Oggi i corridoi del convento di San Marco, museo statale dal 1869, sono per lo più silenziosi e popolati da visitatori pacifici, ma vi fu un tempo in cui vi rimbombarono le urla dei soldati impegnati in una battaglia furiosa. L’8 aprile 1498 vi ebbe infatti luogo uno scontro armato che segnò la fine della parabola di Fra Girolamo Savonarola, controverso predicatore domenicano nonché priore del convento dal luglio 1491.
La battaglia fu l’atto finale di un lungo braccio di ferro che aveva opposto il frate ferrarese a papa Alessandro VI e alle fazioni fiorentine ostili al Priore. Fra Girolamo, da sempre critico verso il papato di Rodrigo Borgia e il potere autoritario dei Medici, era stato spesso duro nelle prediche esortando i governanti a rispettare il messaggio originale del Vangelo, a rinunciare ai lussi e a ben indirizzare le ambizioni terrene. I rapporti con il pontefice si erano progressivamente fatti più tesi finché il 12 maggio 1497 Alessandro VI scomunicò Savonarola accusandolo di aver divulgato una «pernitiosa dottrina»; al che il frate rispose con le lettere pubbliche “Contro la escomunicazione surrettizia” e “Contra sententiam excommunicationis”. La tensione raggiunse il culmine quando papa Alessandro VI pretese che la Repubblica di Firenze, di cui Savonarola era stato ispiratore, entrasse in una Lega antifrancese, la cosiddetta Lega santa, a dispetto dei buoni rapporti diplomatici di Fra Girolamo con re Carlo VIII.
Nel marzo 1498 fra Domenico da Pescia, sodale di Savonarola, accettò la sfida del minorita Francesco di Puglia, uno dei più accaniti avversari del Priore appartenente alla comunità francescana osservante del convento di San Salvatore a Monte, di cimentarsi in una prova del fuoco per stabilire se la scomunica del Frate ferrarese fosse valida o meno. La sfida tra domenicani e francescani dava la possibilità di accertare una volta per tutte l’investitura divina di Savonarola come profeta. Nonostante i molti dubbi sull’opportunità di questa prova, la Signoria fissò lo svolgimento dell’ordalia per il giorno 7 aprile, davanti a Palazzo Vecchio, dove fu edificato un grande palco alto quattro braccia e lungo cinquanta. Le cronache raccontano che un lungo corteo raggiunse la Piazza: duecentocinquanta frati a coppie, in ordine di età, salmeggiando devotamente; alla loro testa fra Domenico da Pescia con un piviale di velluto rosso, che reggeva una croce alta quattro metri; dietro di lui Savonarola con un manto bianco preziosamente ricamato portava un ostensorio d’argento; e infine, a seguire, una moltitudine di cittadini con delle torce in mano. Secondo lo storico Francesco Guicciardini il loro arrivo fu così impressionante che «non solo confermò e’ partigiani sua, ma etiam fece balenare gli inimici». La prova non ebbe mai luogo perché entrambe le parti accamparono varie scuse, come la possibilità che il piviale potesse essere incantato, finché nel pomeriggio si scatenò un violento nubifragio e tutti tornarono a casa. La maggior parte dei fiorentini, tuttavia, restò delusa perché si aspettava un miracolo dal Savonarola. Ben presto la delusione che serpeggiava nel popolo si trasformò in rabbia e odio. Un rogo avrebbe avuto luogo di lì a breve, e non sarebbe stato un miracolo.

Le fazioni ostili a Savonarola accortesi che il Priore non era più amato come un tempo, decisero di prendere la palla al balzo. La mattina dell’8 aprile 1498, la Domenica delle Palme, i Piagnoni, così venivamo chiamati dispregiativamente i sostenitori di Savonarola, vennero insultati in vari luoghi della città. In Santa Maria del Fiore fra Mariano Ughi venne duramente contestato e gli fu impedito di salire sul pulpito per fare la sua predica. Fuori dal Duomo, i Compagnacci erano pronti a trasformare l’incidente in un pretesto per scatenare un tumulto antisavonaroliano. Il peggio tuttavia doveva ancora arrivare. Nel corso della giornata la tensione salì rapidamente, alimentata dalla fazione politica degli Arrabbiati che non si fece scrupolo di aizzare il popolo contro Savonarola e i Piagnoni. Già prima del calar del sole ebbero luogo alcuni episodi violenti, come l’omicidio a sangue freddo di un giovinetto della famiglia dei Pecori, scambiato per un piagnone, colpevole solo di trovarsi per caso sulla via mentre era diretto all’Annunziata per recitare i vespri. La situazione degenerava e, al grido di «All’arme! A San Marco!», in molti si andavano radunando minacciosamente intorno al convento dove si trovava Savonarola. La campana di San Marco, che in seguito a quei fatti sarebbe stata soprannominata la Piagnona, suonava ripetutamente a martello per chiamare a difesa tutti quelli che ancora erano dalla parte del Frate. Savonarola stesso volle uscire sulla Piazza con un crocifisso in mano, intenzionato a consegnarsi, dicendo: «lasciatemi andare perché è a causa mia che è scoppiata questa tempesta», ma i suoi sostenitori, con i frati in lacrime, lo ricacciarono dentro al convento. Dopo una sosta nella sua cella, in sagrestia vestì i paramenti liturgici e si ritirò in coro, dove si mise a pregare inginocchiato davanti al Sacramento.

A questo punto ebbe inizio la battaglia vera e propria, descritta dalle cronache del tempo e dalle biografie savonaroliane, fra cui si distingue per vivacità e dettagli quella dello Pseudo-Burlamacchi. Ai circa duecento frati asserragliati si unirono solo poche decine di persone rimaste fedeli al frate ferrarese. Per respingere gli assalitori, alcuni salirono sul tetto per gettare tegole e sassi, altri presero le armi. Tra i difensori c’erano anche il pittore Baccio della Porta, che, come scrive Padre Vincenzo Marchese, «pari al valore nel dipingere non avea quello del combattere» e il miniatore Fra Benedetto, detto il Luschino, il quale, «di lui più animoso, già aveva indossate le armi». Lo Pseudo-Burlamacchi racconta anche di Francesco Valori, cinquantanovenne gonfaloniere di giustizia, descritto da Guicciardini come uno degli uomini da bene che si erano prodigati per limitare le vendette del popolo contro i sostenitori dei Medici, intervenuto a difesa della comunità di San Marco. Uscito dal convento per andare in soccorso della sua famiglia, fece in tempo a vedere bruciare il suo Palazzo e assistere all’assassinio della moglie, fu quindi raggiunto mentre cercava di nascondersi e trucidato. L’intervento della Signoria impedì il dilagare delle violenze civili, che rimasero limitate a un numero modesto di case e di beni appartenenti ai personaggi più vicini a Savonarola. Paradossalmente, a ritrovarsi senza protezione della forza pubblica, fu il solo convento di San Marco.

I Piagnoni erano tuttavia decisi a vendere cara la pelle e non esitarono a tirare di fucile dal tetto e dal campanile. Mentre Savonarola pregava nel coro insieme ai suoi confratelli più stretti, gli assalitori diedero fuoco alle porte. Alcuni di loro, scalate le mura del convento, entrarono nei chiostri, saccheggiarono l’infermeria e le celle, giunsero nella sagrestia e cercarono di forzare la porta sbarrata per entrare nel coro dove i frati, apparentemente incuranti della battaglia, stavano cantando “Salvum fac populum tuum, Domine”.

La battaglia si trasferì all’interno del convento e divenne ancora più aspra. Nella sua cronaca, lo speziale Luca Landucci sostiene che il conto finale delle vittime superò le cento unità, lo Pseudo-Burlamacchi scrive che gli assalitori penetrati nella chiesa «contaminavanla di sangue e di stragi; e venuti da vicino alle prese con i Piagnoni, cominciossi una fierissima zuffa, la quale, fra il baglior delle fiamme, il fumo densissimo, e le bestemmie dei feriti e dei morenti, era cosa spaventosa a udire e a vedere». Sangue, urla, morti e bestemmie nei luoghi da cui fino a poche ore prima Fra Girolamo aveva tuonato contro i potenti e ammonito i fedeli a seguire la parola di Dio con dedizione assoluta.

I difensori combatterono strenuamente: Fra Luca della Robbia, detto il giovane, figlio di Andrea, inseguì gli assalitori spada alla mano per i chiostri e il tedesco fra Enrico, strappato un archibugio dalle mani di un Arrabbiato, salì sul pulpito dove Savonarola era solito fare le prediche per sparare sui nemici, pronunciando ad ogni colpo: “Salvum fac populum tuum, Domine”. La chiesa era ora piena di fumo e ovunque si udivano i gemiti dei feriti e i rantoli dei moribondi. Savonarola, devastato dal non poter fare nulla per fermare quello scempio, abbandonò il coro mormorando: «egli è bene pigliare qualche sollevazione» e, preso il Sacramento, se ne andò con i suoi frati in dormitorio e poi nella biblioteca.

Lo squilibrio delle forze era evidente e il destino di Savonarola era ormai segnato. Lo Pseudo-Burlamacchi descrive la parte finale della battaglia, un furioso corpo a corpo tra Piagnoni e Arrabbiati che ebbe luogo nel coro: «acquistando via via terreno gli avversarj, la mischia si ridusse nel coro, e in quella ristrettezza di luogo, tanta fu la resistenza, che né per uccisioni né per ferite poteano aprirsi un varco per quella via. Da ultimo, scalati i muri del giardino, cinsero i Piagnoni di fronte alle spalle». La manovra aggirante segnò la fine della contesa. Gli assalitori portarono un ordine della Signoria che imponeva al Frate di presentarsi a Palazzo.

E Savonarola, come reagì alla disfatta? Qualcuno gli propose di fuggire facendosi calare dalle mura del convento, ma quando Fra Malatesta gli disse: «non deve il pastore mettere la sua vita per le sue pecorelle?», il Priore lo abbracciò e, davanti ai confratelli riuniti in Sala Greca, pronunciò le ultime parole di conforto e commiato. Dopo essersi confessato e comunicato, baciò tutti, restituì le chiavi del convento e, quando era ormai notte, si consegnò ai commissari della Signoria che lo attendevano all’ingresso della biblioteca. Tuttora una lapide ottocentesca commemora questo episodio.

L’epilogo di Savonarola è noto: il carcere, la tortura, i processi e il martirio in Piazza della Signoria. I suoi seguaci piombarono nello sconforto più assoluto. Fra di essi, alcuni artisti famosi ricordati da Vincenzo Marchese: Baccio della Porta, che poi sarebbe diventato frate domenicano col nome di Bartolomeo, «ferito nel più profondo dell’animo, sgomento di quella tragedia, di consiglio e di conforto incapace, fermò nell’animo di abbandonare il dipingere, spenta col Savonarola la fiamma che porgeva alimento al suo fervido immaginare. Lo scultore Baccio da Monte Lupo, fuggendo lo sdegno degli avversari, abbandonata la famiglia e la patria, andò lunga pezza peregrinando per l’Italia. Sandro Botticelli, il Cronaca, Lorenzo di Credi e gli altri fautori e seguaci del Frate, da profondo dolore compresi, per alcun tempo lasciarono le arti dilette».
Raffaele Terzoni

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Burlamacchi (Pseudo), La vita del Beato Ieronimo Savonarola, scritta da un Anonimo del sec. XVI e già attribuita a fra Pacifico Burlamacchi, Firenze, Olschki, 1937.
Vincenzo Marchese, Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani, Firenze, presso Alcide Parenti, 1845 (edizioni successive Le Monnier 1854,1869, 1878-79)
Roberto Ridolfi, Vita di Girolamo Savonarola, Angelo Belardetti Editore, Roma 1952; Sansoni, 1974; VI ed. riveduta, Sansoni, Firenze, 1981; ristampa della VI ed., con note di E. Garin, Le Lettere, Firenze, 1997
Cao, N. Pons, A. Tarquini, L’età di Savonarola. I luoghi, la storia, l’arte. Venezia, Marsilio editore, 1996
Marco Pellegrini, Savonarola. Roma, Salerno editrice, 2020
Fra Girolamo Savonarola nel Museo di San Marco, a cura di Angelo Tartuferi, Quaderni del Museo di San Marco Direzione regionale musei della Toscana, n. 4, Livorno, Sillabe, 2022
IMMAGINI
Quasi tutte le immagini, come segnalato nelle didascalie, sono tratte dall’esposizione “Savonarola. La battaglia di San Marco” del pittore fiorentino Alessandro Vannini, svoltasi nel maggio 2019 nel Chiostrino “dei morti” della chiesa di San Marco a Firenze e in parte riproposta, assieme ad altri soggetti, nella mostra “Le Battaglie” (Spazio delle arti La Soffitta, Sesto Fiorentino, marzo 2023). L’opera, una sorta di work in progress, si articola in una serie di grandi disegni a carboncino, in parte realizzati in studio, in parte eseguiti sul posto, altri ancora da realizzare, che illustrano le drammatiche vicende dell’arresto di Savonarola, con l’assedio al convento di San Marco e la battaglia che ne seguì. Una rivisitazione potente e concitata che diventa specchio emblematico dell’umana sofferenza e del mistero del male.


