Marco, Firenze (tavola principale) e The Courtauld Gallery, London (predella). (Foto dell’autore)

In questo contributo, vorrei soffermarmi sulla predella, riunita eccezionalmente alla tavola principale in occasione della mostra fiorentina in corso a Palazzo Strozzi e al Museo di San Marco. Divisa in tre scomparti e dispersa sul mercato, entrò a far parte della collezione Gambier-Perry e fu poi acquisita dalla The Courtauld Gallery di Londra; attribuita all’Angelico da Roberto Longhi (1940), venne associata al Trittico di San Pietro Martire da Umberto Baldini (1970), seguito da Pope-Hennessy (1974).

Beato Angelico, Pala di San Pietro Martire, particolare della predella; scomparto centrale con l’Uomo dei Dolori (al centro), Maria Maddalena e Giovanni Apostolo, The Courtauld Gallery. (Foto dell’autore)
Beato Angelico, Pala di San Pietro Martire, particolare della predella; scomparto sinistro con una santa monaca domenicana e Santa Cecilia, The Courtauld Gallery. (Foto dell’autore)
Beato Angelico, Pala di San Pietro Martire, particolare della predella; scomparto destro con Santa Caterina di Alessandria e Santa Agnese, The Courtauld Gallery. (Foto dell’autore)

Entro un’incorniciatura dorata e decorata in pastiglia, sette piccoli tondi a fondo oro raffigurano: nello scomparto centrale, Cristo Vir dolorum, L’Uomo dei dolori che si erge dal sepolcro con le ferite e gli oggetti della Passione (la lancia e una canna con la spugna), affiancato dai dolenti Maria Maddalena e Giovanni Apostolo; nei pannelli laterali, due coppie di sante, a sinistra una monaca domenicana e una martire (tiene una foglia di palma), a destra le vergini martiri Caterina di Alessandria e Agnese di Roma.

Non vi sono dubbi che la santa martire nello scomparto di sinistra sia da identificare con Cecilia (senza punti interrogativi, come ancora in Strehlke 2019), e non con Dorotea, come talvolta si legge sulla scia di Baldini (1970), che, in alternativa, proponeva anche Rosalia.

Beato Angelico, Tabernacolo-reliquiario di Santa Maria Novella con l’Annunciazione e l’Adorazione dei Magi, Museo di San Marco; particolare della predella con le sante Agnese, Cecilia e Dorotea. (Foto dell’autore)

Mi pare risolutivo il confronto, suggerito da Laurence Kanter (Kanter 2005), con la predella “tutta femminile” del Tabernacolo con l’Annunciazione e l’Adorazione dei Magi da Santa Maria Novella (1425 c.), in cui, nella serie di sante con i nomi ben leggibili, se l’attributo dei fiori accomuna Dorotea e Cecilia, raffigurate l’una di fianco all’altra, la prima è velata e regge un cesto di rose bianche, mentre la seconda, con la palma in mano, ha sulla testa un serto di rose bianche e rosse, proprio come nella predella di San Pietro Martire. In altre opere dell’Angelico, troviamo la stessa raffigurazione di Santa Cecilia nella predella della Pala di Fiesole (1420-23), nel Tabernacolo con l’Incoronazione della Vergine da Santa Maria Novella (primi anni Trenta), nell’Incoronazione della Vergine di Fiesole (1432-34), nel Paradiso per Santa Maria Nuova (1435 c.).

Beato Angelico, Pala di San Pietro Martire, particolare della predella; scomparto sinistro con una santa monaca domenicana, The Courtauld Gallery. (Foto dell’autore)

Non mi pare condivisibile, invece, nel primo tondo da sinistra, l’identificazione della monaca domenicana con Santa Margherita di Ungheria (Strehlke 2018, 2019, seguito da Tartuferi 2022b, 2025b), e ne vedremo le ragioni. Giustamente Strehlke, come anche in precedenza Ann Roberts (Roberts 2008), rifiuta di riconoscervi Santa Caterina da Siena (come si legge in Spike 1996, Bonsanti 1998, Kanter 2005, Scudieri 2007): la figura è infatti in abito da monaca, con il velo nero, mentre Caterina vestiva l’abito dell’Ordine della penitenza, laicale, antesignano del Terz’Ordine, che prevedeva il velo bianco. Caterina da Siena, con il velo bianco, è dipinta da Beato Angelico nella predella della Pala di Fiesole (1420-23), assieme ad altre tre “terziarie”; nella predella del Tabernacolo con l’Annunciazione e l’Adorazione dei Magi da Santa Maria Novella (1425 c.); in un pilastro della Pala di Perugia (1437-43 c.).

Beato Angelico, Pala di Fiesole, particolare della predella (National Gallery, London), con le beate “terziarie” domenicane: la prima da sinistra con il libro rosso è Caterina da Siena. (www.nationalgallery.org.uk Licenza immagine CC BY-NC-ND 4.0)

Una proposta diversa, che apre una nuova prospettiva di lettura, è quella di Diane Cole Ahl (Cole Ahl 2008, Roberts 2008), che identifica la monaca domenicana con la Beata Chiara dei Gambacorti, o Gambacorta, illustre famiglia di Pisa, figlia di Pietro signore della città. Rimasta vedova giovanissima, Tora (il suo nome secolare) conobbe a Pisa Caterina da Siena, di cui diventò figlia spirituale e che le suggerì la vita monastica; dopo una breve esperienza da clarissa, da cui il nome religioso di Chiara, entrò come monaca nell’Ordine domenicano. Al pari dei più noti confratelli Raimondo da Capua e Giovanni Dominici, con i quali era in rapporto, sostenne la riforma dell’Ordine fondando a Pisa il primo monastero osservante femminile, intitolato a San Domenico, che divenne un modello per i monasteri riformati, tra cui quello veneziano del Corpus Christi istituito da Giovanni Dominici e quello romano di San Sisto. Chiara morì nel 1419, quando a Firenze, sull’esempio pisano, stava nascendo il monastero osservante di San Pietro Martire, da cui proviene la pala di Beato Angelico.

Beato Angelico, Pala di San Pietro Martire, Museo di San Marco, Firenze (tavola principale) e The Courtauld Gallery, Londra (predella). (Foto dell’autore)

Grazie ad una donazione della famiglia da Uzzano e di Margherita della famiglia Spini, nel 1417 era stato acquistato un palazzo con orti nel popolo di San Pier Gattolino, non lontano da Porta Romana, per costruirvi un monastero di monache domenicane intitolato a San Pietro Martire, la cui istituzione fu approvata l’anno seguente da una Bolla di Papa Martino V. A governare la nuova fondazione, con il beneplacito del maestro generale dell’Ordine Leonardo Dati, venne posto un frate domenicano legato all’Osservanza, Andrea di Giovanni da Palaia del convento pisano di Santa Caterina, che agli inizi del secolo era stato priore a Cortona e poi divenne confessore, procuratore e sindaco del monastero di San Domenico a Pisa, di cui era priora Chiara Gambacorti; proprio dal monastero pisano, tra il 1419 e il 1420, con approvazione papale furono inviate a Firenze alcune monache, da due a quattro secondo le versioni, per istruire le altre e assumerne il priorato. Frate Andrea da Palaia, che fu poi trasferito nel convento fiorentino di Santa Maria Novella, si trovò così ad amministrare, a Pisa e a Firenze, i due monasteri dell’osservanza femminile: vicarium generalem in temporalibus et spiritualibus monasterii sancti dominici (di Pisa) ac etiam monasterii sancti petri martirii de Florentia (Duval 2009, p.15). Frate Andrea rimase procuratore e sindaco del monastero fiorentino per circa venti anni, dopodiché l’incarico passò a due frati del convento di San Marco, prima Benedetto Domenichi e poi Giovanni da Mantova.

Il nuovo monastero di San Pietro Martire non tardò ad attirare esponenti di famiglie nobili fiorentine, nubili e vedove, tra le quali, dal 1421, Piera dell’Offa, Maddalena Usimbardi e, dopo la morte del marito Bartolomeo Baldesi, la stessa Margherita di Giovanni Spini che ne aveva finanziato la fondazione e che poi, come anche i da Uzzano, aveva rinunciato al patronato. Margherita entrò in monastero con una cospicua dote e nel 1422 vi dettò il suo testamento (fra i testimoni c’era anche Frate Andrea da Palaia), che prevedeva la richiesta di esservi sepolta, la liberazione della sua serva Lucia e, in mancanza di eredi legittimi tra i familiari, la nomina del monastero come destinatario dei suoi beni. Contestualmente, anche suo fratello Scolaio Spini faceva testamento ribadendo alcuni diritti della famiglia sul monastero e, al contempo, nominandolo fra gli esecutori testamentari. L’anno precedente, lo stesso Scolaio era intervenuto facendo da garante per un debito di Bartolomea Zanobi con l’Opera del Duomo, dopo che Frate Andrea, amministratore dei beni della donna, verosimilmente entrata in monastero, era stato arrestato dai Capitani del Popolo.

Tutti questi elementi mostrano da un lato la partecipazione delle famiglie nobili fiorentine, soprattutto i da Uzzano e gli Spini, alla nascita e allo sviluppo iniziale del monastero; dall’altro, su un piano di storia religiosa, evidenziano una sorta di “filiazione” della nuova fondazione dal monastero di Pisa e un forte legame con la riforma domenicana, nello spirito di Chiara Gambacorti e sotto la direzione dei frati dell’Osservanza, in particolare Frate Andrea da Palaia.

Beato Angelico, Pala di San Pietro Martire, particolare della predella con una santa monaca domenicana, Santa Cecilia e Santa Maria Maddalena, The Courtauld Gallery. (Foto dell’autore)

Da quanto detto, si comprende come Carl Brandon Strehlke, seguito da Angelo Tartuferi, abbia voluto mettere in relazione i nomi di due sante della predella con due nobildonne fiorentine entrate in monastero, collegando la figura di Santa Maria Maddalena a Maddalena Usimbardi e identificando la monaca domenicana del primo tondo con Santa Margherita, figlia del re d’Ungheria, in riferimento a Margherita Spini (Strehlke 2018, 2019; Tartuferi 2022b, 2025b).

Il problema è che, come rilevato onestamente anche da Strehlke, nella predella della Pala di Fiesole (1420-23), nel gruppo delle quattro beate monache domenicane che partecipano alla gloria di Cristo, alcune riconoscibili da piccole iscrizioni, Margherita d’Ungheria è raffigurata con le mani alzate a mostrare le stimmate (raggianti), del tutto assenti nella predella fiorentina.

Beato Angelico, Pala di Fiesole, particolare della predella (National Gallery, Londra) con le beate monache domenicane: la prima da destra è Margherita d’Ungheria, raffigurata con le stigmate. (www.nationalgallery.org.uk Licenza immagine CC BY-NC-ND 4.0)

Mi pare poco probabile che nella predella di San Pietro Martire, pressoché coeva a quella di Fiesole, la stessa monaca beata possa essere raffigurata senza un attributo così importante come le stimmate, che, oltretutto, caratterizzano Margherita in diversi esempi italiani di XIV-XV secolo (Klaniczay 1995, 2002, 2009); fra questi, l’attestazione più antica è nella tavola delle “Effigi domenicane” (1335-40 c.), opera emblematica del convento fiorentino di Santa Maria Novella, che Beato Angelico non poteva certamente ignorare. Dubito, pertanto, che la santa monaca della predella possa essere identificata con Santa Margherita di Ungheria.

Maestro delle Effigi domenicane, Cristo e la Vergine in gloria e diciassette santi e beati domenicani, cappella del convento di Santa Maria Novella, Firenze (particolare). Santa Margherita d’Ungheria, con le stimmate, è la prima figura in basso a sinistra. (Fonte immagine: Wikimedia)

Del resto, anche la presenza nella predella di Maria Maddalena, senza bisogno di pensare a collegamenti con nobildonne legate al monastero, è ben spiegabile per l’importanza che l’“Apostola degli Apostoli” ha sempre avuto nella tradizione domenicana (si pensi, ad esempio, a quanto le fu devota Caterina da Siena o alla centralità negli affreschi di Beato Angelico a San Marco); lo stesso discorso vale anche per Caterina di Alessandria, notoriamente fra i santi patroni dell’Ordine.

Ciò detto, mi sembrano semmai più plausibili alcune connessioni con le fondazioni domenicane di Pisa, strettamente legate, come abbiamo visto, alla nascita del monastero fiorentino.

Maria Maddalena, ad esempio, è fra i quattro santi che affiancano la Vergine col Bambino in quello che, probabilmente, era il polittico per l’altare maggiore nella chiesa del monastero di Chiara Gambacorti, opera attribuita a Martino di Bartolomeo in collaborazione con Giovanni di Pietro da Napoli (1404). Dallo stesso monastero proviene una tavola con il Matrimonio mistico di Santa Caterina di Alessandria, attribuito a Giovanni di Pietro da Napoli (1403). A Santa Caterina di Alessandria, soprattutto, è intitolato il convento dei frati domenicani di Pisa, nella cui chiesa, lo splendido polittico dipinto da Simone Martini per l’altare maggiore (1320) mostra Maria Maddalena e Caterina di Alessandria fra i sei santi principali.

Simone Martini, Polittico del convento di Santa Caterina d’Alessandria, Museo Nazionale di San Matteo, Pisa. (Fonte immagine: Pagina Facebook “Museo Nazionale di San Matteo Pisa”)
Martino di Bartolomeo e Giovanni di Pietro da Napoli, Polittico del monastero di San Domenico, Museo Nazionale di San Matteo, Pisa. (Immagine pubblicata per gentile concessione della Direzione regionale Musei Toscana)

Secondo William Hood, la predella della Pala di San Pietro Martire, con l’Uomo dei dolori al centro affiancato da santi, “non è dissimile dalla predella del polittico pisano di Simone Martini, dove l’Uomo dei dolori appare in questa posizione per la prima volta, affiancato non da scene narrative ma da figure di santi a mezzo-busto. Questa inflessione verso un modello che non poteva non essere familiare alle monache di San Pietro Martire, portò di conseguenza a spostare le scene narrative (le storie di San Pietro Martire) in una collocazione inusuale, se non unica (in alto fra le cuspidi)” (Hood 1993, pp. 74-5; mia trad.). Anche per Ann Roberts, la presenza a Firenze di monache esperte provenienti dal monastero di Chiara Gambacorti potrebbe avere suggerito all’Angelico, per la Pala di San Pietro Martire, alcuni richiami ai due polittici domenicani di Pisa, quello della chiesa dei frati di Santa Caterina e, soprattutto, quello della chiesa delle monache di San Domenico, simile alla tavola fiorentina sia nella struttura, sia nelle dimensioni di Maria e del Bambino, più grandi delle altre figure (Roberts 2008, pp. 168-170).

Tornando al problema dell’identificazione della santa monaca della predella, abbiamo visto che Diane Cole Ahl vi riconosce la promotrice dell’Osservanza femminile domenicana, la Beata Chiara Gambacorti (Cole Ahl 2008). Come discusso da Ann Roberts (Roberts 2008), la proposta è interessante ma debole in mancanza di confronti iconografici dirimenti. Le uniche raffigurazione della Gambacorti negli anni della predella di San Pietro Martire provengono dalla sua tomba nel coro delle monache nella chiesa di San Domenico a Pisa: la lastra funeraria a rilievo (1420 c.) e una Crocifissione attribuita a Turino di Vanni (1430 c.), con San Domenico e una beata monaca domenicana, verosimilmente Chiara.

Turino di Vanni, Crocifissione, affresco, particolare con la Beata Chiara Gambacorti, Chiesa del monastero di San Domenico, Pisa. (Fonte immagine: Wikipedia)

A dire il vero, questa figura, con le mani giunte in preghiera, più che alla figura della predella fiorentina, mi sembra simile ad una delle monache beate, priva di iscrizione identificativa, nella predella della Pala di Fiesole.

Beato Angelico, Pala di Fiesole, particolare della predella (National Gallery, London) con le beate domenicane: la monaca al centro, senza iscrizione identificativa, potrebbe essere Chiara Gambacorti. (www.nationalgallery.org.uk Licenza immagine CC BY-NC-ND 4.0)

Il fatto è che, come scrive Ann Roberts, “non c’è alcuna prova per affermare che Beato Angelico conoscesse Chiara (…). Il culto di Chiara Gambacorti sembra essere stato per lo più confinato a Pisa” (Roberts 2008, p. 97; mia trad.).

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A questo punto, a mio parere, si può percorrere anche un’altra strada. Nella Summa Historialis Sant’Antonino elenca i monasteri femminili della Provincia romana, fra i quali, oltre a quello di San Pietro Martire di nuova istituzione, in Montepulciano nel distretto di Firenze un monastero dove riposa la Beata Agnese monaca di quel monastero che rifulse per santità e miracoli (p. 3, tit. 23, cap. 13, par. 3; mia trad.). Proprio Sant’Agnese Segni da Montepulciano, secondo me, potrebbe essere la monaca domenicana, dall’identità incerta, raffigurata nella predella di San Pietro Martire.

Agnese Segni (Montepulciano 1268c.-1317), di nobile famiglia poliziana, ancora bambina entrò nel monastero delle suore “del Sacco” e, a soli quindici anni, per le sue virtù fu eccezionalmente eletta badessa di una nuova fondazione di “Saccate” a Proceno, nel viterbese. Già in fama di santità e di miracoli, nel 1306 fece ritorno a Montepulciano, dove fondò un monastero intitolato a Santa Maria Novella, poi associato al Secondo Ordine domenicano, che diresse fino alla morte.

Il confronto fra la figura della predella di San Pietro Martire e il gruppo delle monache beate nella predella di Fiesole mi sembra confermare questa identificazione.

Beato Angelico, Pala di Fiesole, particolare della predella (National Gallery, London) con le beate monache domenicane: al centro, fra Sibillina Biscossi (?) e Margherita d’Ungheria, è raffigurata Agnese da Montepulciano. (www.nationalgallery.org.uk Licenza immagine CC BY-NC-ND 4.0)

Collocata fra Margherita di Ungheria, con le stimmate, e una monaca con le mani giunte (l’iscrizione, difficile da sciogliere, è stata letta per lo più come Sibillina Biscossi che però era una terziaria), Agnese da Montepulciano (b. Agnes) è raffigurata quasi frontalmente, volta all’indietro come a sottrarsi alla visione beatifica, con gli occhi in alto ad esprimere pathos ed estasi. Il dettaglio rivelatore, a mio parere, sono le mani lievemente incrociate sul petto, un gesto di intimo coinvolgimento che caratterizza anche la figura della predella di San Pietro Martire, simile a questa anche nel volto: naso largo, labbra pronunciate, occhi grandi e pensosi, in questo caso rivolti verso il basso.

Beato Angelico, Pala di Fiesole, particolare della predella (National Gallery, London) con le beate monache domenicane: la prima da destra è Agnese da Montepulciano. (www.nationalgallery.org.uk Licenza immagine CC BY-NC-ND 4.0)
Beato Angelico, Pala di San Pietro Martire, particolare della predella (The Courtauld Gallery, London): la santa monaca domenicana è simile ad Agnese da Montepulciano della predella di Fiesole. (Foto dell’autore)

Ai tempi dell’Angelico, l’immagine di Agnese Poliziana era ancora rara e poco definita. Per un confronto, in assenza di studi iconografici specifici, mi sembrano importanti le miniature che, in tre codici di primo Quattrocento, illustrano la Legenda Beate Agnetis virginis de Monte Policiano, opera giovanile del celebre domenicano Raimondo da Capua, direttore spirituale e poi discepolo di Caterina di Siena, nonché suo primo biografo, Maestro generale dell’Ordine e promotore della riforma dell’Osservanza. Fra i suoi primi incarichi, nel 1363 gli fu affidata la rettoria del monastero di Montepulciano, dove, grazie alle testimonianze di chi aveva conosciuto Agnese e ad alcuni documenti notarili, ne scrisse un’ampia Legenda (1365-66), divisa in tre parti precedute da un prologo: infanzia e vita religiosa a Proceno; vicende e miracoli nel monastero di Montepulciano; miracoli dopo la morte.

Alla Legenda di fra Raimondo, unica fonte biografica (una Vita più antica andò forse perduta), si deve la definitiva assimilazione di Agnese Segni, “contesa” anche da Agostiniani e Serviti, all’Ordine dei Predicatori, che qualche anno dopo la sua morte assunsero la rettoria del monastero cambiandone l’intitolazione, da Santa Maria Novella a Santa Agnese (anche se la canonizzazione avvenne solo nel 1726). Successivamente, narrando la vita di Caterina da Siena, fra Raimondo racconterà la grande devozione per Agnese della mistica senese (Legenda maior, cap. 12, parr. 325-330). È pur vero, come scrive Lucia Simonato, che “A differenza della Legenda maior cateriniana (…) la vicenda della suora poliziana (e così la circolazione della sua biografia) non oltrepassò la sfera d’influenza toscana dei padri predicatori che, anche grazie alla leggenda di Raimondo, avevano rivendicato già dal tardo Trecento sia l’appartenenza della suora al loro Ordine, sia la gestione del convento monacale di Montepulciano” (Simonato 2010).

I tre codici in esame, con le più antiche versioni della Legenda (Nocentini 2001, pp. XXXV-XXXIX), presentano sette miniature, quattro figurate e tre istoriate (iniziali “A” delle parole “Agnese” o “Agnello”), ad evidenziare gli incipit dei tre prologhi e del primo capitolo. In tutti i casi, Agnese indossa l’abito delle monache domenicane, con veste bianca, velo e cappa neri.

ASDBg, Fondo del Capitolo della Cattedrale di Bergamo, sezione documentaria, n. 1042, c. 1r, Agnus ille immaculatus et innocens (Per gentile concessione).

Il codice di Bergamo, realizzato probabilmente a Venezia nello scriptorium di fra Tommaso da Siena detto Caffarini, noto promotore della canonizzazione di Caterina da Siena, e conservato presso il convento veneziano dei SS. Giovanni e Paolo, presenta un’unica miniatura figurata (c. 1r, Agnus ille immaculatus et innocens) in cui Agnese, con aureola raggiata dei beati, tiene un libro e un giglio stilizzato, simbolo di verginità e purezza: un’immagine simile a quella della prima miniatura del codice di Siena (v. sotto); nell’iconografia dei santi domenicani, il giglio è fra gli attributi primari di San Domenico e di Santa Caterina da Siena. Datato fra il 1409 e il 1416, il codice di Bergamo include anche la Legenda di Santa Margherita d’Ungheria (ASDBg, Fondo del Capitolo della Cattedrale di Bergamo, sezione documentaria, n. 1042; Nocentini 2001).

Montepulciano, Archivio Storico Diocesano, Archivio Capitolare s.n. “3” (Conventus S. Agnetis Romanae Provinciae, 132), c. 1r, Agnus ille immaculatus et innocens (Per gentile concessione).
Montepulciano, Archivio Storico Diocesano, Archivio Capitolare s.n. “3” (Conventus S. Agnetis Romanae Provinciae, 132), c. 2r, Agnes virgo nobilis devotione et fide (Per gentile concessione).

Nel codice di Montepulciano, proveniente dal convento di S. Agnese di Montepulciano e variamente datato tra il 1395 c. e il primo quarto del ‘400, troviamo due miniature figurate (c. 1r, Agnus ille immaculatus et innocens; c. 2r, Agnes virgo nobilis devotione et fide), attribuite ad un seguace di Taddeo di Bartolo, in cui Agnese regge un disco di colore rosso (simile ad una patena eucaristica), su cui è raffigurato l’Agnello crucifero, simbolo di Cristo. L’attributo dell’agnello deriva, per omonimia, dalla nota iconografia di Sant’Agnese, vergine e martire romana; l’agnello crucifero e la patena sembrano richiamare la Santa Agnese nella Maestà di Duccio da Boninsegna per il Duomo di Siena (1308-1311). (Montepulciano, Archivio Storico Diocesano, Archivio Capitolare s.n. “3”; Nocentini 2001, Freuler 2002).

Codice K.VII.1, c. 2r, Agnus ille immaculatus et innocens, © Biblioteca comunale degli Intronati, Istituzione del Comune di Siena. È vietata ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo.
Codice K.VII.1, c. 3r, Agnes virgo nobilis devotione et fide, © Biblioteca comunale degli Intronati, Istituzione del Comune di Siena. È vietata ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo.
Codice K.VII.1, c. 13r, Agnum paschalem, © Biblioteca comunale degli Intronati, Istituzione del Comune di Siena. È vietata ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo.
Codice K.VII.1, c. 21r, Agni triumphatoris, © Biblioteca comunale degli Intronati, Istituzione del Comune di Siena. È vietata ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo.

Il codice di Siena, posseduto dal convento senese di San Domenico e datato agli inizi del XV secolo (1405 c.), presenta quattro iniziali “A”, una figurata e tre istoriate, attribuite a Martino di Bartolomeo: Agnese tiene in mano un giglio (c. 2r, Agnus ille immaculatus et innocens; simile alla miniatura di Bergamo, v. sopra, ma senza libro); Agnese riceve dalla Vergine tre piccole pietre per la fondazione di una chiesa in suo onore (c. 3r, Agnes virgo nobilis devotione et fide); Agnese afferra una piccola croce dal collo di Gesù Bambino (c. 13r, Agnum paschalem); Agnese riceve la Comunione da un angelo (c. 21r, Agni triumphatoris). (Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati K.VII.1; Nocentini 2001, Freuler 2002, Simonato 2010).

Anche se il confronto non è del tutto risolutivo, mi sembra che nell’ultima miniatura del codice senese, la Comunione servita da un angelo (c. 21r), il gesto di Agnese Poliziana, che incrocia le mani e le braccia sul petto, possa avere suggerito a Beato Angelico la posizione delle mani di Agnese nella predella di Fiesole e, analogamente, nella monaca della predella di San Pietro Martire, a conferma della sua identificazione con Agnese da Montepulciano.

Codice K.VII.1, c. 21r, Agni triumphatoris, © Biblioteca comunale degli Intronati, Istituzione del Comune di Siena. È vietata ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo.
Beato Angelico, Pala di Fiesole, particolare della predella (National Gallery, London) con le beate monache domenicane: la prima da destra è Agnese da Montepulciano. (www.nationalgallery.org.uk Licenza immagine CC BY-NC-ND 4.0)
Santa monaca domenicana. Beato Angelico, Pala di San Pietro Martire, particolare della predella, The Courtauld Gallery, London. (Foto dell’autore)

La miniatura senese, in realtà, condensa due episodi simili della Legenda: a Proceno, presso un albero di ulivo, allusione all’orto del Getsemani, Agnese assorta in preghiera riceve da un angelo l’Ostia della Messa domenicale (avverrà per dieci domeniche consecutive, Legenda I, 9); a Montepulciano, le appare un angelo che la conduce per mano presso un ulivo (di nuovo il Getsemani) e le offre il calice dicendo “Bevi, sposa di Cristo, questo calice che il Signore Gesù Cristo ha bevuto anche per te” (avverrà per nove domeniche consecutive, per prepararla alla malattia e alla morte, Legenda II, 5).

Silvia Nocentini (Nocentini 2001, pp. XXIV e segg.) sottolinea che i tre prologhi della Legenda, sulla base di una presunta etimologia del nome Agnes (Agnese) derivato da Agnus (Agnello), sono collegati da un preciso motivo conduttore: l’assimilazione di Agnese (Agnes) all’Agnus Dei, cioè a Cristo, resa possibile in quanto Agnese è agna (agnella) che diventa sponsa Agni (sposa dell’Agnello). “L’autore – spiega la studiosa – pone in primo piano in ciascuno dei tre prologhi l’Agnus Dei, a ribadire il modello che vuole proporre, e all’interno della Leggenda sviluppa la similitudine Cristo-Agnese, come emerge dal miracolo della moltiplicazione dei pani e della trasformazione dell’acqua in vino”, a cui si aggiunge il duplice episodio della Comunione servita da un angelo presso l’ulivo della Passione. Se il parallelismo fra Agnese e Cristo è il fondamento della narrazione della Legenda, vi si trovano anche, in misura minore, analogie con la vita di San Domenico e, in un passo, l’accostamento all’omonima celebre martire romana, nelle parole di una pia donna in visita al monastero di Proceno (Legenda I, 2): “per rivelazione divina, predico che, come Agnese martire, i cui resti riposano a Roma, fu venerata per prima con il nome di Santa Agnese, così questa ragazza farà prosperare lo stesso nome nella Chiesa militante”.

Santa Agnese di Roma, vergine e martire, costituiva un modello tradizionale di perfezione religiosa in contesti femminili e per questo, considerate le monache destinatarie, è raffigurata nell’ultimo tondo a destra nella predella di San Pietro Martire. Se la figura del primo tondo fosse, come credo, Agnese da Montepulciano, il parallelismo fra le due “Agnesi” proposto dalla Legenda, che abbiamo visto essere anche iconografico nel codice di Montepulciano in cui la Poliziana regge un agnello, aggiungerebbe alla predella di Beato Angelico un ulteriore spunto di lettura.

Beato Angelico, Pala di San Pietro Martire, particolare della predella; scomparto sinistro con una santa monaca domenicana e Santa Cecilia, The Courtauld Gallery. (Foto dell’autore)
Beato Angelico, Pala di San Pietro Martire, particolare della predella; scomparto destro con Santa Caterina di Alessandria e Santa Agnese, The Courtauld Gallery. (Foto dell’autore)

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C’è un ulteriore elemento che mi sembra avvalorare l’identificazione della santa monaca della predella con Agnese da Montepulciano: la profonda devozione che per lei ebbe Caterina da Siena e la sua predilezione per il monastero di Sant’Agnese, dove entrarono due sue nipoti, e che sostenne sollecitando aiuti e ottenendo dal papa l’indulgenza plenaria per le monache.

Gloriosa vergine santa Agnesa, Agnesa dolce, la mia Santa Agnesa, così Caterina in alcune lettere. Nella Legenda maior, Raimondo da Capua riferisce: “A me e all’altro confessore Caterina aveva confidato una rivelazione nella quale le era stato preannunciato che nel regno dei cieli le era stata assegnata come compagna la beata Agnese da Montepulciano e sarebbe stata innalzata al suo stesso stato di gloria” (p. II, cap. 12, par. 325). Lo stesso riporta Tommaso da Siena nel Libellus de supplemento, quando, durante un’estasi, Caterina disse: “Ti ringrazio, o mio Signore, di avermi mostrato il posto che sarà mio, vicino alla mia sorella s. Agnese” (p. 2, cap. III). Caterina si recò a venerare il corpo di Agnese in due occasioni, nel 1374 e nel 1377, volendo “saggiare, già in questa vita, le dolcezze dell’eterna amicizia con lei” (L. maior, p. II, cap. 12, par. 325): la prima volta quando, mentre Caterina si chinava per baciarle i piedi, un piede si sollevò prodigiosamente verso di lei (parr. 327-28); la seconda volta quando, conducendo in monastero Nanna ed Eugenia, figlie di un suo fratello, baciò il capo di Agnese e una manna bianca cadde dall’alto, come soleva accadere ad Agnese specialmente quando pregava (parr. 329-330).

In diverse lettere, Caterina esalta Agnese come modello di perfezione per monache e terziarie: “Stìanti a mente i modi che quella gloriosa vergine santa Agnesa faceva tenere a le figliuole sue” (Lett. 26, A suor Eugenia sua nipote nel monastero di Santa Agnese); “(…) scrivo a te (…) con desiderio di vedere te e l’altre seguitare le vestigie della madre vostra santa Agnesa gloriosa; e di questo vi prego e voglio, che la dottrina e modi suoi voi seguitiate”: umiltà, carità, povertà volontaria, “Sì che (…) Agnesa dolce spogliasi di sé medesima e vestesi di Cristo crocifisso (…) e così v’obliga e voi dovete tenere (…). Così “sarete (…) spose solicite e non negligenti; e meritarete d’essere ricevute da Cristo crocifisso” (Lett. 58, a suor Cristofana priora del monastero di Santa Agnese); “O dilettissime figliuole mie, imparate da questa vergine santa Agnesa”: umiltà, carità, perseveranza, le stesse virtù di Santa Maria Maddalena. “E singularmente comando a voi, monna Agnesa, figliuola mia, che voi vi leghiate a questa vergine santa Agnesa” (Lett. 61, A Monna Agnesa vedova di Orso Malavolti); “Ora dico io a voi, che voi non diciate solamente con la lingua, ma col cuore e con grandissimo desiderio, congregate insieme dinanzi a quella gloriosa vergine Agnesa, madre di molte ignoranti figliuole, intanto che Dio e ella ponga remedio alla ignoranzia e freddezza vostra, acciò che io vi possa vedere spose tutte fiorite di vere e reali virtù, seguitando la dottrina del sommo eterno fiore, dolce e amoroso Verbo. Annegatevi nel prezioso sangue suo” (Lett. 336, Alla priora e monache del monastero di Santa Agnese).

Beato Angelico, Tabernacolo-reliquiario di Santa Maria Novella con l’Annunciazione e l’Adorazione dei Magi, Museo di San Marco; particolare della predella con Santa Caterina da Siena e Santa Apollonia. (Foto dell’autore)

Emblematico è, infine, un passo del Dialogo della Divina Provvidenza, capolavoro mistico di Caterina, dove, in riferimento alla povertà volontaria e all’azione della Provvidenza, è Dio stesso che, dopo avere evocato il miracolo dei pani serviti dagli angeli a San Domenico, mostra la figura di Agnese da Montepulciano come exemplum di conformità eucaristica a Cristo e al fondatore dell’Ordine:

“Alcuna volta proveggo (provvedo) moltiplicando una piccola quantità, la quale non era bastevole a loro, sì come tu sai di quella dolce vergine santa Agnesa, la quale da la sua puerizia infino a l’ultimo servì a me con vera umilità, con esperanza ferma, intanto che non pensava di sé né della fameglia sua con dubbitazione. Unde ella con viva fede, per comandamento di Maria, si mosse, povarella senza veruna sustanzia temporale, a fare il monasterio. Sai che era luogo di peccatrici. Ella non pensò: come potrò io fare questo? Ma sollicitamente con la mia providenzia ne fece luogo santo, monasterio ordinato a religiose. Ine (in quel luogo) congregò nel principio da diciotto fanciulle vergini senza avere cavelle (niente), se non come Io le provedevo; tra l’altre volte avendo Io sostenuto che tre dì erano state senza pane, solo con l’erba. E se tu mi dimandassi: perché le tenesti a quello modo? (…) Io ti rispondarei che Io el feci e permissi per farla inebriare della providenzia mia; e a quelle che anco erano imperfette, per lo miracolo che poi seguitò, avessero materia di fare il principio e fondamento loro nel lume della santissima fede. (…) Dico ch’Io proveggo col moltiplicare. Ché, essendo ella stata questo spazio del tempo che Io t’ò detto, vollendo (volgendo) ella l’occhio della mente sua col lume della fede a me, disse: «Padre e Signore mio, sposo etterno, ed à’mi tu fatte trare queste figliuole delle case de’ padri loro perché elle periscano di fame? Provede, Signore, a la loro necessità». Io ero colui che la facevo a dimandare: piacevami di provare la fede sua, e l’umile sua orazione era a me piacevole. Distesi la mia providenzia in quello che con la mente sua stava dinanzi da me, e costrinsi per spirazione la creatura nella sua mente, che le portasse cinque panuccioli. E manifestandolo a lei nella mente sua, disse vollendosi (volgendosi) a le suoro (sorelle): «Andate figliuole mie, rispondete alla ruota e tollete quel pane». Arrecandolo elle, si posero a mensa. Io le diei tanta virtù nello spezzare il pane che ella fece, che tutte se ne saziarono a pieno, e tanto ne levarono di su la mensa, che pienamente un’altra volta n’ebbero abondantemente a la necessità del corpo loro.” (Dialogo, Cap. CXLIX).

Questo excursus “cateriniano” dimostra il profondo legame tra la santa senese e Agnese da Montepulciano. È logico pensare che le monache osservanti di San Pietro Martire, “figlie” del monastero pisano di Chiara Gambacorti, imbevuto dello spirito di Caterina, avessero grande familiarità e devozione per la monaca Agnese.

Caterina da Siena, verosimilmente, non è raffigurata nella predella di San Pietro Martire (ma lo è in quella coeva di Fiesole e lo sarà nel Tabernacolo con l’Annunciazione da Santa Maria Novella) perché, formalmente, non era una monaca dell’Ordine. Per la nuova fondazione fiorentina, il modello più vicino e calzante, anche per prossimità geografica, poteva quindi ben essere quello della monaca Agnese venerata da Caterina, tanto più che la sua santità, come evidenzia Silvia Nocentini in riferimento alla Legenda, era caratterizzata da un “aspetto taumaturgico”, dal “ruolo di fondatrice e di guida spirituale” e, soprattutto, dalla “dimensione mistica di sposa di Cristo” (Nocentini 2001, pp. XXVII-XXXII, passim).

Conclusioni

Attraverso confronti iconografici e una lettura del contesto storico-religioso delle monache domenicane di San Pietro Martire, ho cercato di dare credibilità e solidità all’identificazione di Agnese da Montepulciano nella predella di Beato Angelico.

La santa poliziana è raffigurata con le mani incrociate sul petto, forse un richiamo, come abbiamo visto, alla miniatura senese di primo Quattrocento in cui Agnese, secondo la Legenda, riceve la Comunione da un angelo. È un gesto tipico della Vergine Maria in tante Annunciazioni di Beato Angelico, compreso quella, di piccole dimensioni e articolata in tre quadrilobi, dipinta nelle cuspidi della stessa Pala di San Pietro Martire.

Beato Angelico, Pala di San Pietro Martire, Museo di San Marco; particolare della parte superiore, con l’Annunciazione nei quadrilobi delle tre cuspidi: Angelo annunziante, Dio Padre, Vergine Annunciata. (Foto dell’autore)
Beato Angelico, Pala di San Pietro Martire, Museo di San Marco; particolare con la Vergine Annunciata. (Foto dell’autore)

Il collegamento fra i due gesti analoghi, quello della Vergine Annunciata e quello di Agnese Poliziana, non poteva sfuggire alle monache destinatarie dell’opera, per le quali Maria rappresentava il modello sponsale più alto, la Sposa di Dio e dello Spirito Santo, la Sposa del Cantico (si noti, nella stessa pala, l’anello nuziale della Vergine nella mano sinistra che sostiene il Bambino).

Mi sembra, dunque, che le mani incrociate della monaca Agnese possano essere lette sia come allusione al duplice episodio biografico della Comunione servita da un angelo, illustrato nella miniatura senese, sia come espressione visiva dell’imitatio Mariae. È un gesto di intima accettazione eucaristica e sponsale, in sintonia con la Legenda, che si accorda perfettamente, mi pare, non solo con il Vir dolorum al centro della predella, emblema del sacrificio eucaristico (al pari del vaso unguentario in mano alla Vergine col Bambino), ma anche, e soprattutto, con le “spose di Cristo” dipinte negli altri tondi della predella, modelli tradizionali di santità per comunità religiose femminili: Maria Maddalena e le vergini martiri Cecilia, Caterina di Alessandria e Agnese di Roma, omonima della nostra Agnese da Montepulciano.

Il nome di Agnese, “Agnes”, deriva propriamente da “Agnus”, agnello, ed è evidente che in tutte le lettere, tranne una vocale, questi due nomi sono identici. Perciò, che cosa significa per noi il nome di Agnese, se non “agnella”? E che cosa significa “agnella”, se non “sposa dell’Agnello”?

(Raimondo da Capua, Legenda beate Agnetis de Monte Policiano, Prima pars, Prologus)

 Alessandro Santini

Santa Agnese da Montepulciano. Beato Angelico, Pala di San Pietro Martire, particolare della predella, The Courtauld Gallery, Londra. (Foto dell’autore)

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La citazione dalla Summa Historialis di Sant’Antonino proviene da un’edizione del 1543 (Lugduni, Apud AEgidium & Iacobum Huguetan Fratres) consultabile on-line su https://archive.org

Le citazioni dalle Lettere e dal Dialogo di Caterina da Siena provengono dalle edizioni consultabili on-line sul sito del Centro internazionale di studi cateriniani: https://centrostudicateriniani.it/

Per altre citazioni:

Raimondo da Capua, Vita di Caterina da Siena. Legenda maior, Paoline, Milano-Torino 2013

Tommaso di Antonio da Siena “Caffarini”, Supplemento alla Vita di S. Caterina da Siena, a cura di Angelo Belloni e Tito S. Centi, “Biblioteca di Memorie Domenicane”, Nerbini, Firenze 2013

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