«Apra quella chiesa e ci mostri il dipinto, frate. […] Ha capito che Göring in persona vuole quel dipinto? Lei adesso ce lo trova». In questa frase, tratta dal libro Muoio per te di Filippo Boni, possiamo già capire che l’Annunciazione di Beato Angelico a San Giovanni Valdarno cela in sé una storia che ha dell’incredibile; solo sentendo nominare il nome di Göring si può intuire quale sarebbe potuto essere il destino di quest’opera.
Hermann Göring era il luogotenente più fidato di Adolf Hitler ed era un grande amante dell’arte. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Göring avviò dei veri e propri saccheggi di opere d’arte; aveva una lista di quadri che voleva portare al Castello di Carinhall, tra questi c’era proprio l’Annunciazione di Montecarlo, ovvero di San Giovanni Valdarno. Fortunatamente non riuscì mai nell’intento.
Grazie al mancato furto di quest’opera da parte dei nazisti, oggi possiamo ammirare l’Annunciazione di San Giovanni Valdarno al Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie, di cui è direttrice la professoressa Michela Martini (dal 26 settembre 2025 al 25 gennaio 2026 l’opera è esposta a Palazzo Strozzi in occasione della mostra “Beato Angelico”, n.d.r).
L’opera è una pala d’altare composta da una tavola centrale e una predella con cinque storie della vita della Vergine, ed è realizzata con la tecnica della tempera su tavola. La parte centrale, dove viene rappresentato il tema, è divisa perfettamente a metà da due archi a tutto sesto, sotto i quali si svolge la scena dell’Annunciazione. Sopra i due archi si trova un clipeo contenente il profeta Isaia con in mano un cartiglio in cui si può leggere: “Ecce Virgo concipiet”, le prime parole della sua profezia presenti nell’Antico Testamento.

Sotto l’arco di sinistra vediamo l’arcangelo Gabriele, rappresentato nel momento esatto in cui atterra nel loggiato di Maria per portarle l’annuncio che aspetterà un figlio: le sue ali, infatti, non sono del tutto chiuse. Il suo corpo è avvolto da un abito rosso ricadente con pieghe morbide e naturali; con molte finiture in oro nei dettagli della veste, delle scarpe, delle ali, ma soprattutto dei raggi che circondano la sua figura, che ci permettono di capire che appartiene al mondo divino e non a quello terrestre.
L’arcangelo Gabriele si inchina davanti alla Vergine e alza la testa per poterla guardare in viso, le sue mani si incrociano davanti al petto in una posizione simmetrica a quella di Maria, la quale si trova sotto l’arco di destra.
La Vergine è rappresentata seduta su un sedile ricoperto da un drappo dorato che scende fino ai suoi piedi. All’arrivo dell’arcangelo, è intenta a leggere il libro delle sacre scritture, appoggiato sulle sue gambe; la vediamo che si porta le mani al petto e si protrae in avanti, in segno di umile accettazione dell’annuncio.
Niente è lasciato al caso, i colori dei vestiti della Vergine hanno uno specifico significato: il manto azzurro rappresenta l’immaterialità e la purezza di Maria; il rosso della veste simboleggia la Carità e l’Amore; l’uso dell’oro nei vari dettagli indica la luce divina. Inoltre, Beato Angelico inserisce nei ricami dorati della veste alcune scritte: nel colletto la scritta “Maria Gratia Plena”; lungo i bordi del manto, sotto il libro, “Donec veniat”, i versetti di San Paolo che annunciano il giudizio universale.
L’interno del loggiato, dove si svolge la scena, è caratterizzato da un pavimento di marmi colorati, che rivestono anche le pareti; il soffitto è decorato da uno sfondo blu, trapuntato di stelle dorate; un fregio rosa con un tralcio vegetale monocromo corre sugli archi all’interno del porticato. L’inserimento di questi dettagli non è casuale: il cielo stellato rappresenta il mondo divino, il pavimento decorato con marmi policromi indica la natura multiforme del mondo terreno, mentre il fregio ha il compito di unire i due mondi. In fondo, questo rappresenta il significato stesso dell’Annunciazione: una donna è chiamata a concepire un figlio che è Dio stesso fatto uomo, venuto per salvare l’umanità. Dietro la Vergine scorgiamo la sua umile stanza, della quale vediamo solo una panca di legno molto semplice e una finestra da cui entra una flebile luce.
Nell’Hortus conclusus, che il pittore ha dipinto in basso a sinistra, possiamo riconoscere vari fiori: rose bianche senza spine, che rimandano alla Vergine, definita “rosa senza spine”; pratoline, associate all’Annunciazione, dato che nascono in primavera; un cespuglio di melograno, che simboleggia la fecondità; infine due gigli che si stagliano dietro la colonna, a significare la purezza dell’arcangelo Gabriele. In alto a sinistra l’artista inserisce la Cacciata dei progenitori dall’Eden; Adamo ed Eva sono raffigurati con vesti grossolane e grigie, al contrario di ciò che dice la Genesi, mentre vengono cacciati dall’arcangelo Michele, che impugna una spada di fuoco, anche se sembra stia compiendo il gesto a malincuore. Adamo ed Eva vengono cacciati dall’Eden per aver commesso il peccato originale, ma l’incarnazione del Verbo, annunciato dall’Angelo, redime l’umanità da ogni peccato.
La datazione dell’opera attraverso il confronto con le Annunciazioni di Madrid e Cortona
La realizzazione dell’Annunciazione di San Giovanni Valdarno è avvenuta intorno al quarto decennio del XV secolo, ma la sua datazione esatta è ancora oggetto di dibattito. Il confronto stilistico con le altre due grandi Annunciazioni su tavola (di Madrid e Cortona), ci permette di avanzare delle ipotesi.
L’Annunciazione del Museo del Prado a Madrid richiama ancora lo stile tardogotico di Gentile da Fabriano, specialmente nella raffigurazione del giardino edenico, nelle campate nel soffitto del loggiato e nella resa dell’incarnato di Maria e dell’Angelo, che non ha la trasparenza luminosa delle altre due.
Anche nell’Annunciazione di San Giovanni Valdarno c’è un particolare gotico: il fregio rosa arricchito da girali decorativi con foglie d’acanto. L’Annunciazione del museo diocesano di Cortona, invece, presenta un elemento innovativo nel dialogo tra l’Angelo e la Vergine, visivamente rappresentato dalle parole del Vangelo di Luca che sbucano dalle loro bocche.
Un’altra differenza si riscontra nella rappresentazione della scena della cacciata dei progenitori dal giardino dell’Eden. L’Annunciazione del Prado è divisa perfettamente in tre parti uguali, una di queste è occupata interamente da Adamo ed Eva, rappresentati con una corporatura robusta e con vesti rustiche, non troppo distanti da Maria e dall’arcangelo Gabriele.

Nell’Annunciazione di San Giovanni Valdarno, i due progenitori sono posti in alto a sinistra, si intravedono dall’arcata del loggiato, in lontananza. In questo caso Beato Angelico pone meno attenzione alla cacciata per focalizzarla sui due protagonisti.

Anche l’Annunciazione di Cortona è divisa in tre parti, ma come in quella di San Giovanni la cacciata è posta in secondo piano ed è possibile vederla in alto a sinistra, sopra il giardino, decorato con fiori e piante.

In tutte e tre le Annunciazioni l’Angelico fa uso di marmi policromi nel pavimento del loggiato, elemento che conferisce alla scena un senso di eleganza architettonica. Tuttavia, analizzando con maggiore attenzione le tre opere, notiamo una differenza significativa: nel caso dell’Annunciazione di San Giovanni Valdarno, oltre al pavimento, anche le pareti hanno marmi policromi come rivestimento. Sembra che inizialmente la decorazione delle pareti dovesse essere identica a quella di Cortona, ossia di un colore ocra. È probabile che l’artista abbia avuto un ripensamento e abbia scelto di estendere l’uso del marmo anche alle pareti del porticato. Sulla passione di Angelico per la rappresentazione del marmo, c’è traccia in molte altre sue opere, su tavola e a fresco.

Un’ulteriore differenza si riscontra nel drappo che copre il sedile su cui siede la Vergine: nell’Annunciazione di Madrid il drappo, completamente dorato, si estende per tutto il seggio e cade sul pavimento a formare un tappeto. Questo dettaglio si ritrova anche in quella di San Giovanni Valdarno, ma il drappo non copre completamente il sedile: una cospicua porzione di legno si intravede sotto il tessuto.

L’Annunciazione di Cortona differisce dalle altre due per un prezioso dettaglio del drappo, caratterizzato da eleganti motivi geometrici circolari; il tappeto sembra essere separato dal drappo, creando una leggera discontinuità tra i due elementi.
Le sottili divergenze emerse dal confronto tra le tre Annunciazioni non ci permettono di stabilire una datazione precisa per ciascuna delle opere, né tanto meno di determinare con sicurezza quale sia stata realizzata prima e quale dopo. Ci permettono però di ipotizzare una possibile scansione temporale: l’Annunciazione di Madrid può essere collocata tra le opere giovanili dell’artista, per la forte influenza del gotico nei dettagli; quindi, supponiamo sia stata realizzata per la chiesa di San Domenico di Fiesole intorno al 1425. L’Annunciazione di Cortona, che presenta un linguaggio più consolidato e una padronanza tecnica più evidente, soprattutto nell’uso della prospettiva, ci fa pensare che sia l’ultima realizzata, probabilmente intorno al 1440-1445, anche se parte della critica la data intorno al 1434 (Maximillian Hernandez, Beato Angelico, Catalogo mostra, Marsilio, 2025, p. 276).
È verosimile invece che l’Annunciazione di San Giovanni Valdarno si collochi tra quelle di Madrid e di Cortona, quindi intorno al 1435, perché seguendo le supposizioni di Cardile e Joannides, questa può essere identificata con l’Annunciazione commissionata all’Angelico nel 1432 dai Serviti di Sant’Alessandro a Brescia. Quest’opera non è mai arrivata a Brescia, si pensa quindi che sia stata donata ai frati francescani del convento di Montecarlo. La costruzione del convento è avvenuta tra il 1428 e il 1438 e pare che l’Annunciazione si trovasse già lì al termine dei lavori del convento; ciò supporta la tesi che l’opera sia stata realizzata tra il 1432 e il 1435.
Il salvataggio dell’opera dalla razzia nazista
Tra i numerosi crimini imputabili al Nazismo, uno dei più odiosi è il saccheggio delle opere d’arte. L’Annunciazione di San Giovanni Valdarno fu protagonista di un piccolo ma emblematico capitolo della Seconda Guerra Mondiale. L’Annunciazione, dal momento in cui è stata realizzata, è sempre stata conservata nel convento francescano di Montecarlo, a San Giovanni Valdarno. Non si hanno documenti che dimostrano sia stata in altri luoghi. Allo scoppio della Guerra, il custode del convento era padre francescano Alfonso Turchetti, conosciuto come il “curatino”.
La mattina del 30 aprile del 1944 arrivò al convento una squadra di SS guidate dal capitano Karl Friederich Otto Wolf, che operava sotto l’autorità diretta di Hermann Göring, uno dei principali leader del Terzo Reich, con lo scopo di trafugare l’Annunciazione di Beato Angelico. Göring, ricordato come un grande amante dell’arte, aveva creato una squadra di SS specializzata in furti di dipinti, il Kunstschutz, un servizio che, con il pretesto di salvaguardare le opere d’arte dai bombardamenti e la promessa di restituirle alle ubicazioni originali alla fine del conflitto, era lo strumento attraverso cui i tedeschi saccheggiavano le opere d’arte in tutta l’Europa.
Göring aveva una lista di tutte le opere dei più grandi artisti, dai geni del Rinascimento agli Impressionisti; le opere che riusciva a trafugare le portava a Brandeburgo nel castello di Carinhall, sua residenza privata. Nel castello si potevano contare 1300 quadri e 250 sculture, per un totale di circa 1800 opere.
Entrando nel vivo di questa storia, sono tre gli attori che hanno avuto un ruolo centrale nel mettere in salvo l’Annunciazione di San Giovanni Valdarno; ognuno di loro, con le proprie azioni, ha contribuito in maniera determinante agli eventi che si sono susseguiti.
Il primo è Rodolfo Siviero, raffinato esperto d’arte e agente segreto per il Servizio Informazioni Militare italiano. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Siviero lavorava con i nazisti, facendo però il doppio gioco. Così poteva tenere sotto controllo le operazioni svolte dal Kunstschuntz, e sapere in anticipo quali opere erano nel mirino dei nazisti. Dopo di che, contattava la Soprintendenza italiana per metterle in salvo. Quando Siviero venne a sapere che l’Annunciazione di Montecarlo si trovava in questa lista, il 17 ottobre 1943 avvisò Giovanni Poggi, sovrintendente alle Belle Arti di Firenze e secondo attore di questa storia, che i tedeschi avevano intenzione di requisirla. Così Poggi si recò immediatamente al convento per avvisare padre Alfonso Turchetti, terzo attore della storia, che dovevano metterla al sicuro. Il giorno seguente Poggi tornò al convento accompagnato da due operai e un camion; con attenzione i tre staccarono il quadro dalla parete, dove restò impresso il segno della cornice, a testimonianza del lungo periodo in cui era rimasto appeso in quel luogo. Il quadro fu adagiato con cura sul cassone del camion, disteso su dei materassi per garantirne una protezione adeguata durante il trasporto, e coperto con una fitta quantità di foglie, così da non dare nell’occhio. Il dipinto venne accuratamente nascosto nelle cantine degli Uffizi a Firenze, un luogo segreto che nessuno riuscì mai a individuare; in quei depositi sotterranei vennero custodite numerose altre opere d’arte e tutte riuscirono a salvarsi dalle razzie naziste.
Ovviamente Siviero e Poggi avevano pensato davvero a tutto, sapevano che i tedeschi prima o poi sarebbero arrivati fino al convento di Montecarlo e non sarebbero certo stati gentili con padre Alfonso. Così escogitarono un piano: fecero scrivere una finta bolla papale in cui Pio XII richiedeva ufficialmente il quadro per le Gallerie vaticane.
Il fatidico giorno arrivò. Il 30 aprile del 1944 il capitano Wolff bussò alla porta del convento, accompagnato da una squadra di SS e dal capo del Kunstschutz, il colonnello Alexander Langdorff. Il capitano era arrivato al convento per effettuare un primo esame della situazione, con l’intento di valutare l’opera, capire la sua collocazione all’interno della struttura e determinarne le dimensioni. Questo sopralluogo preliminare serviva per pianificare la logistica del trasporto; dopo di che sarebbe tornato con i mezzi adeguati a prelevare l’opera senza intoppi. Alla richiesta dei soldati tedeschi di vedere il quadro, il frate cercò di tergiversare, per guadagnare tempo; si sforzò di rimanere il più composto possibile e offrì loro qualcosa di caldo, sia da mangiare che da bere. I soldati non avevano però intenzione di accettare, il giorno prima avevano perso già la pazienza: erano convinti che l’Annunciazione si trovasse nel convento di San Francesco in piazza Savonarola a Firenze, ma solo dopo molte ore di ricerca erano venuti a sapere che si trovava a San Giovanni Valdarno. L’ospitalità del “curatino” non fece che esasperarli; il loro scopo era portare via l’Annunciazione di Beato Angelico. Il colonnello Langdorff prese il frate per il collo e lo alzò da terra, dopo di che lo gettò sul selciato; i tedeschi volevano venire via il prima possibile insieme al dipinto, così puntarono un mitra contro il frate per invitarlo a condurli al quadro. Padre Alfonso si ricompose, trovò il coraggio di aprire le porte della chiesa e li condusse davanti all’altare di destra dove si doveva trovare il dipinto, i tedeschi si accorsero ben presto che l’unica cosa rimasta era la traccia della cornice sulla parete. Nella chiesa calò il silenzio. Dopo qualche secondo padre Alfonso, con voce flebile, informò i tedeschi che qualche mese prima erano arrivati degli emissari del Papa, che pare avesse intenzione di esporre l’Annunciazione angelichiana nei Musei Vaticani. Padre Alfonso ovviamente era stato costretto ad accettare la richiesta; in archivio aveva conservato la bolla papale che attestava la volontà del Pontefice. In quel momento si scatenò la furia del capitano Wolff; il colonnello Langdorff fermò il capitano e ordinò al “curatino” di portare immediatamente il certificato del Papa: in quanto esperto di falsi d’autore, si sarebbe accorto subito se il documento fosse contraffatto. Se fosse stato autentico sarebbero andati fino a Roma a recuperare l’opera; nel caso fosse risultato falso, il colonnello avrebbe ucciso con le sue stesse mani padre Alfonso dentro la casa del Signore. Langdorff esaminò con molta attenzione il documento, dopo di che avvertì il capitano che il padre non aveva mentito e che il documento proveniva veramente dal Vaticano, il Santo Padre aveva anticipato di molti mesi Hermann Göring.
Il capitano e il colonnello, seguiti dalla squadra di SS, se ne tornarono a Villa La Costa, presso Bagno a Ripoli, dove si trovava la loro divisione. In realtà il capitano Wolff non credette assolutamente a ciò che il padre aveva raccontato e nemmeno alla bolla papale e gli disse testuali parole: «Tornerò frate […] Non verrò con esperto di arte la prossima volta. Verrò con esperti di morte e mi auguro che anche quel giorno tu possa avere un valido documento che ti salvi il culo dalle grinfie di quel tizio crocifisso, che ti guarda e che da lassù forse ti aspetta».
Effettivamente il 3 luglio 1944 Wolff e i tedeschi tornarono al convento, ma gli eventi non si svolsero come il capitano aveva minacciosamente anticipato al frate. Al capitano fu cambiato mandato, non si occupò più del dipinto, che ormai era un problema passato in secondo piano. Il suo nuovo compito si rivelò ancora più terribile: divenne capo delle unità di Hermann Göring incaricate di uccidere i civili dei paesi circostanti, con il pretesto che tra loro si nascondessero i partigiani; ed è per questo motivo che Wolff, tornato al convento, volle sapere dove si trovassero i partigiani e soprattutto se il frate li nascondesse dentro Montecarlo. Il capitano Wolff, su ordine di Göring, mise in atto veri e propri massacri nei piccoli paesi del Valdarno, tutti avvennero il 4 luglio 1944, anche se Wolff proseguì per un’altra settimana. A Castelnuovo dei Sabbioni il massacro avvenne intorno alle 9:30 del mattino, morirono 74 persone; a Meleto Valdarno alle 10:00 ne morirono 93; a Massa dei Sabbioni alle 12:30, morirono 4 persone; in località Le Matole (Castelnuovo dei Sabbioni) alle 17:30, furono uccise 10 persone.
Il loro piano era sempre lo stesso: arrivavano camion con all’interno molti soldati che bloccavano tutte le vie di fuga del paese; in pochi minuti il borgo veniva chiuso e nessuno poteva né uscire né entrare. Altri soldati piazzavano una serie di mitragliatrici agli incroci stradali. Una volta chiuso il paese, iniziava il rastrellamento: altri soldati ancora cominciavano a bussare violentemente alle porte delle case. Gli abitanti venivano presi alla sprovvista, molti erano terrorizzati alla vista dei soldati tedeschi. Facevano uscire dalle case le donne e i bambini, mentre gli uomini li dovevano seguire, inclusi i ragazzi dai quattordici anni in su. L’intento era di ucciderli tutti, senza alcuna distinzione: comunisti, cristiani, giovani, adulti, anziani. I soldati tedeschi avevano l’ordine di sparare agli uomini e dopo di bruciarne i corpi; c’erano anche uomini che rimasti feriti al momento dello sparo morirono a causa del fuoco.
Questo dimostra quanto la Seconda Guerra Mondiale sia stata una tragedia per l’Italia e per il resto del mondo, coinvolgendo in modo diretto la vita degli abitanti di questi piccoli paesi, che spesso sembrano rimanere all’ombra dei grandi eventi storici, ma poi sono i primi a soccombere.
Conclusioni
La vicenda dell’Annunciazione di Beato Angelico, sfuggita alle spoliazioni naziste, ci costringe a riflettere su uno dei momenti più terribili della nostra storia. Davanti a tanta crudeltà sorge spontaneo chiedersi come sia possibile perdonare il male. Un aiuto ce lo dà l’arte di Beato Angelico. Se osserviamo attentamente l’Annunciazione di San Giovanni Valdarno, è l’opera stessa a mostrarci la strada per la salvezza in mezzo a tanta oscurità. Nonostante il dipinto sia di per sé molto semplice nelle sue caratteristiche compositive, nasconde tra i suoi dettagli i messaggi della redenzione e del perdono. Sebbene un uomo possa macchiarsi di colpe gravi, c’è sempre la possibilità di un riscatto. Nel dipinto Angelico parla anche dell’amore: l’Amore di Cristo che si offre in sacrificio per tutti gli uomini, per chi crede e chi non crede in Lui.
Nonostante l’Annunciazione di Montecarlo sia stata realizzata quasi sei secoli fa, il messaggio che trasmette è incredibilmente attuale. Pare che l’artista abbia creato un’opera che potesse trascendere il suo tempo per parlare anche alle generazioni future. È interessante pensare che Beato Angelico abbia scelto il tema dell’Annunciazione, uno dei suoi preferiti, proprio perché consapevole di tramandare un messaggio molto potente attraverso i secoli. Questo tema ci invita a credere che c’è sempre una possibilità di salvezza e che anche i mali peggiori potranno essere perdonati.
Elena Tigli
Elena Tigli, nata a Montevarchi, in provincia di Arezzo, si è Laureata in Storia e tutela dei beni archeologici, artistici, archivistici e librari, con il Professor Cristiano Giometti, con una tesi sull’Annunciazione di Beato Angelico a San Giovanni Valdarno.
Per saperne di più:
Filippo Boni, Muoio per te. Cavriglia, 4 luglio 1944: un massacro nazista che l’Italia ha dimenticato, Longanesi, 2021







