L’unione tra Occidente e Oriente: un “nuovo” santo nel pantheon di Beato Angelico

Chi lavora a contatto con il pubblico dei musei d’arte sa bene che il riconoscimento del soggetto, della storia e dei personaggi deve necessariamente precedere ogni ragionamento su forma, tecnica o stile. Specialmente in un’epoca in cui l’identificazione dei soggetti, anche quelli un tempo popolarissimi, sta diventando sempre meno scontata, anche in fasce di pubblico scolarizzato. Ecco perché mi ha sempre colpito il fatto che, in una delle opere più importanti di Beato Angelico, la grande Crocifissione del Capitolo di San Marco (1441-1442), due personaggi di rilievo ai piedi della croce non siano stati ancora riconosciuti con esattezza.

Beato Angelico, Crocifissione della Sala del Capitolo (Museo di San Marco)

Si tratta di due santi vescovi (con mitria e pastorale) che partecipano al monumentale corteo di religiosi sul lato destro (per chi guarda) della croce di Cristo. I due ecclesiastici, in piedi, sono collocati in posizione di rilievo, subito dopo San Domenico orante in ginocchio e dietro San Girolamo, anch’egli inginocchiato (con veste da penitente e il cappello rosso da cardinale).

Uno stacco nello spazio, prima degli altri santi, accentua l’impressione visiva che i due vescovi e San Girolamo siano collegati e costituiscano una triade. Il primo pensiero, per chiunque abbia un po’ di dimestichezza con i santi nell’arte, è quello di avere di fronte tre illustri Padri della Chiesa: Agostino vescovo di Ippona, Ambrogio vescovo di Milano e il “cardinale” Girolamo. Mentre però Girolamo rispetta l’iconografia tradizionale ed è quindi facilmente identificabile (veste e cappello), il riconoscimento dei due santi vescovi presenta non poche difficoltà e ambiguità.

1. Le ambiguità di Beato Angelico e Vasari

Non ci aiuta Beato Angelico, di solito preciso nella raffigurazione dei santi. Non si leggono iscrizioni e mancano elementi specifici dirimenti. La mitria e il pastorale indicano che sono vescovi; entrambi reggono un libro che li denota come maestri e scrittori (ma senza testi leggibili che ci potrebbero indirizzare verso un nome); con la mano destra il primo indica la croce, il secondo tiene una penna d’oca; il primo ha capelli neri corti e barba rasata, il secondo ha capelli bianchi e una lunga barba a due punte; l’abito del primo è più “episcopale” (veste bianca, piviale e stola verdi, guanti: le c.d. “chiroteche”), il secondo appare più “monastico” (veste e cappa marroni, cintura in pelle, mani senza guanti).

Neppure Vasari ci è d’aiuto. Nel racconto della Vita di Fra Giovanni da Fiesole sono citati, uno per uno, i nomi dei diciassette illustri domenicani che appaiono nel fregio che corre sotto la Crocifissione del Capitolo (la “vite mistica” di cui abbiamo parlato nel blog). Al contrario, ed è un bel paradosso, i religiosi a destra di Cristo nella scena centrale, ben più importanti di quelli del fregio, non sono nominati e vengono descritti genericamente come “tutti i Santi che sono stati capi e fondatori di religioni” (VASARI 1568). Delle due l’una: o l’identità delle singole figure appariva così evidente da non dover essere elencata, o, all’opposto, già Vasari aveva dubbi sul nome di alcuni santi e preferiva non addentrarsi in congetture.

 

2. Pareri discordi in 150 anni di critica

Per avere una prima identificazione dei due vescovi dobbiamo attendere Padre Vincenzo Marchese, primo benemerito divulgatore del ciclo angelichiano di San Marco: “A mano manca… Sono undici santi, la più parte fondatori di Ordini religiosi… È primo s. DomenicoSeguita s. Zanobi vesc. di Firenze o fors’anco s. Ambrogio arcivescovo di Milano, il quale medita sulle sacre carte i vaticini dei Profeti avverati nel Redentore, che egli accenna col dito. Quel vecchio calvo, con barba bianca… è il magno GirolamoViene poscia s. Agostino, il quale medita e scrive” (MARCHESE 1853). Dunque, da sinistra a destra, per Marchese il primo vescovo è Zanobi oppure Ambrogio, mentre il secondo vescovo è Agostino.

Dopo Padre Marchese, la possibile identificazione della prima figura con San Zanobi, primo vescovo della storia cristiana di Firenze, è stata condivisa da molti studiosi (ad es. RONDONI 1872, SUPINO 1898, RUSCONI 1950, ORLANDI 1964, BALDINI 1970, BONSANTI 1985, BONSANTI 1990, ALCE 1993) ed ha avuto larga diffusione attraverso la Guida Rossa del Touring Club Italiano.

Da Marchese in poi, anche i nomi dei santi vescovi Ambrogio e Agostino sono stati associati, alternativamente, alla prima o alla seconda figura.

Il vescovo vestito di bianco e verde è stato riconosciuto come un possibile Ambrogio da MARCHESE 1853, SUPINO 1898, BEISSEL 1905, ORLANDI 1964, BALDINI 1970, POPE-HENNESSY 1974, MAREK 1985, BONSANTI 1990, ALCE 1993, SPIKE 1996; la critica più recente, invece, lo identifica per lo più come Agostino: HOOD 1993, MORACHIELLO 1995, COLE AHL 2008, SCUDIERI 2004, VERDON 2015, SCUDIERI 2016.

Il secondo vescovo, con la veste marrone, è stato identificato con Agostino da MARCHESE 1853, SUPINO 1901, BEISSEL 1905, ORLANDI 1964, BALDINI 1970, POPE-HENNESSY 1975, BONSANTI 1985, MAREK 1985, BONSANTI 1990, SPIKE 1996, BONSANTI 1998, una interpretazione recepita dalla Guida Rossa del TCI; viene invece riconosciuto come Ambrogio da RONDONI 1872, RUSCONI 1950 e da una parte di critica recente: MORACHIELLO 1995, SCUDIERI 2004, COLE AHL 2008, SCUDIERI 2016.

Per quanto riguarda il secondo santo vescovo, a partire da HOOD 1993 è nata una diversa linea interpretativa (condivisa da PEDONE 2015b, VERDON 2015, citata dubitativamente in SCUDIERI 2016), che si allontana dai nomi tradizionali di Ambrogio e Agostino e identifica il personaggio come Antonio Abate. Una nuova proposta che, in alternativa al nome di Ambrogio, è stata accolta anche nel pannello esplicativo del Museo di San Marco.

La molteplicità delle soluzioni proposte dagli studiosi, spesso contraddittorie e contrastanti, riflette tutta la difficoltà per giungere ad un riconoscimento certo dei due santi vescovi.

 

3. Non è Zanobi

L’identificazione della prima figura come San Zanobi vescovo di Firenze appare difficilmente sostenibile. L’assenza degli attributi più comuni del santo (barba, giglio di Firenze), la posizione di particolare importanza (subito dopo San Domenico), il gesto autorevole nell’indicare il Crocifisso (al pari di Giovanni il Battista sull’altro lato), la collocazione nel gruppo dei “capi e fondatori di religioni” e non in quello dei santi legati alla città e al convento (sul lato opposto: Cosma e Damiano, Lorenzo, Marco Evangelista, Giovanni Battista), non fanno pensare ad una figura di rilievo locale, ma ad un profilo di più alto livello storico e spirituale, ovvero un padre della Chiesa universale.

4. Tra Ambrogio e Agostino

È logico pensare che, accanto a Girolamo, ben identificabile, siano raffigurati Ambrogio e Agostino (con Gregorio Magno, qui assente, formano il gruppo canonico dei quattro Padri latini). Il problema è capire chi sia l’uno e chi sia l’altro.

Personalmente, ho sempre ritenuto che, per la posizione centrale di assoluto rilievo e per il gesto “magisteriale” nell’indicare la Croce (speculare al gesto del Battista), nel primo personaggio fosse da riconoscere Agostino, che rappresenta il maestro e dottore per eccellenza (assieme a Tommaso d’Aquino), l’ispiratore della regola canonicale fatta propria dai domenicani e, più di altri, una figura fondamentale per l’Umanesimo.

Il secondo vescovo, di conseguenza, potrebbe raffigurare Ambrogio, giustamente più anziano del discepolo Agostino, e solitamente rappresentato con una barba folta (mentre Agostino ha più spesso una barba corta). Se non che la veste tipicamente “monastica” risulta difficilmente spiegabile per il santo vescovo di Milano, mentre appare più associabile ad Agostino, declinato nel suo ruolo di estensore della regola conventuale e fondatore (ideale) dell’ordine agostiniano. Agostino in veste monastica, in effetti, ha una solida tradizione iconografica. Il problema, però, è che la veste agostiniana è nera (così come la cintura), mentre qui tunica, cappa e cintura sono di colore marrone. L’unico indizio “agostiniano” sembra essere una sorta di cappuccio nero che emerge dalla cappa marrone (un dettaglio su cui tornerò).

5. E se fosse Antonio Abate?

La difficoltà risiede nella non convenzionalità dell’abito indossato dal secondo vescovo. Si capisce pertanto come, per uscire dall’impasse, una parte della critica recente si sia orientata ad una interpretazione diversa, riconoscendo nel secondo personaggio Sant’Antonio Abate, eremita e padre del monachesimo d’Oriente. Questa lettura, che spiegherebbe la veste marrone (orientale e anacoretica), ben associabile al santo eremita, appare comunque problematica. L’assenza degli elementi distintivi del santo (bastone da asceta, campana, fiamma, maialino) e la presenza di attributi da vescovo (mitria e pastorale) non sono ostacoli di poco conto. Vero è che simili elementi vescovili possono (raramente) connotare anche un abate (l’abate “mitrato”) e che non sempre il santo monaco è raffigurato con i suoi attributi tradizionali (HOOD 1993; PEDONE 2015a-b). Ma resta molto difficile spiegare il motivo per cui Antonio Abate sarebbe l’unica figura della scena che, oltre al libro, tiene in mano una penna, il che si addice piuttosto ad un maestro della fede, ad uno scrittore-teologo (PEDONE 2015a).

A questi dubbi si aggiunga che questa iconografia di Antonio Abate con le insegne vescovili costituirebbe un unicum nel corpus angelichiano, in contrasto con le altre ricorrenze (se ne contano almeno cinque) in cui Antonio Abate, senza mitria o pastorale, è accompagnato dal tradizionale bastone da eremita, mentre la veste appare per lo più nera, con eventuale cappa marrone (su Beato Angelico e Antonio abate, si veda il nostro articolo sul blog).

Beato Angelico, S. Antonio Abate (Art Institute of Chicago). Proviene dai pilastri laterali della Pala di San Marco, eseguita negli stessi anni della Crocifissione della sala del Capitolo.

6. Non è un esempio isolato

In ogni caso, c’è un dato di fatto importante da considerare. Come evidenziato in PEDONE 2015a-b, la stessa figura di vescovo in abito monastico, raffigurata nella Crocifissione del Capitolo di San Marco, compare anche in due opere più tarde dello stesso Beato Angelico: il Giudizio Finale del Trittico Corsini (Galleria Corsini) e il Giudizio Finale dell’Armadio degli argenti (Museo di San Marco). In entrambi i casi, il santo vescovo compare fra i beati che assistono al Giudizio.

Beato Angelico, Giudizio finale del Trittico Corsini (part.)

Nel Trittico Corsini è seduto nel gruppo di sinistra (per chi guarda), sotto San Domenico e a fianco di Santo Stefano (o Lorenzo). L’identificazione tradizionale è con Agostino (AURIGEMMA 2008; ZUCCARI 2009), mentre più recentemente (seguendo la linea inaugurata da HOOD 1993 per l’analoga figura di San Marco) è stato riconosciuto come Antonio Abate (PEDONE 2015a-b; ZUCCARI 2015; LEONE 2015; DE SIMONE 2017; LEADER 2018).

Beato Angelico, Giudizio finale dell’Armadio degli argenti (part.)

Nel pannello con il Giudizio Finale dell’Armadio degli argenti, il santo vescovo compare invece nella schiera alla sinistra del Cristo, regge un libro rosso e siede accanto a San Benedetto. Curiosamente, si tratta dell’unica figura vescovile fra i beati.

 

7. Un dettaglio anomalo

Mi ha sempre colpito la presenza di un particolare anomalo nell’abito monacale del santo vescovo di San Marco. Se infatti la veste e la cappa sono marroni, il cappuccio appare curiosamente di colore nero. Da un punto di vista della reale confezione dell’abito, il cappuccio non può essere cucito a capi di colore diverso (nel nostro caso: la veste o la cappa marroni). D’altra parte, l’assenza di una sottoveste o di una mantellina di colore nero (di cui il cappuccio potrebbe far parte), costringe a pensarlo come non cucito, separabile e indipendente (quello che, propriamente, si definisce un “cucullo”). Non solo. Il cappuccio scende insolitamente dalle spalle sul davanti, dividendosi in due lembi paralleli che si allungano sul petto: una foggia singolare che, finora, non sembra essere stata notata.

Non riuscendo a trovare, in un primo momento, alcun riscontro iconografico, ho pensato che questo strano cappuccio nero potesse essere conseguenza di una ridipintura o di un pentimento dell’artista: eventualità negate con sicurezza dal restauratore Giacomo Dini, da me interpellato (Dini è intervenuto recentemente sulla Crocifissione di San Marco, vedi SCUDIERI 2016). Quando, poi, ho constatato che lo stesso cucullo nero “a due lembi” è ben visibile anche nelle analoghe figure vescovili del Trittico Corsini e dell’Armadio degli argenti (v. paragrafo 6), mi sono convinto che, lungi dall’essere una anomalia o un errore, doveva trattarsi di un elemento distintivo del personaggio: Agostino, Antonio Abate… o qualcun altro?

Trittico Corsini. Dettaglio con il vescovo-monaco accanto a un santo diacono (Stefano?)
Armadio degli argenti. Dettaglio con il vescovo-monaco.

 

8. I santi trascurati

Gli affreschi di Beato Angelico nella Cappella Niccolina in Vaticano sono stati oggetto, soprattutto dopo il restauro del 1995-96 (v. BURANELLI 2011), di un rinnovato interesse da parte della critica. Tanta attenzione si è concentrata, giustamente, sulle grandi scene con le Storie dei Santi Stefano e Lorenzo.

Cappella Niccolina

Pochissime parole, però, con l’eccezione del nuovo volume di Gerardo de Simone (DE SIMONE 2017), sono state dedicate alle figure di otto Padri e Dottori della Chiesa che, nella cappella, sono dipinte in gruppi di quattro sulle imbotti che incorniciano le due pareti corte (quella dell’ingresso e quella dell’altare). Si tratta dei santi Tommaso d’Aquino e Girolamo, Ambrogio e Agostino (lato ingresso); Giovanni Crisostomo e Atanasio, papa Gregorio Magno e papa Leone Magno (lato altare). Il fatto importante è che tutte le figure sono ben identificabili grazie all’iscrizione che, sotto ciascuna, ne riporta il nome in latino.

 

9. Un “nuovo” santo di Beato Angelico

Fra i santi della Cappella, accanto ai padri e dottori della Chiesa latina (inclusi due papi), troviamo eccezionalmente due illustri Padri greci: Atanasio (molto rovinato) e Giovanni Crisostomo (staccato e applicato su tela, ma ancora ben leggibile). È il secondo che ci interessa.

Il santo vescovo, con mitria e pastorale, senza guanti, è caratterizzato da una lunga barba bianca a due punte, veste e cappa marroni, cintura di pelle e cappuccio nero “a due lembi”: gli stessi inconfondibili elementi, soprattutto l’ultimo, che caratterizzano la figura del vescovo-monaco dipinta nella Crocifissione di San Marco, nel Trittico Corsini e nell’Armadio degli argenti. Evidentemente, si tratta dello stesso personaggio.

Vescovo-monaco della Cappella Niccolina
Vescovo-monaco della Crocifissione del Capitolo di San Marco

E poco importa che nella Cappella Niccolina, a differenza degli altri casi, la figura indossi anche un piviale azzurro, a sottolinearne la dignità episcopale, e che il libro sia aperto a mostrare un testo (di derivazione veterotestamentaria, v. DE SIMONE 2017 p.139). Quello che più conta, infatti, è che un’iscrizione latina ne rivela l’identità: S.IOA(n). GHRYSOSTO(mus).

Ecco dunque, dopo tante congetture, la soluzione al nostro rebus. Il santo vescovo in abito monacale del Capitolo di San Marco è, con assoluta certezza, il Padre greco Giovanni di Antiochia detto Crisostomo (350c.-407): patriarca di Costantinopoli, esegeta della Scrittura e predicatore celebre per la sua eloquenza (Crisostomo in greco vuol dire “bocca d’oro”). Padre e Dottore per la Chiesa Cattolica, per la chiesa Ortodossa è uno dei tre Santi Gerarchi e Maestri ecumenici, assieme a Basilio di Cesarea e Gregorio di Nazianzo.

Gli attributi vescovili (mitria e pastorale) ne evidenziano il ruolo di Arcivescovo di Costantinopoli. La veste da monaco ricorda il periodo giovanile in cui visse da eremita. La barba bianca, folta e a due punte, sottolinea le doti di saggezza e autorevolezza, che ben si addicono a un Padre e Maestro della Chiesa. Il libro e la penna testimoniano l’attività di infaticabile scrittore: fu uno dei Padri più prolifici, autore di oltre 700 omelie, 17 trattati, 241 lettere e vari commenti alla Scrittura, fra cui al Vangelo di Matteo e alle Lettere di Paolo. La qualità oratoria, di tipo didascalico e parenetico, e la purezza della lingua greca fanno del Crisostomo anche un modello letterario, forse il più rilevante della tarda antichità ellenica.

10. Un cappuccio non per caso

Ecco, allora, che anche quel cappuccio/cucullo nero con due lembi sul davanti, di cui ho sottolineato la particolarità (v. par. 7), può acquisire un senso. Mi sono limitato alla consultazione di MCGUCKIN 2011 e ad una (non agevole) ricognizione sul web di pagine dedicate agli indumenti monastici della tradizione ortodossa. Mi pare, dunque, che l’insolito cappuccio possa essere accostato al cosiddetto “epanokalimavkion”, indossato dai monaci di alto rango, metropoliti e patriarchi in occasione dei servizi liturgici (abito corale). Si tratta di un velo di colore nero (anche bianco nella chiesa russa), che nella versione moderna è sovrapposto al “kalimavkion” (berretto più o meno rigido di forma cilindrica o “a ditale”, detto anche “skoupho”), ma che in origine era portato direttamente sulla testa come una cuffia staccabile, indipendente dalla cappa, e che, in qualche caso, poteva essere abbassato e lasciato sulle spalle (come nel Crisostomo di Beato Angelico). L’“epanokalimavkion” copre la testa, parte della schiena e delle spalle, e si allunga sul petto in due lembi paralleli (ali o falde), che, secondo la tradizione, ricordano le bende usate da San Metodio, patriarca di Costantinopoli nel IX sec., per coprire le ferite subite durante la persecuzione dell’imperatore iconoclasta Teofilo. L’intero copricapo, formato dal berretto rigido più il velo (“kalimavkion” e “epanokalimavkion”) è chiamato “koukoulion” o “klobuk”. A volte, però, per “koukoulion” si intende anche il solo “epanokalimavkion”.

Anche la cintura di pelle, ben visibile nel Crisostomo di San Marco e in quello della Niccolina, è un elemento fondamentale dell’abito dei monaci ortodossi: cingersi i fianchi con la pelle di un animale morto ha il significato di “morire al mondo”, rinunciando ai piaceri carnali e alle ambizioni terrene.

“Epanokalimavkion” in un’icona greco-ortodossa di San Giovanni Damasceno
“Epanokalimavkion” nel film “Andrej Rublëv” di Andrej Tarkovskij (1966)

11. Una nuova immagine

Beato Angelico, tranne che per il libro, con penna o meno, non segue la tradizione iconografica, in cui Giovanni Crisostomo è per lo più raffigurato alto e con volto smagrito, la barba corta talvolta a punta, stempiato o tonsurato, vestito con paramenti liturgici greci: pianeta e/o omoforio (una sorta di pallio) decorati di croci (v. ad es. KAFTAL 1965, RAGGI 1965).

Giovanni Crisostomo nel mosaico di Santa Sofia di Costantinopoli
Giovanni Crisostomo nella chiesa della Panaghia di Rossano (Cosenza)

Nella Crocifissione del Capitolo di San Marco (il “prototipo” delle quattro ricorrenze angelichiane) nasce un unicum iconografico, in cui nella figura del Crisostomo, caratterizzato da una lunga barba bianca a due punte, si fondono attributi episcopali latini (mitria, pastorale) e elementi monastici orientali: veste e cappa marroni, cintura di pelle, cappuccio/cucullo “a due ali” (che non copre il capo, ma è abbassato per indossare la mitria latina). È proprio l’insolito cappuccio, l’“epanokalimmavkion” dei monaci e dei vescovi orientali, a sottolineare l’eccezionalità iconografica. È molto probabile che Beato Angelico abbia visto un indumento simile dal vivo, forse indossato da qualche vescovo o monaco bizantino fra i partecipanti al Concilio di Firenze, e che lo abbia voluto citare alla lettera. Ne riparlerò a breve (v. par. 13).

12. Al centro dell’Umanesimo e del Concilio

Non è questo il luogo per una disamina approfondita dell’immenso materiale su Giovanni Crisostomo. La lettura di alcuni contributi più legati al nostro contesto (VITI 1994, SCUDIERI-RASARIO 2000, MASI 2009, MASI 2011, MASI 2012, DE SIMONE 2017) è più che sufficiente a cogliere l’importanza del padre greco nel Quattrocento e a giustificarne la presenza in ben quattro opere di Beato Angelico: Crocifissione del Capitolo di San Marco, Cappella Niccolina, Trittico Corsini e Armadio degli Argenti.

Non è un caso che il primo esempio angelichiano, in ordine di tempo, sia quello del Capitolo di San Marco, databile al 1441-agosto del 1442, nel vivo degli entusiasmi suscitati dal Concilio di Ferrara-Firenze (1438-39): il Concilio ecumenico che sancì la ritrovata, se pur effimera, unione tra la Chiesa latina d’Occidente e la Chiesa greca d’Oriente (la Bolla dell’Unione fu proclamata solennemente nel Duomo di Firenze il 6 luglio 1439).

Gli studi di Gianluca Masi (MASI 2009, MASI 2011, MASI 2012) evidenziano l’interesse per la patristica greca nella prima metà del Quattrocento, in particolare negli anni del Concilio. Nel monastero camaldolese di Santa Maria degli Angeli, attorno al monaco Ambrogio Traversari e al filologo Niccolò Niccoli, un circolo di religiosi e laici, tra cui i fratelli Cosimo e Lorenzo de’ Medici, coltivava l’interesse per il cristianesimo orientale: “Da un lato si cercavano di coniugare le speranze di una rinascita intellettuale, culturale e politica con l’aspettativa di un rinnovamento religioso e spirituale, dall’altro si perseguiva il progetto di riunificazione di due mondi: l’Occidente con l’Oriente” (MASI 2009, p.300). In questo contesto, nacque “l’idea di costituire un corpus di traduzioni dal greco che potesse servire sia al recupero in Occidente della tradizione spirituale dei Padri, sia al confronto ormai imminente con il mondo orientale. E in questo progetto […] un ruolo prediletto ebbe la traduzione di opere del Crisostomo, amato da Traversari per l’oratoria e per l’ingenium” (MASI 2009, p.300).

A Firenze giunsero numerosi codici greci con testi del Crisostomo, o a lui attribuiti, e se ne promossero edizioni e traduzioni in latino, soprattutto a cura di Traversari, che tradusse anche la biografia del Padre greco scritta nel IV-V sec. da Palladio. La Biblioteca Medicea Laurenziana possiede ben 85 codici greci con opere del Crisostomo, un gruppo dei quali, appartenuti a Niccoli, proviene dalla Biblioteca del Convento di San Marco. Alcuni codici di Niccoli furono utilizzati nelle sessioni del Concilio del 1439.

L’interesse per i Padri greci, che accomuna Traversari e Niccoli, fu condiviso anche da Tommaso Parentucelli, futuro papa Niccolò V, il quale nei suoi viaggi diplomatici poteva reperire manoscritti e codici antichi. Alle scelte editoriali di Traversari, Niccoli e Parentucelli, uniti da una colta amicizia (Thomas noster, così Traversari parlava di Parentucelli), si deve buona parte della fortuna di Giovanni Crisostomo nella cultura umanistica del Quattrocento. I testi del Crisostomo furono utilizzati nei dibattiti legati al Concilio ed ebbero un ruolo centrale nelle più aggiornate collezioni librarie, come quella di San Marco (di cui Parentucelli fornì a Cosimo de’ Medici il primo “canone” bibliografico) e, più tardi, nel primo nucleo della raccolta vaticana, riferibile ancora a Parentucelli, divenuto papa Niccolò V (su Tommaso Parentucelli da Sarzana, i suoi rapporti con gli umanisti, il ruolo al Concilio, la cultura e le scelte librarie, v. MANFREDI 1994).

In riferimento alla Cappella Niccolina, voluta da papa Parentucelli, e alla presenza, fra le figure dipinte dall’Angelico, dei santi greci Atanasio e Giovanni Crisostomo, Gerardo de Simone sottolinea che “L’immissione dei due Padri greci, pressoché inedita in Occidente, ha una chiara valenza unionista […] enfatizzata dalla loro collocazione ai lati dell’altare e al di sotto dei pontefici Leone e Gregorio Magno. Inoltre sia Atanasio che Giovanni Crisostomo furono i Padri greci più citati dagli oratori latini al Concilio di Firenze (ad esempio Ambrogio Traversari, il massimo artefice della riscoperta dei Padri greci e delle componenti pro primato papale del loro pensiero), in quanto entrambi riconobbero la suprema autorità del pontefice romano, nelle parole come nei fatti […] Crisostomo, campione di eloquenza (donde il suo soprannome, che in greco vuol dire “bocca d’oro” – è il patrono dei predicatori), è il Padre greco più tradotto e ammirato nel Rinascimento” (DE SIMONE 2017, p. 139).

 

13. Dentro l’immagine: il santo e il suo doppio

L’insolita iconografia angelichiana, che fonde attributi monacali e vescovili, esprime una duplice valenza.

Raffigurato con mitria e pastorale, in qualità di patriarca di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo simboleggia la chiesa d’Oriente. Accanto all’imperatore Giovanni VIII Paleologo, fu proprio un successore del Crisostomo, il patriarca di Costantinopoli Giuseppe II, a guidare la delegazione conciliare greca a Ferrara e poi a Firenze. Giuseppe, anziano e malato, morì a Firenze il 10 giugno 1439, durante il Concilio, ed è sepolto nella basilica domenicana di Santa Maria Novella. È dunque verosimile che fra il Crisostomo dell’Angelico e il patriarca Giuseppe vi sia un legame simbolico.

Nella figura dipinta a San Marco, con un po’ di azzardo, si potrebbe anche ipotizzare un cripto-ritratto (o almeno una memoria) dello stesso Giuseppe, il che spiegherebbe la folta barba bianca, in contrasto con l’iconografia tradizionale del Crisostomo. Barba e tratti simili, in effetti, sono presenti anche nel ritratto funerario di Giuseppe nell’affresco (ridipinto) di Santa Maria Novella e in immagini che, a torto o a ragione, gli sono state associate, quali il Noè/Giuseppe nelle Storie della Genesi di Paolo Uccello nel Chiostro verde di Santa Maria Novella e il Melchiorre/Giuseppe nella Cavalcata dei Magi di Benozzo Gozzoli in Palazzo Medici (v. ad es. CASTELLI 1994, MARINO 1994). Più attendibile, anche se un po’ “fumettistico”, è il disegno su un codice greco del XV sec., databile agli ultimi anni di vita del patriarca, che mostra analogie con il ritratto postumo di Santa Maria Novella (SPATHARAKIS 1981, p. 70).

Monumento funerario del patriarca Giuseppe in Santa Maria Novella (Firenze)
Noè/Giuseppe nelle Storie della Genesi di Paolo Uccello (Chiostro Verde di Santa Maria Novella, Firenze)
Melchiorre/Giuseppe nella Cavalcata dei Magi di Benozzo Gozzoli in Palazzo Medici Riccardi, Firenze
Giuseppe II nella miniatura del ms. Par. gr. 1783, fol. 98 v. (Biblioteca Nazionale di Parigi)

Allo stesso tempo, raffigurato in abito religioso (veste e cappa marroni, cappuccio nero), Giovanni Crisostomo simboleggia il monachesimo orientale delle origini, unito, nell’affresco di San Marco, alle più illustri figure del monachesimo occidentale. Crisostostomo è vestito da monaco sia perché, prima di diventare sacerdote, visse alcuni anni da anacoreta fra gli eremiti del Monte Silpio di Antiochia, sia perché sostenne l’importanza della vita e della disciplina religiosa. Esemplare è la sua opera Contro i detrattori della vita monastica, tra i primi testi ad essere tradotti in latino da Ambrogio Traversari, nell’ambito di un recupero, filologico e spirituale, delle radici della vita religiosa e della regola monastica, concepite come modello di rinnovamento della Chiesa e anche del mondo laico.

C’è una fonte iconografica che, più di ogni altra, mi pare rivelatrice. Si tratta della porta bronzea che, su commissione di papa Eugenio IV, Antonio Averulino, detto il Filarete (fiorentino, collaboratore di Ghiberti) realizzò a Roma per la basilica di San Pietro entro il 1445. Attorno ai pannelli principali, rilievi più piccoli celebrano le gesta del papa. Tra questi, alcune scene raffigurano momenti salienti del Concilio di Ferrara-Firenze. Ebbene, accanto all’imperatore Giovanni VIII Paleologo (riconoscibile per lo “skiadion”, il tipico copricapo “a punta” dalla lunga tesa), è quasi sempre presente un monaco incappucciato, dalla lunga barba, che ritengo possa essere identificato con il patriarca di Costantinopoli Giuseppe II.

La delegazione greca giunge a Ferrara per il Concilio
Una sessione del Concilio di Firenze
L’imperatore Giovanni VIII Paleologo e il Patriarca Giuseppe II

Il suo abito è formato da veste, cappa e, sul capo, un velo-cappuccio che presenta, se pur solo accennate, due “ali” che scendono sul petto: si tratta, chiaramente, dell’”epanokalimavkion” nella versione più antica, in cui il velo non è attaccato ad un copricapo rigido, ma copre direttamente la testa (v. par.7,10). Lo stesso abito, nei rilievi del Filarete, è indossato anche da altri monaci del corteo bizantino.

Il saluto a papa Eugenio IV

In una scena (Il saluto a papa Eugenio IV) il cappuccio del monaco è abbassato e appare la testa calva, analogamente alle immagini della tradizione iconografica quando Giuseppe è ritratto senza copricapo, il che ne conferma l’identificazione. Il fatto che l’abito monacale sia lo stesso del Crisostomo di Beato Angelico e che il personaggio sia da riconoscere come il patriarca Giuseppe conferma la lettura Crisostomo=Giuseppe proposta per la Crocifissione di San Marco.

Segnalo, infine, un altro riscontro iconografico. A Siena, nel Pellegrinaio di Santa Maria della Scala, Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta, su commissione del Rettore Giovanni di Francesco Buzzichelli, affresca la “Storia del Beato Sorore”, leggendario fondatore dell’ospedale.

Assistono alla scena, sul lato sinistro, figure agghindate all’orientale: Friedhelm Scharf le ha collegate al Concilio di Firenze, riconoscendo nella prima figura barbuta un monaco greco in abito basiliano e in quella con la mitria bizantina il patriarca Giuseppe II (v. COSTA-PONTICELLI 2004, p. 120). Ritengo, invece, che sia la prima figura barbuta da sinistra, il monaco greco, a dover essere identificato con il patriarca Giuseppe, sia per il confronto con i rilievi del Filarete, sia perché l’abito è quasi identico a quello del Crisostomo di San Marco: cappa e veste marroni, cintura di cuoio e, alzato sul capo, l’“epanokalimavkion”, in questo caso non nero, ma del colore della veste. L’affresco di Vecchietta è datato al 1441 c.a., praticamente coevo alla Crocifissione di Beato Angelico (1441-ante 25 agosto 1442).

 

14. Una figura-manifesto

Il Crisostomo “vescovo-monaco” di Beato Angelico si connota come una figura-manifesto: sia dell’unione tra le due Chiese cristiane, d’Oriente e d’Occidente, sia di una “renovatio” culturale, morale e spirituale i cui modelli sono i Padri, greci e latini, e il monachesimo, orientale e occidentale. Istanze che corrispondevano in larga parte a quanto, nell’ambito dell’Osservanza domenicana e nel clima culturale del primo umanesimo fiorentino, si stava portando avanti nel nuovo convento di San Marco, con il favore di papa Eugenio IV, grazie al sostegno finanziario di Cosimo de’ Medici e sotto l’energica guida di Antonino Pierozzi. Le stesse istanze di “renovatio” (e di riscoperta “ecumenica” delle origini) che, pochi anni dopo, in un contesto più marcatamente classicista, sono sostenute a Roma da Niccolò V e dagli esponenti del convento domenicano della Minerva, dove Beato angelico soggiornò e infine morì, come il cardinale Juan de Torquemada.

C’è dunque una precisa linea, direi quasi “programmatica”, che collega il Crisostomo di San Marco e quello (in coppia con Atanasio) della Cappella Niccolina, voluta da papa Parentucelli per sintetizzare visivamente l’ideologia del suo papato (con le Storie dei santi diaconi e martiri Stefano e Lorenzo, papa Sisto II, gli Evangelisti, i Padri e Dottori d’Occidente e d’Oriente). Parentucelli, negli anni del Concilio, a cui prese parte al seguito del cardinale Albergati, e di sicuro fino al 1443, quando lasciò Firenze per Roma, aveva frequentato il convento di San Marco (per la cui biblioteca curò il primo “canone”) e, senza dubbio, avrà conosciuto Beato Angelico mentre lavorava agli affreschi del convento. Verosimilmente, avrà anche visto la figura di Giovanni Crisostomo dipinta nel Capitolo e si può anche ipotizzare che egli stesso ne sia stato un suggeritore. È probabile, in ogni caso, che sia stato lo stesso Parentucelli, da papa, a richiedere espressamente all’Angelico di riprodurre quella medesima figura nella cappella vaticana.

 

15. Nuovi spunti tra Roma e Firenze

L’identificazione del vescovo-monaco di San Marco con il Crisostomo della Cappella Niccolina consente di riconoscere la stessa figura, finora interpretata come Agostino o Antonio Abate, anche in altre due opere su tavola di Beato Angelico: il Trittico Corsini e l’Armadio degli argenti, in entrambi casi, nella scena del Giudizio Finale.

Beato Angelico, Giudizio finale del Trittico Corsini

Per quanto riguarda il Trittico Corsini, la critica ha notato, nei santi Pietro, Stefano e papa Sisto II, affinità stilistiche e tipologiche con le analoghe figure della Cappella Niccolina (ZUCCARI-MANGIA 2009; TAMASSIA 2011; ZUCCARI 2015), ma non si è accorta che anche Giovanni Crisostomo è raffigurato sia nel Trittico che nella cappella vaticana.

Giovanni Crisostomo accanto a un santo diacono (Stefano?)

La presenza del Padre greco nel pannello con il Giudizio, oltre a rafforzare lo stretto legame con la Cappella Niccolina, avvicina ancora di più il Trittico Corsini alla cultura e agli ambienti della “renovatio”. Alcuni hanno ipotizzato che il committente del Trittico sia “un personaggio della corte pontificia…o il priore di Santa Maria sopra Minerva al tempo del soggiorno dell’Angelico, fra Domenico da Corella” (ZUCCARI-MANGIA 2009, p. 213; condiviso da TAMASSIA 2011), o che vada ricercato “in figure di rilievo vicine a Niccolò V e all’ambiente ecclesiastico domenicano” (PORRO 2015b p. 13). La presenza di papa Sisto II, con le stesse sembianze della tavoletta Feigen (in origine parte della c.d. Crocifissione Torquemada), ha condotto Alessandro Zuccari a proporre, anche per il Trittico Corsini, una committenza da parte del cardinale domenicano Juan de Torquemada, teologo e figura eminente del convento della Minerva, che ricevette da papa Eugenio IV il titolo di San Sisto: il volto di papa Sisto potrebbe essere un cripto-ritratto di Eugenio IV (ZUCCARI-MANGIA 2009; ZUCCARI 2015; DE SIMONE 2017; LEADER 2018).

A sostegno dell’ipotesi Torquemada, credo che la scritta I(O)HAN(N)E(S) sulla manica destra dell’Evangelista Giovanni (l’unica iscrizione del trittico), piuttosto che rappresentare un’improbabile cripto-firma del pittore fra Giovanni (AURIGEMMA 2008; PEDONE 2015b; PORRO 2015b), potrebbe invece indicare il nome del committente, associato al suo santo patrono: Juan (Giovanni) de Torquemada (in latino: IOHANNES de Turrecremata). Per la precisione, nello stesso Giudizio, con il nome di Torquemada c’è anche un altro santo: proprio il nostro Giovanni (IOHANNES) Crisostomo, ben apprezzato (v. paragrafo 12) dagli unionisti e dai sostenitori dell’autorità pontificia (in polemica con i conciliaristi), come fu Torquemada, attivo nei concili di Basilea e di Firenze. A Firenze, verosimilmente, Torquemada avrà visitato i confratelli domenicani di San Marco (che aveva difeso al concilio di Basilea) e avrà conosciuto Beato Angelico, impegnato negli affreschi del convento (su Torquemada e il rapporto con l’Angelico, v. DE SIMONE 2017, pp. 89ss., 150ss., 210ss.).

Beato Angelico, Giudizio finale dell’Armadio degli argenti (part.)

Giovanni Crisostomo “vescovo-monaco”, infine, è raffigurato anche nel Giudizio finale dell’Armadio degli argenti, opera che l’Angelico realizza a Firenze nel 1450-52, tra il primo e il secondo soggiorno romano.

Giovanni Crisostomo nell’Armadio degli argenti

La presenza del Crisostomo evidenzia il collegamento con la Cappella Niccolina e con il Trittico Corsini, a conferma del rapporto, sottolineato dalla critica, fra l’Armadio degli argenti e le opere romane, anche quelle perdute, come le Storie di Cristo nella Cappella vaticana del Sacramento (dell’epoca di Eugenio IV) e gli affreschi, nel chiostro della Minerva, che verosimilmente illustravano le Meditationes del cardinal Torquemada (sulla produzione romana di Beato Angelico, v. DE SIMONE 2017). Allo stesso tempo, considerando la destinazione conventuale e fiorentina, la basilica della SS. Annunziata, il Crisostomo dell’Armadio degli argenti si collega direttamente al “prototipo” raffigurato nella Crocifissione di San Marco, mettendo in evidenza una continuità culturale e ideologica fra gli anni di Cosimo il Vecchio e quelli di suo figlio Piero, probabile committente dell’Armadio (Piero, fra l’altro, aveva seguito il Concilio a Ferrara e a Firenze). Anche il convento servita dell’Annunziata, al pari di San Marco, fu interessato dalle politiche riformiste di papa Eugenio IV, che vi sostenne l’Osservanza e rinvigorì le celebrazioni, religiose e civiche, dell’Annunciazione (v. VERDON 2015, pp. 343 ss.). Un rinnovamento che proseguì, al tempo di Niccolò V, con il cantiere michelozziano promosso da Piero de’ Medici: tempietto dell’Annunziata, coretto, cella-studiolo di Piero e, appunto, l’Armadio degli argenti.

16. L’ultimo dubbio

Nella grande Crocifissione di San Marco, se la seconda figura vescovile da sinistra è dunque Giovanni Crisostomo, rimane da stabilire chi è il primo vescovo, quello che indica la croce di Cristo vestito di bianco e verde. Scartato Zanobi (v. paragrafo 3), l’incertezza fra i nomi di Ambrogio e Agostino (v. paragrafo 4) si risolve facilmente, a questo punto, in favore del secondo. Sarebbe infatti improbabile che Aurelio Agostino, data la centralità nel Quattrocento umanistico (si pensi, ad esempio, a quanto fu amato da Parentucelli), risultasse escluso dall’affresco di San Marco, e fosse invece Ambrogio a completare la triade “dei Padri”, assieme a Girolamo e Giovanni Crisostomo. Si pensi anche al ruolo fondamentale che ebbero i testi di Agostino al Concilio di Firenze, in particolare il De Trinitate sulla dibattuta questione dello Spirito Santo (v. MANFREDI 1994, pp. 679 ss.). “Per gli umanisti Agostino impersonava l’oratore cristiano ideale, capace di fondere eloquenza classica e messaggio cristiano” (DE SIMONE 2017, p. 146): parole che possono valere benissimo anche per Giovanni Crisostomo. Agostino e Crisostomo, per eloquenza e purezza della lingua, erano annoverati fra gli autori più importanti della tarda antichità, latina e greca, modelli non solo di eccellenza spirituale, ma anche letteraria e, per questo, figure fondamentali dell’umanesimo cristiano.

Se, tuttavia, rimanessero perplessità sul riconoscimento di Agostino, è ancora il confronto con la Cappella Niccolina ad aiutarci.

Agostino nella Cappella Niccolina

L’Agostino vaticano, infatti, si rivela assai simile al vescovo “con la veste bianca”di San Marco, confermandone l’identificazione: capelli corti, barba rasata, tonaca bianca, guanti bianchi e piviale verde (nell’esempio romano, come da tradizione, sotto la veste bianca emerge anche l’abito nero dell’Ordine agostiniano).

17. Una coppia inedita e l’Unione

Ecco, quindi, che nella grande Crocifissione del Capitolo di San Marco, fra “i Santi che sono stati capi e fondatori di religioni”, per dirla con Vasari, è raffigurata una coppia inedita, probabilmente un unicum: Agostino vescovo di Ippona e Giovanni Crisostomo patriarca di Costantinopoli, collegati al San Girolamo inginocchiato, con cui formano un “triangolo” di padri, dottori e anche exempla letterari.

Agostino e Crisostomo, dipinti uno accanto all’altro: un Padre latino e un Padre greco, Roma e Costantinopoli, Occidente e Oriente. Difficile trovare un’immagine che esprima, con altrettanta forza e chiarezza, l’anelito alla concordia fra due Chiese cristiane, due mondi e due culture.

Un vero e proprio manifesto dell’Umanesimo e del Concilio dell’Unione. E un messaggio di dialogo ecumenico ancora attuale. Con la firma di Beato Angelico.

«San Paolo si riferisce alla Chiesa come “Chiesa di Dio”, mostrando che deve essere unita, perché se è “di Dio”, è unita, e non lo è solo a Corinto, ma anche nel mondo; il nome della Chiesa infatti non è un nome di separazione, ma di unità e di concordia» (Giovanni Crisostomo, In epistulam I ad Corinthos 1,1).

 

Alessandro Santini

ringrazio Carmelo Argentieri e Sergio Amato, da quasi vent’anni compagni di dotte chiacchierate

 

BIBLIOGRAFIA

2 commenti

  1. Thanks to Alessandro Santini for writing a mystery novel (a giallo) in which we finally learn who is guilt or rather the identities of the two mysterious bishops at the foot of the cross.

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