Le cas Annunziato: San Marco e Beato Angelico visti dalla Francia in un romanzo di Yan Gauchard

©lapresse archivio storico spettacolo Sofia Loren Italia, anni '70 nella foto: Sofia Loren con vittorio Gasman

Le cas Annunziato, romanzo di esordio di Yan Gauchard, uscito all’inizio del 2016 per Les Éditions de Minuit, è il più recente approdo della ormai bicentenaria fortuna critica del Beato Angelico in Francia.

Fortuna cominciata nel 1810, quando Napoleone fece trasportare al Louvre l’Incoronazione di Fiesole e la Pala di Perugia, in piena fase di scoperta dei Primitivi; approfondita nel 1855, quando all’esposizione universale di Parigi venne presentata la prima guida illustrata del Museo di San Marco del domenicano Vincenzo Marchese, con le incisioni degli affreschi del dormitorio, inediti fino ad allora; continuata nell’interesse e nei disegni di Manet e Degas, poi nei dipinti degli artisti Nabis; attestata, in anni di turismo di massa, dalla presenza costante, in San Marco, di più o meno disciplinate scolaresche transalpine munite di taccuini e matite.

Yan Gauchard
Yan Gauchard

Le cas Annunziato ha richiesto a Yan Gauchard tre anni di preparazione, ma la redazione finale – dettaglio non trascurabile, considerato lo spunto centrale del romanzo – è avvenuta durante un suo lungo periodo di infermità, dopo un incidente in bicicletta.

Gauchard, giornalista del quotidiano Presse Océan di Nantes, capoluogo della Loira Atlantica, conosce bene il Museo di San Marco. Anche se la sua conoscenza è tanto puntuale nei dettagli quanto approssimativa nella ricognizione dei dipinti angelichiani. Gauchard sa tutto su orari di apertura, giorni di riposo settimanale, procedura di chiusura; ha una nozione esatta della forma e del colore dei cordoni che impediscono l’accesso alle celle. Ma confonde il Compianto sul Cristo morto con la Crocifissione, ai cui piedi scambia San Domenico per un benedettino; colloca nella cella 5 il Compianto laddove invece c’è una Natività; sostiene che la cella 5 sia stata “l’ancien appartement du moine Fra Giovanni da Fiesole”, quando non c’è nessun documento che lo provi.

Perciò: concediamoci, come lettori, la sospensione dell’incredulità, e ammettiamo che, in questa fabula, gli affreschi del Dormitorio siano osservati attraverso gli occhi ingenui di un protagonista più prossimo allo spirito pauperistico degli ordini mendicanti che a quello analitico e iconografico degli storici dell’arte.

Beato Angelico, Cella 4 del Dormitorio, Museo di San Marco, Firenze
Beato Angelico, Cella 4, Dormitorio, Museo di San Marco, Firenze
Beato Angelico, Natività, Cella 5, Dormitorio, Museo di San Marco, Firenze
Beato Angelico, Natività, Cella 5 del Dormitorio, Museo di San Marco, Firenze

La trama

Il protagonista del romanzo è Fabrizio Annunziato, un traduttore parigino in visita al Museo di San Marco con una coppia di amici intellettualoidi e burloni, anch’essi parigini. Tutto comincia quando questi amici, al momento della chiusura, con la complicità della casiera, per fargli uno scherzo, lo chiudono a chiave dentro la cella 5 del Dormitorio, approfittando della sua tendenza a incantarsi davanti ai dipinti.

Presupposto di per sé irrealistico, dal momento che le porte delle celle non si possono chiudere a chiave: la vita comunitaria dei padri domenicani escludeva il moderno concetto di privacy, l’individuo doveva annullarsi in nome della comunità; né la chiusura del Primo piano del museo, richiede, oggi, una simile precauzione.

Accade poi che la casiera, Camelia De Bardi, debba lasciare intempestivamente il museo a seguito di una telefonata in cui le viene comunicata la morte del padre, e che si dimentichi di aver “sequestrato” il traduttore. Anche gli amici, una volta usciti, se ne dimenticano, convinti che Fabrizio sia rientrato in albergo senza salutarli.

Dopo l’iniziale incredulità, la reclusione è accolta da Fabrizio docilmente: qualcuno, pensa, si accorgerà della sua assenza, qualcuno lo andrà a liberare, prima o poi. Anzi, approfitta dell’occasione per mettersi a lavoro: ha una traduzione in borsa che da troppo tempo attende di essere conclusa. Con sé ha pochi viveri, il manoscritto da tradurre, un cellulare sul punto di scaricarsi, una bottiglietta d’acqua. In compenso è dotato di una naturale capacità di adattamento (esilarante la spiegazione della raccolta delle sue deiezioni).

La cella 5, in cui è prigioniero, è descritta in tutta la sua nudità: una superficie quadrata di poco meno di 9 mq, senza oggetti, con dentro un Compianto sul Cristo morto che, pur non essendo comparabile ai dipinti delle Grotte di Lascaux (“ce n’est pas Lascaux”), spicca ugualmente dal muro con altrettanta arcaica evidenza. Oltre all’affresco, nella cella, c’è una piccola finestra da cui protendersi e guardare il mondo fuori.

Proprio da quest’ultimo piccolo affaccio sulla strada, Fabrizio scorge, nella finestra di fronte, una ragazza che gli sembra di aver già visto (nella realtà, dall’altra parte di Via La Pira non ci sono abitazioni, ma gli uffici dell’Università). Si tratta della bella cameriera dell’Antica sosta degli Aldobrandini, che lo aveva servito qualche giorno prima al bar. Appena lo vede, la ragazza si allarma ed è pronta a chiamare i soccorsi, ma Fabrizio la blocca: “excepté la privation alimentaire, ce serait le paradis”, è ciò che pensa. Cosicché la bella Raffaella Siniscalchi, più divertita che stupita, comincia a catapultargli del cibo dalla finestra della sua cucina. Tra i due si sviluppa un insolito discorso amoroso, fatto di gesti e lanci, questi ultimi non sempre a segno. 

Siamo nel marzo del 2002, a meno di un anno dai fatti di Genova e dall’11 settembre 2001. Il presidente del consiglio è Silvio Berlusconi. In Francia imperversa lo psicodramma del ballottaggio elettorale, alle presidenziali, tra Chirac e Le Pen, mentre il socialista Jospin, sconfitto, si ritira dalla scena politica.

Genova luglio 2001, Manifestanti contro G8
Genova luglio 2001, Manifestanti contro G8

A Firenze, nella finzione letteraria, una grossa manifestazione altermondialista contro il Cavaliere viene caricata dalla polizia; molti i feriti e perfino un morto. Uno sciopero generale e numerosi tumulti provocano la chiusura prolungata del museo. Nel parapiglia generale, nessuno si accorge che dentro la cella 5 c’è qualcuno. Né Fabrizio Annunziato fa qualcosa per farsi liberare. Quando lo sciopero finisce, il museo rimane chiuso un’altra manciata di giorni per lavori di manutenzione.

Il “ritiro” di Fabrizio viene scoperto solo dieci giorni dopo, il 26 marzo 2002. Il traduttore, denutrito e con la barba lunga, è subito condotto in caserma. Qui viene scambiato per un brigatista rosso (!). Passa, così, di reclusione in reclusione. Prima in caserma, poi all’ospedale, poi ancora in caserma. Ne nasce un “caso” internazionale che finisce su tutti i giornali. Solo dopo molti interrogatori, in cui Fabrizio si rivela sorprendentemente più competente di qualsiasi italiano sulle Brigate Rosse, e testimonianze a suo favore da parte dei due amici intellettualoidi e della casiera Camelia De Bardi, può essere finalmente rilasciato. Ma, a sorpresa, quando tutto sembrerebbe finito, il nostro, piuttosto che tornarsene a Parigi, chiede di poter essere nuovamente internato nella sua cella 5.

brigate_rosse- simbolo

Un pastiche postmoderno

Le cas Annunziato non è solo un tributo al Museo del Beato Angelico, è piuttosto un eccezionale compendio di cliché francesi sull’Italia, con molte strizzatine d’occhio alla Cultura Alta e un virtuosismo stilistico che non riescono a nascondere la sua vocazione di prodotto fondamentalmente midcult.

Prendete La Certosa di Parma di Stendhal, Il Barone rampante di Calvino, Bartebly lo scrivano di Melville e frullateli ben bene. Otterrete un protagonista che sceglie la fuga mundi come opzione rivoluzionaria; una reclusione inizialmente coatta e poi asceticamente (aristocraticamente) desiderata; due personaggi femminili, una giovane e bella cameriera, novella Clelia Conti, che nutre materialmente e spiritualmente il protagonista recluso, e una conturbante casiera, perfetta duchessa di Sanseverina, sexy ancorché ageé, che, come depositaria di tutte le chiavi, esercita su di lui il suo potere erotico (“ce qui compte, ce son les clés”, chiaririsce al protagonista, Camelia De Bardi).
Prendete poi la commedia all’italiana degli anni settanta, di Risi, Monicelli, Scola, estraetene a caso i nomi di almeno due divi nostrani (il direttore del museo si chiama Pietro Gassman; una custode Antonia Loren) e quelli di alcuni personaggi cinematografici più noti (i figli dell’aiutante del colonnello dei carabinieri si chiamano come gli eroi di Brutti sporchi e cattivi), mescolateli con un pizzico di poliziottesco ignorante e qualche nozione di terrorismo brigatista d’antan. Il risultato sarà una trama assolutamente sgangherata sul piano della verosimiglianza, a vantaggio di una lettura divertente da portarsi in treno o sulla spiaggia.
Non si può, tuttavia, non restare colpiti dalla singolarità del protagonista. Uno strano Casanova privo di volontà, a metà tra un sovversivo e un angelo (del resto, cos’altro è l’arcangelo Gabriele se non un traduttore, un intermediario tra Maria e lo Spirito Santo?); attratto più che dalla religiosità della vita conventuale dalla sua cattività; che esce di scena, alla fine, in modo quasi fantasmatico.

Così come non si può non sorridere di alcuni personaggi secondari, al quale l’autore affida la sua sagace riflessione sul potere. Pietro Gassman in primis, convinto di poter dirigere un museo senza mai uscire dal suo ufficio; incapace di amare veramente la bellezza, interessato solo al marketing e agli affari; pronto a condannare il protagonista, quando viene ritrovato nella cella, salvo poi strumentalizzarne “il caso” per convenienza, trasformando il museo in un Airbnb, con la scusa della Residenza per artisti (“le musée est en train de divenir une nouvelle villa Médicis”, chiosa un violoncellista giapponese alloggiato nella cella 11, verso la fine del romanzo). Della stessa risma del direttore del museo è l’editore Laurent Tongue, anche lui pronto a sfruttare il nome di Fabrizio Annunziato per vendere più copie del romanzo tradotto in cella, e che si precipita a Firenze per convincere Fabrizio a giocarsi di più questo momento di popolarità.
Le cas Annunziato è un indubbio omaggio al Museo di San Marco, prima di essere un divertissement, e ha il merito di mettere in discussione, scherzosamente, il concetto di museo come luogo di mera conservazione, desacralizzando in modo definitivo il Paradiso dell’Angelico.
Certo, l’Hermitage e il Louvre hanno avuto Aleksandr Sokurov come cantore del loro patrimonio culturale e identitario e come espugnatore della loro inaccessibilità; il Museo di San Marco, nell’attesa di altri più ispirati cantori, si fa bastare Yan Gauchard.

 

Arca Russa, Aleksandr Sokurov, 2002
Un frame da “Arca Russa”, Aleksandr Sokurov, 2002, all’interno dell’Hermitage
Francofonia, Aleksandr Sokurov, 2015
Un frame da Francofonia, Aleksandr Sokurov, 2015, all’interno del Louvre.

 

 

Carmelo Argentieri

Per saperne di più:   Yan Gauchard, Le cas Annunziato, Les Éditions de Minuit, 2016 (il romanzo non è ancora tradotto in italiano).

 

 

 

 

 

Un commento

  1. Buongiorno,
    Juste un merci mot que je me permets de vous laisser en français. D’abord, merci de vous être intéressé au Cas Annunziato, roman dont je suis l’auteur. Je voulais juste vous préciser que j’ai intentionnellement attribué à Fra Angelico, dans la cellule numéro 5, une fresque qui n’existe pas. Non que je n’aime pas la représentation de la Nativité du Beato mais il me plaisait, comme pour rendre hommage à Guido di Pietro, de lui offrir une œuvre apocryphe en guise de témoignage de mon admiration.
    Voilà, ce n’est pas bien grave, mais je tenais à indiquer que je n’ai pas confondu des œuvres. Pour preuve: la Complainte au Christ sur la croix est un titre imaginaire.

    Bien à vous,

    Yan Gauchard

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