L’idea di far parlare coloro che hanno diretto il nostro museo dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso ad oggi, è parsa subito azzeccata e stimolante ad Anna Soffici e a me. Si tratta quantomeno di un tentativo per contenere – purtroppo non per annullare – la cappa opprimente dell’attualità, una sorta di “sindrome della diretta”, in cui la stragrande maggioranza di noi è immersa quotidianamente.
E’ scontato, se non addirittura banale, riaffermare che ogni tanto tornerebbe molto utile ripercorrere gli sviluppi registratisi in un determinato ambito negli ultimi trent’anni – per periodi più lunghi si sconfinerebbe quasi in una trattazione storica -, in modo tale da potersi giovare ancora delle preziose testimonianze dirette dei protagonisti. Dal mio particolare punto di vista di storico dell’arte entrato nei ranghi dell’Amministrazione dei Beni Culturali il 25 luglio 1990, prossimo quindi al pensionamento del 1° settembre 2024, sono forse nella condizione ideale per concludere questa rassegna a ritroso dei Direttori del Museo di San Marco che mi hanno preceduto.
Una prima osservazione di carattere generale mi pare possa consistere nella fortissima accelerazione del tasso di cambiamento da vent’anni a questa parte, non soltanto nella struttura del Ministero – al di là dei numerosi cambi di denominazione succedutisi nel tempo, che hanno avuto sempre un impatto meramente esteriore -, ma soprattutto per quel che riguarda la natura del mestiere dello storico dell’arte all’interno dell’Amministrazione.
Con la riforma del 2015 si può affermare, almeno in linea generale, che la figura dello storico dell’arte ha visto ridimensionato il suo ruolo all’interno del museo, detto così per semplificare, naturalmente. Ma è un fatto, soprattutto se ripenso agli anni del mio ingresso nella Soprintendenza per i Beni artistici e storici, che agli storici dell’arte spettava di dire “l’ultima parola” praticamente in tutti i campi: ordinamento delle collezioni; restauri; programmazione; didattica; mostre e relativi allestimenti; acquisti di attrezzature; pubblicazioni e altro ancora. Per fortuna, lo sviluppo e la presa di coscienza delle altre fondamentali figure professionali (funzionari restauratori; funzionari per la didattica; architetti; funzionari amministrativi, informatici e addetti alla comunicazione) ha condotto in maniera positiva al ridimensionamento di cui sopra. Meno positivo ritengo sia stato invece l’altro fattore decisivo del mutamento, oggi pienamente attuato, vale a dire il passaggio dal ministero preminentemente tecnico immaginato e costituito da Giovanni Spadolini a quello “politico” della riforma Franceschini.
Ma per tornare ai Direttori del Museo di San Marco, come non invidiare il carattere “pionieristico” della brevissima direzione di Luciano Bellosi, dal 1976 al 1979! Un connotato che informò, almeno nella prima parte, anche il lungo periodo della direzione di Giorgio Bonsanti. La possibilità cioè, per i pochi fortunati di allora, di operare scelte strategiche, che hanno avuto una durata nel tempo di gran lunga superiore rispetto a quella che capita di registrare negli anni più recenti. Potrei fare molti esempi al riguardo, senza scendere in casi specifici, ma cito qui in particolare i nuovi allestimenti, se non di intere collezioni, almeno di sezioni, rinnovate a brevissima distanza di tempo da una nuova direzione. L’altro dato straordinario – che tuttavia appare tale soltanto a coloro che l’hanno vissuto, e certamente non ai protagonisti attuali – è quello della mirabile unità storica, culturale, collezionistica e amministrativa, dell’incommensurabile patrimonio artistico fiorentino. Unità certamente percepita e riconosciuta da coloro che lavoravano nella Soprintendenza, e che, tra l’altro, favoriva anche l’avvio di progetti comuni fra i funzionari responsabili delle varie sedi, progetti di studio o anche espositivi e di riallestimento, talvolta anche con spostamenti di nuclei collezionistici. Pratiche che oggi sono oggettivamente assai rare, dopo la riforma del Ministero attuata nel 2015, incentrata sull’autonomia dei musei. Credo si possa affermare che nella situazione attuale, com’è naturale e si direbbe quasi inevitabile, soprattutto i grandi musei autonomi tendono a muoversi indipendentemente dagli altri e, in qualche caso, perfino in aperta “concorrenza”, che può assumere anche una connotazione personalistica con l’eventuale rivalità/incompatibilità fra direttori.
La direzione “storica” del museo di San Marco di Magnolia Scudieri – per me facilmente assimilabile a quella della sua amica e collega Franca Falletti della vicina Galleria dell’Accademia -, è certamente quella che ha inciso maggiormente su aspetti fondamentali, e soprattutto permanenti: l’uscita su via della Dogana, l’ordinamento del prezioso lapidario della chiesa di San Pancrazio a Firenze all’interno del chiostro dei Silvestrini, la sezione dedicata alle opere di Fra Bartolomeo, la “riscoperta” del colore verde delle origini sulle pareti della Biblioteca di Michelozzo, per ricordarne solo alcuni! Credo soprattutto che Magnolia abbia stabilito con il museo un tipo di rapporto che oggi sarebbe irripetibile – per più ragioni di ordine diverso -, caratterizzato da una lunghissima durata e inoltre da una sorta di legame “privato”, se non addirittura di tipo “familiare”, che si rifletteva, ritengo di poterlo affermare, anche nei rapporti con il personale.
La prima direzione del museo post-riforma è stata quella di Marilena Tamassia, cui dobbiamo la progettazione della nuova sala del Beato Angelico, in occasione della ricorrenza dei 150 anni dall’apertura del museo nel 1869, realizzata poi all’inizio della mia direzione grazie al generoso supporto economico dei Friends of Florence, da sempre a fianco del museo per sostenerne i progetti. A Marilena spetta anche il merito dell’avvio della collana dei “Quaderni del Museo di San Marco”, strumento ufficiale d’importanza fondamentale, come per ogni museo, necessario per dare conto dell’attività scientifica dell’istituzione.
Per quanto mi riguarda, devo dire che l’arrivo al Museo di San Marco all’inizio del maggio 2020 ha rappresentato una straordinaria occasione di riconciliazione con il mestiere, dopo l’abbandono “forzato” della Direzione della Galleria dell’Accademia nel 2015 in seguito alla riforma del ministero. L’incontro e la presa di coscienza piena, con la frequentazione quotidiana, di uno dei luoghi-simbolo di Firenze più densi di significati storici, artistici, spirituali, resterà un’esperienza che mi accompagnerà certamente per gli anni a venire.
In ultima analisi e in sintesi, posso dire di aver sperimentato un’occasione straordinaria di accrescimento culturale e professionale, che mi porta a concludere con grande soddisfazione la mia carriera di storico dell’arte nel Ministero della Cultura. Fuori da ogni retorica e patetismo di circostanza, che proprio non sono compatibili con l’ironia e l’autoironia che grazie a Dio sono al mio fianco da sempre, adesso mi rendo pienamente conto delle occasioni bellissime che mi sono capitate. Dal 1990 ho potuto lavorare alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti – che a dispetto della “cancellazione” amministrativa resta insopprimibile nella storia di questa città -, alla Galleria dell’Accademia, dapprima come funzionario, per approdare poi alla Galleria degli Uffizi con Antonio Natali dal 2006 e fino al 2013 – certamente il periodo più gratificante sul piano professionale – e poi nuovamente alla Galleria dell’Accademia come direttore.
Non posso, e naturalmente non voglio, fare un bilancio della mia direzione al museo di San Marco – magari lo farò da pensionato in un’intervista per questo blog, su richiesta del prossimo direttore! -, ma desidero indicare le cose che mi sembrano più interessanti e suscettibili di approfondimento/miglioramento per il museo. A cominciare proprio dal blog, che è diventato la voce social “ufficiale” più importante e seguita del museo -, ed è stata credo la mia prima iniziativa -, senza dimenticare Facebook, Instagram e il canale YouTube.
E’ superfluo affermare che questi aspetti della comunicazione, affidati al coordinamento di Anna Soffici, con Laura Pellegrini una delle due curatrici del museo e dei Cenacoli, sono destinati a essere sviluppati e potenziati, compatibilmente con il personale disponibile e, auspicabilmente con un’organizzazione diversa che ne consenta un maggiore sviluppo, tenendo comunque ben presente il fatto che il Museo di San Marco non è un museo autonomo.
Credo di poter dire che i numeri 4 e 5 dei “Quaderni del Museo di San Marco”, pubblicati durante la mia direzione, documentino una linea-guida della nostra attività, quella cioè di valorizzare nel percorso museale gli ambienti e le opere che sostanziano il connotato di luogo privilegiato delle memorie domenicane. Un connotato, quest’ultimo, particolarmente curato e documentato all’apertura del museo nel 1869, che con il passare del tempo e soprattutto negli ultimi decenni si era invece quasi esaurito, “offuscato” dall’affermazione costante e inarrestabile del pieno riconoscimento dell’altissimo genio pittorico dell’Angelico.
Il riallestimento delle celle tradizionalmente ritenute abitate da Fra Girolamo Savonarola e da sant’Antonino Pierozzi, supportato dalle ricerche documentarie e storico-iconografiche delle curatrici del museo, Laura Pellegrini e Anna Soffici, ha riportato all’attenzione del pubblico due figure di primo piano, non soltanto per le vicende di San Marco, ma anche per la storia fiorentina.
Il restauro della Sala del Refettorio grande, attualmente in corso grazie a una cospicua sponsorizzazione privata, restituirà al museo nei prossimi mesi un ambiente di grande impatto, che finalmente valorizzerà come merita l’importante sezione dei dipinti della Scuola di San Marco. Inoltre, è già avviato da tempo il cantiere che porterà al recupero di ampi spazi prospicienti sul chiostro di San Domenico in un futuro non troppo lontano, dotando il museo di servizi indispensabili, quali il guardaroba, nuovi spazi espositivi e nuovi servizi igienici e, soprattutto, un ascensore. Con queste premesse senza dubbio positive, il futuro del Museo di San Marco appare ben indirizzato, verso meditate innovazioni che non comportino l’unico vero rischio che può correre. Quello cioè di vedere snaturato il suo ruolo di luogo eminente della storia di Firenze, sul piano civile, ma soprattutto religioso, e inoltre, di “santuario” insostituibile dell’arte del Beato Angelico, fondatore e massimo interprete con Masaccio della pittura del primo Rinascimento.
Angelo Tartuferi


Caro Angelo, la “sezione dedicata alle opere di Fra Bartolomeo” è stata realizzata nel periodo della mia direzione. Su quanto scrivi sono d’accordo su alcune cose e su altre no, come è naturale. Personalmente sono contento di aver fatto il mestiere di direttore di Musei negli anni 1974-1988, anche se mi rendo ben conto di quanto fosse insufficiente, a quell’epoca, l’attenzione dedicata ai fruitori (“comunicazione”) e al coinvolgimento delle comunità locali. Un abbraccio, ad maiora, il tuo Giorgio
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