I “ pietrini”: memorie cittadine nei sotterranei del Museo di San Marco. Excursus intorno a un patrimonio poco conosciuto.

Agli inizi degli anni ‘70 del Novecento furono restaurati gli ambienti sotterranei del Museo di San Marco e destinati ad accogliere il Lapidarium dove vennero sistemati i reperti fino ad allora esposti nel Chiostro di San Domenico, secondo l’allestimento voluto da Guido Carocci tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.

Si trattava dei lacerti del vecchio centro salvati dalle distruzioni perpetrate durante il “risanamento” che nel 1894, con Atto di deposito del Comune di Firenze, si era disposto di affidare al Museo di San Marco, perché venissero “custoditi, ordinati e disposti temporaneamente nel Chiostro di San Domenico in San Marco e locali annessi”.

Vedute del Chiostro di San Domenico con l’allestimento di Guido Carocci, Gabinetto Fotografico degli Uffizi

Col proseguire delle demolizioni continuarono ad arrivare altri reperti, andando a costituire il Museo di Firenze antica inaugurato il 28 aprile 1898 alla presenza dei sovrani Umberto I e Margherita di Savoia.

Entro il 1904 Guido Carocci terminò un’accurata catalogazione dei reperti.

Il deposito di questi beni, registrati successivamente da Alfredo Lensi nell’Inventario San Marco e Comune 1925, era ed è tutt’ora “temporaneo” in quanto giuridicamente trattasi di patrimonio comunale.

Atto di deposito e Convenzioni, 23 giugno 1894, Archivio del Comune di Firenze

Come ambienti per l’allestimento, Carocci aveva utilizzato, oltre al grande chiostro, anche la “Foresteria” dell’ex convento: il corridoio e le sue stanze adiacenti, che a tutt’oggi hanno mantenuto in sostanza l’originaria sistemazione, in parte per provenienza degli oggetti e in parte per tipologia. L’intenzione era quella di salvaguardare la memoria storica e identitaria della città, ma anche quella di fornire modelli alle scuole di arte industriale, in vista del nuovo assetto urbanistico della Firenze moderna.
Tra i manufatti lapidei, trasferiti nel Lapidarium negli anni settanta, vi erano anche i cosiddetti “pietrini”, che furono collocati lungo le pareti destra e sinistra dell’attuale scala di accesso e in alcune stanze attigue.

Rilievo dei pietrini conservati nel Lapidarium, parete destra, Museo di San Marco, disegno di Carmelo Argentieri e Pino Russo, archivio del Museo
Rilievo dei pietrini conservati nel Lapidarium, parete sinistra, Museo di San Marco, disegno di Carmelo Argentieri e Pino Russo, Archivio del Museo

Questi manufatti in pietra, detti anche lapidini, rappresentano le insegne di proprietà che si trovavano sulle facciate di edifici della città. Le loro sagome sono varie: rotella, tabella, ovale o scudo.

Perlopiù sfuggono al nostro passare distratto, ma se ne trovano ancora numerosi, spesso assai consunti e in contesti trasformati nel tempo, murati in facciata al primo o al secondo piano di antichi edifici sopravvissuti nelle vie cittadine. La loro funzione era quella di identificare l’istituzione proprietaria dell’edificio. Si tratta di un patrimonio storico e artistico assai significativo, ma estremamente fragile, esposto com’è al degrado dovuto agli inquinanti atmosferici, alle trasformazioni per cambio d’uso, nonché all’indifferenza e all’incuria umana.

Originario ingresso al Lapidarium dal Chiostro di Sant’Antonino, Firenze, Museo di San Marco
Attuale ingresso al Lapidarium dal Chiostrino della Spesa, Firenze, Museo di San Marco

Anche i pietrini conservati nel sotterraneo di San Marco, segnarono per secoli le proprietà di istituti cittadini, sugli edifici del vecchio centro che vennero distrutti.

Talvolta presentano ancora una targa sottostante con inciso un numero romano oppure arabo che, come oggi le particelle catastali, indicava un’unità immobiliare di quel possidente e che aveva corrispondenza nei decimari, i registri delle possessioni soggette alla decima, quella parte della rendita ricavata annualmente dall’immobile affittato da pagare all’erario. Molti decimari di arti, monasteri, ospedali, confraternite, sono ancora conservati presso l’ASFi, mentre alcune filze sono andate perdute con l’alluvione del 1966.

L’importanza e la disponibilità finanziaria degli istituti possidenti si deduce dai numeri alti rimasti, come nel caso dell’Arte di Calimala, che aveva anche il patronato sul Battistero, o l’Arte della Lana, che lo esercitava sulla Cattedrale e sul Campanile.

Così erano marcate le proprietà dei numerosi “Spedali” fiorentini: Santa Maria Nuova, San Matteo, gli Innocenti, San Paolo dei Convalescenti, ecc.

La diffusione dei pietrini ci rappresenta la quantità di beni immobili accomulati dagli istituti grazie alle ricchezze acquisite attraverso donazioni e lasciti e che continuavano a moltiplicarsi investendo nel campo immobiliare.

Si trattava di istituti religiosi e confraternite laicali che svolgevano attività assistenziali e caritatevoli andando in definitiva a configurare ciò che oggi si definirebbe welfare, non essendo allora previste protezioni sociali pubbliche. Nella società fiorentina tra il Trecento e il Quattrocento la carità, principio evangelico, era comune prassi civile e sociale. A ciò si aggiunga l’opportunità per chi si arricchiva con attività mercantili e finanziarie di poter affrontare il giudizio divino con maggiore serenità, restituendo al prossimo bisognoso una parte dei guadagni accumulati.

Beato Angelico, Giudizio Universale, particolare girone degli avari, Firenze, Museo di San Marco

Anche i monasteri si trasformarono, nel corso del Trecento, da proprietari di terre a proprietari di immobili cittadini, finanziandone l’edificazione e favorendo così la crescente urbanizzazione. Si trattattava di case di tipo popolare e “borghese” affittate ad uso abitativo o come botteghe ad artigiani e professionisti di vario genere. Mentre la città cresceva in popolazione e ricchezza, questa attività edificatoria faceva da controcanto all’erezione dei grandi palazzi nobiliari e andò a costituire l’antico tessuto urbano entro l’ultima cerchia di mura rimasto pressoché intatto fino al “risanamento” ottocentesco, che fece seguito all’elezione di Firenze a capitale del Nuovo Regno.

Sulle facciate delle dimore nobiliari il possesso era indicato da grandi scudi con lo stemma di famiglia, realizzati nelle fiorenti botteghe cittadine su disegno spesso di un grande artista. Si vedano ad esempio lo stemma di Palazzo Martelli, oggi al Bargello, attribuito a Donatello; quello di Palazzo Pazzi probabilmente di bottega dei da Maiano; o le armi giambolognesche conservate al Museo di San Marco provenienti dalle case dei Vecchietti e dalla perduta chiesa di San Donato, di cui erano patroni. In questi casi il ricco scudo con l’arme di famiglia, oltre che contrassegnare la proprietà, attestava il prestigio sociale raggiunto. Dalle stesse botteghe provenivano i più modesti pietrini, comunque di accurata fattura, destinati alle case a schiera.

Una campagna di censimento sul territorio, realizzata a cura di Claudio Paolini tra il 2012 e il 2020, ha individuato sul territorio circa 1500 pietrini, databili dal Trecento alla prima metà dell’Ottocento.

Circa un centinaio sono i pietrini conservati nel Lapidarium di San Marco provenienti da case o botteghe andate distrutte nella zona del Mercato Vecchio, un tempo appartenute a istituti con sede nelle zone più periferiche dell’ultima cerchia muraria. Altri segnavano le possessioni delle antiche arti che avevano le loro residenze proprio nel centro cittadino. Dallo spoglio dei decimari, in base alla presenza della targa con il numero, si possono ricavare notizie circa la provenienza e la collocazione originaria dei pietrini tolti dal loro contesto originario.

Non sempre in buono stato di conservazione e con gli smalti che dovevano completarli ormai perduti, documentano la storia urbanistica di Firenze dal Trecento all’Ottocento, ma anche la storia artistica e sociale della città. Potremmo definirli a buon diritto “pietre parlanti”, in quanto possono raccontarci un’infinità di storie.

Una meritevole campagna fotografica sui pietrini di Firenze è stata realizzata da Francesco Bini nel 2021 e generosamente condivisa su wikimedia commons.

Nella prima stanza del Lapidarium numerosi sono i pietrini che segnavano le proprietà della ricchissima Arte di Calimala o dei Mercatanti, facilmente riconoscibili dall’emblema con l’aquila che aggranfia il torsello ammagliato. Questi sono databili dal XV al XVII secolo e provengono tutti da edifici distrutti nella zona del Mercato vecchio.

Pietrini dell’arte di Calimala, provenienti (da sinistra) dallo sdrucciolo di Orsanmichele, da Via della Macciana, da una bottega dietro la Loggia del Pesce, dalla Torre degli Amieri. Firenze, Lapidarium del Museo di San Marco
Pietrini dell’Arte di Calimala provenienti dalla Torre degli Amieri (a sinistra) e da Via dei Cavalieri (a destra), Firenze, Lapidarium del Museo di San Marco
Pietrini dell’Arte di Calimala di provenienza ignota, Firenze, Lapidarium del Museo di San Marco

In città sono ancora diffuse queste rotelle nella zona dell’attuale Piazza della Repubblica, dove sorgeva la sede dell’Arte: in via Calimaruzza e in via Porta Rossa. Altre sono in Piazza San Giovanni, detenendo il patronato sul Battistero.

Pietrini dell’Arte di Calimala ancora presenti nell’area di Piazza della Repubblica. Da sinistra Via Calimaruzza, Via Porta Rossa, Piazza San Giovanni, Via Martelli

Ma la presenza è ampiamente documentata anche in via San Zanobi e in via delle Ruote, nonché soprattutto a Porta a Prato e in via Palazzuolo, sempre a ridosso delle mura arnolfiane, dove evidentemente l’Arte aveva espanso le sue proprietà. Le nuove costruzioni ottocentesche e i nuovi assi viari finirono poi per inglobare ampie porzioni degli antichi casamenti.

Pietrini dell’Arte di Calimala ancora presenti in Via delle Ruote (a sinistra), Via San Zanobi (a destra)
Pietrini dell’Arte di Calimala ancora presenti in Via il Prato
Pietrini dell’Arte di Calimala ancora presenti in Via del Palazzuolo

Insegne della potente Arte si possono trovare anche sulle facciate di edifici in Oltrarno a testimonianza dell’ingente patrimonio immobiliare accumulato.

Nella stessa sala del Lapidarium sono conservati cinque pietrini riferibili a proprietà dell’Arte della Lana.

Databili al XV secolo e perlopiù provenienti da botteghe in via Calimala, alcune presentano l’iscrizione B….O, dal significato sconosciuto, per la quale azzarderei l’ipotesi che potesse indicare un “banco”, cioè la sede di una delle tante compagnie mercantili-bancarie fiorentine, dedite a pratiche di deposito e di credito.

Pietrini dell’Arte della Lana provenienti da case o botteghe in Via Calimala, Firenze, Lapidarium del Museo di San Marco
Pietrini dell’Arte della Lana, provenienti da case o botteghe di Via Calimala, Firenze, Lapidarium del Museo di San Marco

Un altro esemplare di bella fattura e grandi dimensioni, di provenienza non accertata, reca scolpito l’emblema della corporazione: l’Agnus Dei con il vessillo, completato dal capo degli Angiò. Databile al XV secolo, giunse a San Marco dal Museo del Bargello nel 1915, posteriormente al gruppo dei reperti del Comune, infatti non è citato dal Carocci, ma è registrato nell’inventario San Marco e Cenacoli del 1915. È confrontabile con altri simili tuttora conservati all’esterno della residenza dell’Arte davanti a Orsanmichele o su edifici dell’Opera del Duomo, su cui la corporazione deteneva il patronato.

Agnus Dei col vessillo dell’Arte della Lana, di buona fattura, confrontabile con altri simili tuttora visibili sulla facciata della residenza dell’Arte, davanti a Orsanmichele
Pietrini dell’Arte della Lana ancora presenti su Via degli Alfani (le prime tre) e Via delle Ruote (a destra)
Agnus Dei, facciata di un edificio dell’Opera del Duomo (foto Bini)
Pietrini dell’Arte della Lana ancora presenti in Borgo San Frediano (sinistra) e Via Maggio (a destra), Foto Bini

Cinque rotelle sulla parete sinistra delle scale di accesso al Lapidarium recano scolpite le iniziali OSM, con segni di abbreviazione, da riferire alla Compagnia di Orsanmichele. Databili al XV secolo, provengono probabilmente da botteghe di proprietà della Compagnia che ne possedeva numerose in Calimala e in via della Nave. Fondata dai Laudesi intorno al 1291, la confraternita prese il nome dalla chiesa dell’Arcangelo San Michele, o San Michele in Orto, con il compito di cantare le laudi a ogni festa della Vergine, ma svolgeva anche azioni di carità in aiuto dei bisognosi.

Rotella della Compagnia di Orsanmichele, Firenze, Lapidarium del Museo di San Marco

La loro sede principale si trovava nel palazzo, ancora esistente, situato tra via Calzaioli e via de’ Lamberti, sul cui angolo sono visibili ancora le stesse rotelle.

Palazzo Cavalcanti e della Compagnia di Orsanmichele, Via dei Calzaiuoli

Sulla parete destra della scala di accesso al Lapidarium sono conservati ben sette lapidini con scolpito un cherubino, emblema del Capitolo di Santa Maria del Fiore. Questi rilievi, databili tra il XV e il XVII secolo, erano collocati su edifici un tempo di proprietà del Capitolo Fiorentino (C.F.).

Maria Sframeli ci segnala che dalla Decima granducale del 1561 risulta che il Capitolo era proprietario di una casa nell’androne degli Adimari, di tre botteghe nei pressi di Santa Maria Maggiore, di altre quattro vicino alla perduta chiesa di San Cristoforo degli Adimari, di una in via dei Ferravecchi e di una in via degli Speziali.

Cherubino, emblema della Compagnia di Santa Maria del Fiore, Firenze, Lapidarium, Museo di San Marco

Assai numerosi sono i pietrini del Capitolo ancora visibili in città: in via San Zanobi, via Guelfa, via Santa Reparata, zona in cui erano stati eretti edifici per accogliere famiglie di modeste condizioni. Un altro gruppo di immobili con lo stesso uso aveva occupato un intero isolato nel quartiere di Santa Maria Novella tra via del Porcellana, via di San Paolino e via Palazzuolo, così come indicano i tanti pietrini che recano la stessa immagine del cherubino.

Pietrini della Compagnia di Santa Maria del Fiore, ancora visibili in Via Santa Reparata
Pietrini della Compagnia di Santa Maria del Fiore, ancora visibili (da sinistra) in Via del Palazzuolo, Via del Porcellana, Via San Paolino

Sulla parete di accesso al Lapidarium, troviamo una formella di bella qualità che presenta scolpito un cherubino entro scudo con nastri svolazzanti, coronato da motivi vegetali.

Databile al XV secolo, proviene dalla facciata di Sant’Andrea, antichissima chiesa che fu sotto il protettorato del Capitolo di Santa Maria del Fiore fin dal Duecento e andata distrutta con il “risanamento” ottocentesco.

Cherubino della Compagnia di Santa Maria del Fiore, proveniente dalla facciata di Sant’Andrea, distrutta con il “risanamento” ottocentesco, Firenze, Lapidarium, Museo di San Marco

Molto rappresentate nella collezione conservata a San Marco sono le formelle, undici ovali, raffiguranti Gesù in abito da pellegrino che si appoggia al bordone e iscrizione nella larga cornice:
CON. PRAESB. S. SALVATORIS ET DOMUS DEI (Congrega dei Sacerdoti del Santo Salvatore e della Casa di Dio). Si tratta dell’arme della Congrega di Gesù Pellegrino o del “Salvatore del Mondo”, che tradizionalmente si riteneva istituita in seguito alla miracolosa apparizione di Gesù in veste di pellegrino a un certo prete Amadio, per dare ospitalità ai sacerdoti forestieri di passaggio a Firenze. Successivamente la fondazione divenne anche ospizio per religiosi anziani e infermi, popolarmente detti Pretoni. Come moltissime istituzioni religiose toscane, la congrega fu soppressa da Pietro Leopoldo il 21 marzo del 1785.

Undici ovali della Congrega di Gesù Pellegrino, Firenze, Lapidarium del Museo di San Marco

La provenienza dei pietrini di San Marco, databili tra il tardo Cinquecento e gli inizi del Seicento, non è precisamente accertabile, ma dai decimari sappiamo che la Congregazione deteneva possessi anche nella zona del mercato vecchio. Alcuni sono in buono stato conservativo, altri più deteriorati.

Pietrini della Congrega di Gesù Pellegrino, Firenze, Lapidarium del Museo di San Marco

Molti pietrini con l’emblema di Gesù pellegrino si trovano ancora in Via San Gallo e nella vicina via Santa Reparata, dove era la sede della Congregazione con lo Spedale e la chiesa di San Salvatore. Di questa antica e importante istituzione oggi rimane l’oratorio in angolo tra via San Gallo e via degli Arazzieri, ormai sconsacrato e utilizzato come aula dall’Accademia di Belle Arti. All’ingresso si trova la sepoltura del pievano Arlotto, che evidentemente non rinunciò alla notoria vena burlesca sino alla fine. Così recita infatti l’epigrafe sulla sua tomba:

Questa sepoltura il piovano Arlotto

la fece fare per sè e per chi ci

vuole entrare. Morì nel 17 di

febbraio del 1484.

Epigrafe della tomba del pievano Arlotto, all’interno dell’Oratorio tra Via San Gallo e Via degli Arazzieri
Pietrini della Congregazione di Gesù Pellegrino ancora presenti in Via San Gallo
Pietrini della Congregazione di Gesù Pellegrino ancora presenti in Borgo Allegri (a sinistra) e Via dei Fossi (a destra)

Dalla facciata di una casa distrutta in via Calimala proviene uno scudo perale che reca scolpita una gruccia sul campo. Il manufatto è databile tra il XIV e il XV secolo. Si tratta dell’insegna dell’Ospedale di Santa Maria Nuova, il più antico ospedale fiorentino tutt’oggi operativo.

Pietrini dell’Ospedale di Santa Maria Nuova. Da sinistra, scudo perale proveniente da una casa di Via Calimala (Lapidarium del Museo di San Marco); a seguire pietrini ancora presenti in Via della Chiesa, Via delle Oche, Via San Zanobi

L’istituzione fu fondata nel 1288 dal mercante e banchiere Folco Portinari, padre della Beatrice dantesca, sfruttando l’area in piena urbanizzazione dopo l’abbattimento delle mura che correvano lungo il terreno che sarà poi occupato dalle vie Bufalini e Sant’Egidio. L’ospedale diverrà un cantiere ininterrotto, con gli ampliamenti sulla piazza e verso via della Pergola e via dell’Oriuolo, fino a contraddistinguere il complesso giunto ai giorni nostri.

Dotato di un ingente patrimonio, nei secoli l’istituto diverrà proprietario in città di un numero incalcolabile di case e botteghe appigionate, ma anche arriverà a possedere beni e terreni in tutta la Toscana.

Nel 1385 venne fondato lo Spedale di San Matteo, per volere del mercante e banchiere Lemmo Balducci, andando ad occupare l’area del convento delle monache di San Niccolò in Cafaggio, trasferite da quel momento nella vicina via Alfani. Scopo dell’Istituzione era quello di accogliervi gli infermi poveri sotto la direzione e il patronato dell’Arte del Cambio al cui santo protettore l’ospizio fu dedicato. Insieme a molti ospedali sparsi per la città venne soppresso nel 1784 da Pietro Leopoldo ed i suoi beni furono incamerati da Santa Maria Nuova. I locali, tra le attuali via Ricasoli e piazza San Marco, furono trasformati e destinati a sede dell’Accademia di Belle Arti.

Molte proprietà si trovavano nel tratto davanti all’ex ospedale, come si può vedere ancora dai pietrini rimasti sugli edifici, ma erano anche diffuse nei vari quartieri della città ad assolvere l’attività ospedaliera, oppure in funzione di reddito.

Pietrini dello Spedale di San Matteo, visibili in Via Ricasoli
Pietrini dello Spedale di San Matteo appena visibili in Via Guelfa

I pietrini dello Spedale di San Matteo presentano le iniziali gotiche S e M intrecciate e sormontate da un segno di abbreviazione. Si tratta di un’insegna “esplicita” con cui la proprietà è dichiarata attraverso le iniziali dell’istituto, come nel caso di acronimi o quando è indicato per esteso il nome dell’istituto. Altrimenti le tabelle si dicono “parlanti”, nel caso presentino una figura o un segno simbolico, con cui all’epoca era facile identificare la proprietà.

Nel lapidarium sono conservati due esemplari con l’insegna dello Spedale, databili fine XVI-inizi XVII secolo e completi di cartella con i numeri romani XXXIII e XXXVIIII. Il primo proviene da piazza dei Succhiellinai e l’altro da una casa all’angolo del chiasso di Ferro.

Pietrini Spedale di San Matteo provenienti da una casa all’angolo del Chiasso di Ferro (sinistra) e da Piazza dei Succhiellinai (a destra), Firenze, Lapidarium del Museo di San Marco

Altri si possono ancora vedere in loco nella zona del Mercato Nuovo.

Pietrino visibile nella zona del Mercato Nuovo, in Via Porta Rossa

Nel 1419 l’Arte della Seta avviò a sue spese e sotto il suo patronato la costruzione dello Spedale degli Innocenti, su progetto di Filippo Brunelleschi. L’impresa fu ulteriormente sostenuta da un lascito testamentario di 100 fiorini da parte del mercante e banchiere pratese Francesco Datini. Destinato ad accogliere i bambini abbandonati alla nascita, fu il primo brefotrofio d’Europa, suggellando il livello di civiltà cui la città era giunta. L’Istituto degli Innocenti è ancora oggi attivo con varie forme assistenziali, oltre a ospitare un museo molto interessante.

Sulla parete destra di accesso al Lapidarium sono conservati due pietrini databili al XV secolo, uno di forma rettangolare e l’altro ovale, nei quali è scolpito un bambino in fasce. Entrambi provengono dalla zona del Mercato vecchio.

Nocentini dello Spedale degli Innocenti. Da una casa in Piazza San Miniato tra le torri (a destra), dalla casa degli Alfieri Strinati (al centro), Lapidarium del Museo di San Marco; nocentino ancora visibile sull’accesso alle corti dello Spedale in Via della Colonna (a destra)

Tutt’oggi i nocentini sono diffusi sugli edifici nelle zone limitrofe all’ospedale, ma anche Oltrarno.

Pietrino dello Spedale degli Innocenti, in Via degli Alfani
Nocentini dello Spedale degli Innocenti in via Guelfa
Nocentini su edifici già di proprietà dello Spedale degli Innocenti, Via dei Pepi (a sinistra), Via Faenza (a destra)

Due grandi insegne con un gallo e la sigla S (ANCTA) M (ARIA) B (IGALLI), sono da riferirsi all’emblema della Compagnia di Santa Maria del Bigallo, composta da confratelli laici che svolgevano opere caritevoli come la sepoltura dei morti e il trasporto degli infermi presso gli ospedali, oltre alla cura dei fanciulli abbandonati. La confraternita aveva in dotazione numerosi ospedali su tutto il territorio. Sulle proprietà, un tempo dell’istituzione, si trovano spesso pietrini dove questo simbolo compare insieme a quello della Compagnia della Misericordia con croce in mezzo alla sigla A (RCICONFRATERNITA) M (ISERICORDIA), dedita alle stesse opere pie, con cui si unì nel 1425, fondendo in due campi distinti anche i due stemmi. Con la scissione nel 1485, i membri della Misericordia si trasferirono momentaneamente presso la scomparsa chiesa di San Cristoforo, dove oggi è il vicolo degli Adimari, e nel 1525 lasciarono definitivamente al Bigallo la primitiva sede con la loggia, in piazza San Giovanni angolo via Calzaioli, che veniva usata per esporvi alla pubblica pietà i bigallini, i fanciulli abbandonati, nella speranza che qualche anima pia li adottasse. La Venerabile Arciconfraternita della Misericordia di Firenze, fondata dal domenicano San Pietro martire nel 1244 e sopravvissuta alle varie soppressioni, è tuttora al servizio della cittadinanza e ha oggi sede di fronte al campanile di Giotto.

Pietrini della Compagnia del Bigallo, da una casa vicina a Orsanmichele (a sinistra), e da una casa in Via Calimala (a destra); Firenze, Lapidarium del Museo di San Marco
Pietrini partiti con le insegne della Compagnia del Bigallo e dell’arciconfraternita della Misericordia, in Via delle Ruote e in Via San Gallo
Palazzo del Bigallo, Piazza San Giovanni, Firenze

Probabilmente da una bottega del vecchio centro all’arco tra via dei Pescioni e Piazza Strozzi, proviene un pietrino cinquecentesco di forma ovale con numero arabo 37 inciso sulla cartella.
I pastorali decussati e legati, la mitra vescovile e le tre palle sono gli attributi iconografici di San Nicola di Bari, a Firenze detto San Niccolò. Il pietrino marcava un’antica proprietà del monastero femminile benedettino di San Niccolò di Cafaggio.

Pietrino che indicava la proprietà di un monastero femminile benedettino di San Niccolò in Cafaggio, Firenze, Lapidarium del Museo di San Marco

Edificato intorno alla metà del Trecento grazie all’eredità del ricco banchiere Niccolò Gianfigliazzi, il monastero fu soppresso da Pietro Leopoldo di Lorena nel 1782.

Pietrini di San Niccolò in Cafaggio, visibili in Via degli Alfani
Pietrini di San Niccolò in Cafaggio di case in Via dei Servi

Inizialmente ubicato nell’area presto destinata all’ospedale di San Matteo, come già detto, fu trasferito nella zona oggi occupata dall’Opificio delle Pietre Dure in via Alfani, parzialmente dalla Galleria dell’Accademia su via Ricasoli e dal Conservatorio di musica Luigi Cherubini sulla piazza delle Belle Arti, il cui auditorium, la “Sala del Buonumore”, occupa lo spazio dell’antica chiesa di pertinenza del monastero.

Pietrini di San Niccolò in Cafaggio, visibili in Via Ricasoli (a sinistra) e in Via Sant’Agostino (a destra)
Monastero di San Niccolò in Cafaggio, nella rappresentazione di Bonsignori

Nella zona molti pietrini segnalano ancora le antiche proprietà delle monache. All’angolo tra via Alfani e via Ricasoli troviamo due esempi della prima versione dell’emblema costituito da un pastorale in palo che separa le iniziali gotiche N C, poi sostituito da quello ampiamente documentato. Gli scudi, significativa testimonianza trecentesca, potrebbero non essere nella loro posizione originaria e appaiono piuttosto erosi, uno persino vandalizzato con vernice rossa.

Scudi del Monastero di San Niccolò in Cafaggio, angolo Via Ricasoli e Via degli Alfani

Le monache di San Niccolò detenevano case anche nel quartiere di Santo Spirito. Un ovale di pietra, sulla parete sinistra nella scala d’accesso al Lapidarium, presenta scolpita una figura stante con mantello, la sinistra che tiene un bastone a croce mentre con la destra indica in alto. Non è registrato nel Catalogo del Carocci, ma lo troviamo nell’inventario del 1925, associato alle formelle della Compagnia di Cristo Pellegrino, che abbiamo già esaminato.

Pietrino della Compagnia dei Disciplinati di San Giovanni Battista detta dello Scalzo, Firenze, Lapidarium, Museo di San Marco

Maria Sframeli vi aveva individuato la figura del Battista in atto di predicare, riferendolo piuttosto alla Congregazione di San Giovanni Battista. Più verosimile è che l’emblema in origine segnasse una proprietà della Compagnia dei Disciplinati di San Giovanni Battista detta dello Scalzo, come precisa Claudio Paolini, facendo riferimento agli studi archivistici più recentemente condotti da Douglas N. Dow, che relativamente ad altri manufatti del tutto simili a questo, hanno consentito di individuarne non solo la committenza, ma addirittura gli scalpellini che li eseguirono, la datazione esatta e quant’altro.

Secondo le ricerche di Dow infatti, il pietrino ancora visibile sopra una casa al numero 16 di via della Colonna, simile al nostro, sarebbe stato commissionato dai confratelli dello Scalzo all’intagliatore Pietro Pagolo di Nicodemo nel 1583, insieme ad altri due, per i quali ricevette in tutto 24 lire. Mentre furono posti in loco dal muratore Ristoro di Piero per una cifra pari a 2 lire, 13 soldi e 4 denari. Un altro in Via dell’Agnolo, sul lato di Borgo Allegri, sempre secondo le fonti consultate da Dow, sarebbe stato commisssionato dalla stessa Compagnia ad un certo Antonio di Domenico Giovanlorenzi nel 1594.

Del resto, se qualche dubbio con i Pretoni potrebbe nascere, improbabile è un’assegnazione alla Congregazione di San Giovanni Battista che venne fondata nel 1701, mentre questi manufatti appaiono più antichi e anche stilisticamente, come quello di San Marco, databili verso la fine del XVI secolo.

Pietrini della Compagnia dei Disciplinati di San Giovanni Battista detta dello Scalzo, visbili in Via della Colonna (sinistra) e Borgo Allegri (destra)
Pietrini della Compagnia dei Disciplinati di San Giovanni Battista detta dello Scalzo, visibili (da sinistra) in Via Faenza, Via del Moro, Via delle Belle Donne

Da riferirsi alla stessa compagnia dello Scalzo sono anche tre pietrini in via Faenza, in via del Moro e in via delle Belle Donne. In questo caso la figura del Battista è affiancata da due confratelli incappucciati e genuflessi, rappresentando probabilmente una versione più antica dell’insegna, come nella lunetta in terracotta invetriata sul portale d’ingresso del Chiostro in via Cavour, dove un tempo era la sede della compagnia.

Lunetta all’ingresso del Chiostro dello Scalzo

Tre tabelle, conservate sulla parete sinistra delle scale di accesso al Lapidarium, databili al XVI secolo, presentano l’emblema della Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio: Croce al centro, SM intrecciate a destra e T a sinistra, segni di abbreviazione.

Pietrino della Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio, Firenze, Lapidarium del Museo di San Marco

Sframeli, sulla base di fonti archivistiche, afferma che la Compagnia possedeva nel 1548 una bottega nei pressi della chiesa di Santa Maria in Campidoglio e nel 1561 un’altra in via dei Rigattieri.

Questi pietrini ci offrono l’occasione di raccontare altri aspetti interessanti della storia di Firenze, che si legano oltretutto ad opere conservate nel Museo di San Marco.

Il “Tempio”, appellativo che probabilmente derivava da un antico insediamento ospedaliero templare, era una vasta area della città nel quartiere di Santa Croce. In questa zona, presso l’Oratorio in via San Giuseppe, aveva sede la Compagnia, fondata nel 1343, che svolgeva varie mansioni assistenziali. Ne faceva parte il gruppo dei cosiddetti “Neri” o “Battuti Neri” con il compito specifico di assistere i condannati a morte e garantire loro una sepoltura. Il loro nome derivava dalla veste nera corredata di “buffa”, il cappuccio che nascondeva il volto del confratello confortatore, spesso appartenente a classe sociale elevata.

Filippo Dolciati, Supplizio di Savonarola e dei confratelli Silvestro Maruffi e Domenico Bonvicini in Piazza della Signoria (particolare con i confratelli della Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio)

I “Neri” avevano ottenuto un terreno dove nel 1366 era stata edificata una chiesetta detta Il Tempio. Accanto fu realizzato un cimitero, tra il prato del patibolo e l’Arno, subito fuori dall’antica e perduta porta di San Francesco, detta anche della Giustizia o del Tempio. Si tratta dell’area corrispondente all’attuale Piazza Piave, un tempo denominata appunto “Prati della Giustizia”.

Pianta della Catena (1470 ca), particolare, da Francesco Rosselli

Per l’altare della chiesetta, che finì inglobata nei bastioni costruiti durante l’assedio di Firenze (1529-1530) per poi andare completamente distrutta con il “risanamento” ottocentesco, venne commissionato a Beato Angelico nel 1436 il Compianto sul Cristo morto, conservato a San Marco. Il soggetto mostra chiari riferimenti al luogo di destinazione e alla sua funzione: la Croce rimanda al patibolo, le mura di Gerusalemme sono ispirate alle mura di Firenze con l’antica porta di San Francesco e il luogo del Calvario, così com’è rappresentato, non doveva essere molto dissimile ai “Prati della Giustizia”. Forse attraverso la commovente e splendida immagine si voleva indurre il disgraziato di turno al pentimento, prospettandogli la speranza di una vita ultraterrena.

Con gli interventi cinquecenteschi, al posto della chiesetta affossata, i “Neri” ebbero in dotazione dal Bigallo l’oratorio in Borgo La Croce, oggi scomparso e trasformato in civili abitazioni. Qui venne trasferita anche la tavola dell’Angelico davanti alla quale si continuò a praticare, intra moenia, i riti di conforto ai condannati.

La compagnia fu soppressa nel 1785, quando il granducato lorenese abolì la pena di morte.

Beato Angelico, Compianto sul Cristo morto, Firenze, Museo di San Marco, commissionato all’artista dalla Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio

Concludiamo questa parziale rassegna dei pietrini conservati nel Lapidarium del Museo di San Marco, dei quali abbiamo scelto di raccontare solo alcuni tra i più significativi. Questi frammenti, strappati al loro contesto, custodiscono ancora le tracce di una memoria collettiva e sono una fonte inesauribile per la storia cittadina nelle sue molteplici declinazioni: storico-artistica, urbanistica, sociale e religiosa. Pur sottratti dal loro contesto originario essi si offrono ancora oggi come documenti preziosi, in attesa di essere indagati per restituirci la loro voce e il loro significato.

Laura Pellegrini

Foto: Francesco Bini (Sailko), Archivio Museo di San Marco e autrice dell’articolo

Per saperne di più:

Guido Carocci, Catalogo degli oggetti e dei frammenti di antichità del Museo di Firenze antica raccolti nel Regio Museo di San Marco, 1904

Alfredo Lensi, Museo di San Marco. Raccolte Comunali comprendenti l’elenco di 724 schede di oggetti e ricordi depositati dal Comune nel Regio Museo di San Marco, 1925

Maria Sframeli (a cura di), Il centro di Firenze restituito. Affreschi e frammenti lapidei nel Museo di San Marco, Firenze 1989

Francesca Carrara, Ludovica Sebregondi, Ulisse Tramonti, Gli istituti di beneficenza a Firenze, Firenze 1999

Ludovica Sebregondi, Riti, rituali e spazi dei confortatori fiorentini, in “La Croce di Bernardo Daddi del Museo Poldi Pezzoli. Ricerche e conservazione” ( a cura di Marco Ciatti), Firenze 2005, pp. 31-51

Claudio Paolini, I pietrini delle case dei serviti nella città storica di Firenze, in “Studi sulla Santissima Annunziata di Firenze…”, Firenze 2014, pp. 293-313

Douglas N. Dow, “Essere amorevole della casa”: The sculptures of the Apostles in the Oratory of San Giovanni Battista detto dello Scalzo, in “Iconografia apostolica e confraternite fiorentine nell’età della riforma”, pp. 75-100, 2014

Douglas N. Dow, An Altarpiece, a Bookseller, and a Confraternity: Giovanbattista Mossi’s Flagellation of Christ and the Compagnia di San Giovanni Battista detta dello Scalzo, Florence, in “Space, Place, and Motion. Locating Confraternities in the Late Medieval and Early Modern City”, Boston 2017, pp. 321-343.

Maria Venturi, Firenze dà i numeri, Comune di Firenze, I quaderni dell’Archivio della Città – n. 16 Febbraio 2019, pp. 72-88

Claudio Paolini, Patrimonio fragile: «pietrini» e insegne di proprietà nella città di Firenze, in Tutela & Restauro 2020 – Notiziario della Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato Notiziario della Soprintendenza 2020, Firenze 2021, pp. 353-360

Repertorio delle Architetture Civili di Firenze (Banca dati online) http://www.palazzospinelli.org/architetture/risultati-via.asp?denominazione=&ubicazione=&button=&proprieta=&architetti_ingegneri=&pittori_scultori=&uomini_illustri=&note_storiche=pietrino (ultimo accesso 11.04.2025)

Francesco Bini (Sailko) fotografo https://commons.wikimedia.org/w/index.php?search=Pietrini+di+Firenze&title=Special:MediaSearch&type=image (ultimo accesso 11.04.2025)





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