“Noli me tangere”: genealogia di un soggetto

Vi sono in ambito figurativo dei soggetti che – per l’assidua e insistita frequentazione di cui nel corso dei secoli sono stati oggetto e per la conseguente familiarità cui essi ci hanno abituato – meno di altri sembrano stimolare la nostra curiosità filologica e la nostra attitudine investigativa, quasi che la loro origine sia talmente ovvia da non necessitare di ulteriori approfondimenti e la loro legittimità talmente indiscutibile da risultare immune da dubbi.
Uno di questi soggetti è senz’altro quello raffigurante l’incontro tra la Maddalena e il Cristo risorto, pressoché da sempre universalmente noto col titolo di Noli me tangere, dalle parole che Gesù avrebbe in quell’occasione rivolto alla donna. Tuttavia, a dispetto della sua immediata riconoscibilità e della sua all’apparenza facile lettura, esso merita più che mai che se ne indaghi la genealogia, ovvero che si attinga direttamente alla sua fonte. Procediamo dunque, e chissà che non ci attenda qualche insospettata sorpresa.

Beato Angelico, Noli me tangere, iniziale miniata dal Graduale di San Domenico, 1425-30, tempera su pergamena (Firenze, Museo di San Marco)

1. Il racconto dei Vangeli

Del notissimo episodio gli evangelisti ci offrono in realtà versioni tra loro molto differenti e talora in-conciliabili.
Luca, tanto per cominciare, non ne parla affatto. Esattamente come gli altri sinottici, egli nomina Maria di Màgdala tra le donne che il mattino dopo il sabato si recano al sepolcro ed alle quali viene annunziato che Gesù è risorto (Lc, 24, 1-10). Ma, una volta riferito il tutto ai discepoli, esse – e la Maddalena insieme a loro – scompaiono dal racconto lucano, il quale prosegue affermando che il Cristo apparve per la prima volta ai due discepoli messisi in cammino quello stesso giorno verso Emmaus (Lc, 24, 13-32).

Giotto, Noli me tangere (part.), 1304-06, affresco (Padova, Cappella degli Scrovegni)

Sul fatto che la Maddalena abbia avuto il privilegio di essere la prima ad incrociare lo sguardo del Risorto concordano invece tutti gli altri evangelisti. In Matteo, però, ella condivide questo primato con un’“altra Maria”, ovvero la madre di Giacomo: Cristo va incontro a entrambe mentre esse stanno venendo via dal sepolcro, dirette ad informare i discepoli (Mt, 28, 8-10). Non solo. Nello stesso luogo si legge anche che, non appena egli le ebbe salutate, “esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono” (Mt, 28, 9): ovvero, senz’ombra di dubbio, lo toccarono.

Duccio di Buoninsegna, Noli me tangere, dalle scene della vita di Cristo della Maestà del Duomo di Siena, 1308-11, tempera e oro su tavola (Siena, Museo dell’Opera del Duomo)

L’esclusiva della prima manifestazione del Risorto la Maddalena la ottiene finalmente da Marco e Giovanni.
Il brano del primo è tuttavia assai curioso, poiché, nel giro di pochi versetti, la Maddalena vi figura due volte e con due ruoli diversi. Prima è del gruppo di donne che scoprono il sepolcro vuoto, come in Luca e Matteo – con la differenza, però, che stavolta esse contravvengono all’invito dell’angelo da loro incontrato e non riferiscono a nessuno ciò che hanno visto ed appreso (Mc, 16, 1-8) –. Dopo di che, in maniera oltremodo succinta, la Maddalena viene indicata come colei cui Gesù, in un secondo tempo, appare per la prima volta e come colei che ne annunzia ai discepoli la resurrezione (Mc, 16, 9-11).
Molto più articolato, invece, l’omologo testo di Giovanni, in cui, come spesso accade nell’autore del quarto Vangelo, sparse eco dei racconti dei sinottici si riconnettono in modo del tutto originale, dando vita a un insieme nuovo per profondità e ricchezza di suggestioni.

Lorenzo Monaco, Noli me tangere, cuspide della Pala Strozzi, 1424-25, tempera e oro su tavola (Firenze, Museo di San Marco)

Innanzitutto Giovanni sgombra il campo dalle incertezze di Marco e fa della Maddalena l’unica e in-contrastata protagonista degli avvenimenti di quel mattino. È lei, da sola, che “quand’era ancora buio” si reca al sepolcro, lo scopre vuoto e va poi ad avvisare i discepoli (Gv, 20, 1-2). E quando Pietro e Giovanni corrono a vedere, lei li segue: infatti è lì che piange presso il sepolcro quando essi ne escono e ritornano a casa (Gv, 20, 10-11). Rimasta di nuovo da sola, si china ancora, in lacrime, verso il sepolcro e proprio lì, dove poc’anzi i due discepoli non hanno visto che le bende e il sudario abbandonati, a lei invece appaiono due esseri angelici che le domandano perché mai pianga (Gv, 20, 11-13).
Essa sta spiegando loro che il suo Signore è scomparso, quand’ecco un uomo in piedi alle sue spalle le pone la stessa domanda. È Gesù, ma la povera Maddalena – vuoi l’agitazione, vuoi le lacrime che le offuscano la vista, vuoi la luce incerta del primo mattino – non lo riconosce; pensa sia il custode del giardino, e quindi lo prega, se è stato lui a portare via il corpo, di dirle dove lo ha messo (Gv, 20, 13-15). L’equivoco però dura poco, ché appena lui la chiama per nome, lei di slancio risponde “Maestro!” (Gv, 20,16).
E adesso, appunto, prima di accommiatarsi da lei, invitandola ad andare a riferire il tutto ai suoi fratelli, Gesù le rivolge le famose parole (Gv, 20, 17). Dopo di che la Maddalena torna dagli undici ad informali di quanto le è avvenuto ed esce definitivamente di scena (Gv, 20, 18).

Beato Angelico, Noli me tangere, 1440-42, affresco (Firenze, Museo di San Marco)

2. Nascita di un’iconografia

È quindi il Vangelo di Giovanni il testo narrativo di riferimento che sta all’origine del nostro soggetto figurativo. Non è certo Luca, che ne tace. Non è Matteo, ché altrimenti la Maddalena, oltre a non venire in nessun modo inibita nel suo slancio affettuoso, dovrebbe inoltre essere in compagnia dell’“altra Maria”. Non è nemmeno Marco, il cui racconto è troppo vago e scarno per stimolare l’immaginazione. Tutto il contrario di quello giovanneo, così mosso, evocativo e vibrante di colori oltre che di sentimenti.
Ad attrarre, del racconto di Giovanni, è in particolar modo la complessa dinamica attraverso la quale si struttura il momento del riconoscimento-svelamento del Cristo: un sapiente, patetico crescendo che raggiunge il culmine ed ha il suo scioglimento nel “Maestro!” urlato dalla Maddalena e nel gesto istintivo con cui essa si protende ad abbracciarlo. Un gesto che l’evangelista non descrive e che siamo indotti a ricostruire intuitivamente dal susseguente ed altrimenti immotivato monito rivoltole da Gesù di non toccarlo. Un gesto, tuttavia, la cui forza espressiva è tale da imporsi immediatamente e indiscutibilmente quale fulcro e nodo drammatico della scena.

Tiziano, Noli me tangere, 1511 ca., olio su tela (Londra, National Gallery)

Ed è infatti a raffigurare quel gesto che si cimenteranno nei secoli gli artisti, tentando di dar forma e vita a quel commosso e commovente slancio, così come al conseguente e parallelo distanziarsene del Cristo. Giacché viene naturale immaginare che egli, mentre avverte di non voler essere toccato, nello stesso tempo cerchi in qualche modo di impedire o di evitare il contatto.
Ecco dunque che il nostro soggetto, nella sue linee essenziali, è bell’e apparecchiato: da un lato la Maddalena, una o entrambe le mani protese verso il Cristo; dall’altro costui, in atto di vietare o di eludere l’approccio.
Ma siamo poi così sicuri che le cose siano andate proprio in questo modo?

Albrecht Dürer, Noli me tangere, dalla Piccola Passione, 1511, xilografia (Londra, British Museum)

3. Questioni filologiche ed interpretative

Il dubbio viene eccome, anche solo per il fatto che in Matteo, come si è visto, Gesù non pensa affatto a diffidare le donne alle quali è apparso dal toccarlo, ma, anzi, lascia volentieri che esse esprimano tutta la comprensibile ed inaspettata gioia di rivederlo afferrandogli i piedi (Mt, 28, 9). Che senso ha dunque il divieto riportato da Giovanni? E, innanzitutto, significa proprio ciò che si è sempre creduto?
Nell’originale greco, la frase pronunciata dal Risorto, presa per intero, suona così: μὴ μου ἅπτου, οὔπω γὰρ ἀναβέβηκα πρὸς τὸν πατέρα, che nella Vulgata di san Gerolamo diventa: noli me tangere, nondum enim ascendi ad Patrem meum, ossia “non toccarmi, poiché non sono ancora salito al Padre mio”. Ed è così che è stata tramandata e letta in tutto l’Occidente.

Tintoretto, Noli me tangere, 1580 ca., olio su tela (Toledo-Ohio, The Toledo Museum of Art)

Ora, a parte la scelta di rendere ἀναβέβηκα (letteralmente “(non) sono ritornato”) con ascendi e l’aggiunta di meum a Patrem, il vero punto dolente della traduzione geronimiana sta proprio in quel tangere, parso spesso troppo diretto e materiale, e quindi inadatto a restituire il senso più autenticamente spirituale dell’episodio. Tant’è vero che nella Nova Vulgata (1a ed. 1979) si è senz’altro provveduto a sostituirlo con tenere, in modo da dar luogo, in traduzione italiana, ad un molto meno ambiguo “non trattenermi”.
Questa correzione, se non tradisce o contraddice affatto il senso generale del passo giovanneo, sembra tuttavia far grande torto alla sua lettera, poiché il termine usato dall’evangelista non lascia molto spazio all’interpretazione. Esso proviene dal verbo ἅπτω, che vuol dire “attaccare, legare, collegare”; nella forma media però – che è appunto quella in cui ricorre nel brano – significa invece “attaccarsi, legarsi” e di conseguenza “toccare”, ma, soprattutto, “afferrare, prendere, stringere, abbracciare”.

Rembrandt van Rijn, Noli me tangere, 1651, olio su tela (Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum)

Se, dunque, alla versione di san Gerolamo si deve rimproverare qualcosa, è caso mai un difetto di materialità, non un eccesso, ché col suo tangere egli sembra anzi essersi voluto tenere un po’ sul vago rispetto all’originale. All’interno della gamma di significati del verbo greco, egli infatti ha scelto il corrispettivo latino meno compromettente e, in certo senso, più asettico. Tangere può infatti voler dire “toccare” ma anche “sfiorare”.
Non solo. Se odo qualcuno dire a un altro di non stringerlo o di non abbracciarlo, mi viene per ciò stesso da pensare che quel qualcuno sia stato afferrato da quell’altro. Se odo invece qualcuno dire a un altro di non toccarlo, non ho alcun motivo di dedurre automaticamente che fra quei due sia già avvenuto o stia avvenendo un contatto: potrebbe trattarsi di un semplice avvertimento preventivo.

Anton Raphael Mengs, Noli me tangere, 1771, olio su tela (Londra, National Gallery)

Per ricapitolare, nulla vieta di reputare le parole del Cristo come un invito a non essere trattenuto, tanto più che sono seguite dalla confessione di non avere ancora fatto ritorno al Padre. Tuttavia non è affatto pacifico che esse escludano per principio che la Maddalena, esattamente come nel brano di Matteo, abbia stretto l’amato Maestro, quel Maestro che credeva di aver perduto per sempre.
E, in fondo, cosa si può immaginare di più commovente ed umano di un Cristo che si lascia riabbracciare da una Maddalena in lacrime, per poi pregarla dolcemente di lasciarlo andare da chi attende anche Lui di poterlo nuovamente stringere a sé?
Ciò nonostante, ad imporsi come sola ed esclusiva norma interpretativa nonché rappresentativa dell’episodio fu l’immagine di un Cristo che si nega al tocco della Maddalena. Ed alla semplice raffigurazione di costoro nel momento in cui all’azione dell’una segue pronta la reazione dell’altro diamo appunto il titolo di Noli me tangere.
Ma, giacché ogni regola, come recita il vecchio adagio, ha le sue eccezioni, prima di chiudere il nostro breve excursus ci sia consentita una piccola deviazione.

Anonimo; Nolite me tangere, fine del XII – prima metà del XIII sec., mosaico (Monreale, Duomo)

4. Regola ed eccezione

La prima tappa è poco fuori Palermo, precisamente nel Duomo di Monreale. All’interno di questo, e precisamente sulla parete sinistra del transetto, fra i mosaici raffiguranti episodi della Passione, della morte e della resurrezione di Gesù, è dato di ammirare una versione a dir poco originale del nostro soggetto.
Infatti, mentre il Cristo – al centro – è ritratto come di consueto in atto di evitare il contatto con Maria di Màgdala – a sinistra –, ecco che a destra la scena si arricchisce di un inatteso terzo protagonista. Si tratta di una seconda figura femminile, inginocchiata, che l’iscrizione sovrastante ci aiuta subito ad individuare come “Maria Jacobi”. L’“intrusa”, dunque, altri non è che quella Maria madre di Giacomo che, come abbiamo visto sopra, il Vangelo di Matteo ci dice che spartì con la Maddalena il privilegio del primo incontro col Risorto (Mt, 28, 8-10).
Chissà per quale motivo, le anonime maestranze – in parte locali e in parte provenienti da Venezia – che, a cavallo tra XII e XIII secolo, realizzarono la sontuosa decorazione musiva della cattedrale siciliana, scelsero dunque di operare un’audace quanto inedita integrazione del racconto di Giovanni con elementi tratti da quello di Matteo. Una integrazione resa ancor più esplicita dalla stupefacente correzione apportata alle parole del Cristo trascritte in alto, non più al singolare ma al plurale (nolite me tangere anziché noli) e che rappresenta un duplice tradimento: nei confronti della lettera del testo giovanneo innanzitutto, ma soprattutto nei confronti del senso di quello di Matteo, che ci riferisce di effusioni e non di divieti.

Anonimo, Noli me tangere e Giuda impiccato, dal dittico con scene della Passione detto Dittico latino, prima metà del IX sec., avorio (Milano, Tesoro del Duomo)

Ma proseguiamo la nostra piccola deviazione e raggiungiamo la seconda tappa: Milano. Qui, nel Tesoro del Duomo, è conservato il dittico eburneo cosiddetto latino, risalente ad epoca carolingia. Si tratta di un documento notevole sotto molti aspetti, in primo luogo perché, tra le diverse scene della Passione e resurrezione di Cristo che ne adornano le valve, è possibile ammirare uno dei più antichi esempi pervenutici del nostro soggetto.
Singolare che, a condividere lo spazio con l’episodio giovanneo, vi sia, sulla destra, la raffigurazione di Giuda che si toglie la vita impiccandosi (Mt, 27, 5). Ma, a ben guardare, qualcosa di ancor più singolare è contenuto nell’interpretazione che l’intagliatore bizantino ha dato del Noli me tangere. Giacché le mani protese della Maddalena non paiono affatto librarsi nel vuoto che le separa dal Cristo, ma sembrano piuttosto esser riuscite nell’intento di afferrare l’amato Maestro, o quantomeno un lembo della sua veste. Tant’è vero che costui, più che sottrarsi al tocco, pare stia tentando di liberarsi da una presa.
Come giustificare questo “strappo” alla regola? Che l’ignoto autore dell’opera si sia ironicamente voluto prendere delle libertà? Suona abbastanza inverosimile. È più semplice e corretto credere che, date le sue origini orientali, egli avesse maggiore dimestichezza col testo originale greco piuttosto che con la sua più ascetica versione latina, e che quindi sia stato per lui normale procedere ad una trasposizione più letterale e aderente dell’episodio.
E con ciò saremmo giunti al termine del nostro breve viaggio, non fosse per l’improvviso riaffiorare alla memoria del sottoscritto di un suo giovanile – ma per fortuna fugace – errore. Perdonate pertanto se ci si attarderà a fare una terza ed ultima tappa.

Guercino, Apparizione di Gesù risorto alla madre, 1629, olio su tela (Cento, Pinacoteca Civica)

Siamo a Cento, patria del Guercino. E di costui appunto la locale Pinacoteca Civica ospita, tra le altre, una tela che uno sguardo frettoloso e inesperto – ogni riferimento a fatti o persone è del tutto volontario – battezzerebbe senz’altro come un Noli me tangere. C’è un fulgido Gesù risorto; c’è una trepidante figura di donna che, le ginocchia piegate, protende una mano verso di lui: tutto sembra corrispondere al noto “schema”.
Non tutto tutto, però. Ché, a guardare meglio, quella mano lo tocca eccome il Cristo, incontrovertibilmente. Possibile? Passi un oscuro intagliatore di lingua greca del IX secolo, ma un Guercino, in pieno 600…! Ma non è finita qui, ché, a giudicare dalla posizione dei piedi, si ha l’impressione che sia Gesù stesso che si stia offrendo a quel tocco, anzi, che lo stia addirittura ricambiando! Eh sì, giacché di chi altri può essere quella mano in penombra, sulla spalla di lei, se non del Cristo?
Un Noli me tangere tanto “sregolato” finirebbe per rinnegare se stesso. Fortuna che alcuni dettagli ci aiutano a trovare la retta via. Innanzitutto quel libricino sulla destra, lasciato aperto su d’un piano che ha tutta l’apparenza di uno scrittoio. Non siamo quindi in prossimità del sepolcro, ma in un interno, in una stanza, come ci confermano anche la cortina in alto a destra e il pavimento levigato, che in un primo tempo ci erano sfuggiti. Quando infine ci accorgiamo che è un inginocchiatoio quello che fa da puntello alla presunta Maddalena, ci risolviamo finalmente a dare un’occhiata alla didascalia – ci avessimo pensato prima… – e scopriamo così trattarsi non di un Noli me tangere, bensì di una Apparizione di Gesù risorto alla madre.
A nostra parziale discolpa – e dello studente che il sottoscritto fu – c’è da dire che un tema tanto inusuale è di primo acchito difficilissimo da decifrare. Specie poi se si presenta in forme tanto prossime a quelle proprie di un soggetto ben altrimenti noto e familiare. Seppure anche questi, come si è visto, nascondano non poche insidie e siano pertanto da prendere cum grano salis.

SERGIO AMATO

4 commenti

  1. Grazie Sergio per il piacevole e gustoso saggio, che ho letto con attenzione e di cui, spero presto, di poterne parlare con te in compagnia di un caffè. saluti

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    1. Ringrazio davvero per l’articolo molto interessante, segnalo quella che per me è una svista. Il Cristo afferrato dalla Maddalena nell’avorio milanese, mi era sembrata un’iconografia molto audace; andando a recuperare le immagini dell’interno pezzo, si rende evidente che quello non può essere il Cristo, apparirebbe li soltanto senza aureola, altrimenti a tutto il ciclo; l’episodio sarebbe oltretutto anche precedente al Sepolcro, quandominvece mi pare ci sia una successione precisa di avvenimenti. A questo punto, l’avrei letto più come il tradimento di Pietro, ma la lettura della scheda del catalogo del Museo del Duomo di Milano lo legge come Giuda che tenta di restituire i soldi, effettivamente in linea con la successiva impiccagione.
      grazie Luisa Strada

      mi complimento davvero per il bel sito e grazie ancora

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      1. Ringrazio la signora Luisa Strada per aver rilevato quello che lei, molto gentilmente, ha definito una svista, ma che rappresenta in realtà un vero e proprio errore. Ne chiedo scusa a tutti i nostri lettori. Non essendomi stato possibile avere accesso al catalogo del Museo del Duomo di Milano, mi sono forse con troppa leggerezza fidato di repertori iconografici parziali ed evidentemente non attendibili o poco aggiornati. Ora che ho esaminato il dittico nella sua interezza, mi devo dichiarare perfettamente d’accordo con gli appunti mossimi dalla signora Strada. Il poter esibire una così eclatante “eccezione alla regola” mi ha messo una dannosa fretta, la quale mi ha fatto trascurare l’obbligo primario: vagliare accuratamente le fonti. Chiedo ancora perdono e ringrazio nuovamente la signora Strada per l’aiuto.
        Sergio Amato

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  2. Grazie per l’indagine Direi perfetta soprattutto partendo dal greco dove questo processo di trasformazione del Cristo si trasforma in una sorta di decalogo delle Arti attraverso la figura di Maddalena della Maria jacobi e soprattutto dell’elemento Mariano inteso secondo il Vangelo di Giovanni e secondo le indicazioni di Steiner nel primo miracolo delle nozze di Cana non so se leggerà l’esperto d’arte qui espresso Sì magistralmente le mie parole ma in tal caso spero di potergli parlare Aaron Noel al secolo Eleonora Brigliadori

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